FRANCO LOTITO COORDINATORE NAZIONALE DEL COMITATO PER L’UNITA’ SOCIALISTA

Franco LOTITO, nella riunione di ieri del CUS (Comitato per l’Unità Socialista) è stato nominato Coordinatore Nazionale di detto Organismo, costituito da varie Associazioni e Gruppi di ispirazione socialista, che si propongono –  con la loro riaggregazione –  la creazione di un nuovo soggetto politico che si riallacci alla storia e alla cultura del socialismo e del mondo del lavoro. Franco LOTITO, 74 anni, pugliese nato ad Andria, ma da moltissimi anni residente a Roma, socialista fin dalla giovanissima età di 17 anni, ha ricoperto importanti incarichi a livello politico, sindacale ed istituzionale. Segretario della F.G.S. di Roma e Provincia negli ultimi anni ’60 (ed in tale veste membro degli organismi del PSI capitolino), vivendo le esperienze della contestazione giovanile del ’68 e dell’autunno caldo sindacale del ‘69 è stato attratto – come molti giovani di allora – dal Movimento operaio e poco dopo l’autunno è entrato nella UILM nazionale e con essa ha partecipato alla nascita della F.L.M., l’organizzazione unitaria dei metalmeccanici nata dall’unificazione di FIOM, FIM e UILM. Entra presto a far parte della segreteria nazionale dei metalmeccanici, di cui – nel 1983 – diventa Segretario Generale. Svolge un notevole impegno sul piano internazionale ricoprendo a livello europeo la carica di vice-presidente della FEM (Federazione Europea dei Metalmeccanici) ed entrando a far parte del Comitato Esecutivo della FISM (Federazione Internazionale dei Sindacati Metalmeccanici). Nel 1992 lascia i ruoli di categoria per essere eletto Segretario Confederale della UIL. Successivamente ha ricoperto gli incarichi di Presidente dei C.I.V. (Comitato di Indirizzo Vigilanza) dell’INPS prima e successivamente dell’INAIL. E’ stato membro dei CdA di varie Fondazioni Socialiste (Modigliani, Brodolini e Bruno Buozzi) ed è  collaboratore di quest’ultima. Ha pubblicato alcune opere di natura sindacale e/o dedicate al lavoro e alle sue trasformazioni.  Ha promosso occasioni di aggregazioni fra associazioni e gruppi di ispirazione socialista e riformista e questa sua esperienza, unitamente a quella unitaria maturata con i metalmeccanici nei lontani anni ’70, potranno essere utili a Franco e al C.U.S. per lo sviluppo del progetto unificatorio dei socialisti. Ha aderito da subito al Tavolo di Concertazione promosso da “Socialismo XXI”, divenuto poi “Comitato per l’Unità Socialista” ed è stato recentemente relatore di una delle sessioni tematiche dedicata al Lavoro e alla questione sociale. PER INFO: cus.sempreavanti@gmail.com SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SI RITORNI A LOTTARE PER L’INDISPENSABILE

  di Massimo Peruzzi – Socialismo XXI Lazio |   E’ veramente un gran problema avere un cervello che fuma e di contro, una carcassa che è segnata dalla ruggine. Assisti ad un degrado ed un asservimento della società, che hai dato il tuo contributo in quegli anni, per tentare di sottrarla alla egemonia del capitalismo e dal consumismo sfrenato comandato e guidato dal potere finanziario e commerciale per lo sfruttamento delle masse e non più al servizio delle masse. Una volta la politica serviva a definire e qualificare una popolazione, oggi rappresenta solo il sistema per sfruttarla sistematicamente e specificatamente. Serve per studiare i migliori e più subdoli modi per sottomerla ad usi ed abitudini tali da poterli manovrare a proprio piacimento e tanto si è combattuto  e penato, per contrastarle questa metamorfosi guidata, in stile e metodo di vita generale. Non si combatte più per l’indispensabile, ma per il superfluo. In nome del bene e della disponibilità, si è cancellata la considerazione del proprio per esaltare il bisogno degli altri e tutto questo ci ha reso possibile salvare delle vite ma allo stesso tempo, cancellarne altre, e tutto ciò non è altro che responsabilità dei pretendenti alla definizione di politico ma del quale, non ne avevano nemmeno l’idea di esserlo, solo presunzione. E da questo alla Sanità, all’Istruzione, all’applicazione della Giustizia, all’Imprenditoria, al mondo del lavoro non più difeso o tutelato, ma denigrato e depredato dei diritti acquisiti in tanti anni di lotta, con la cancellazione dell’Art.18 ed il dilagante ricorso di una certa “imprenditoria, all’uso delle cooperative. Ripeto, chiacchierando, polemizzando, criticando, e perdendo tempo, ormai prezioso, non si va da nessuna parte, declamando, del PSI, passate storie, trascorsi tragitti pur pieni di gloria, di sacrifici, ma appartenenti al passato ed il futuro non è tra cinque, dieci anni, ma domani e quello lo si può progettare e costruire solo oggi. Tutti a rivangare eroici personaggi, mitici rappresentanti di una società in lotta per progredire, ma oggi il non essere e rappresentare niente, è un tangibile segno di fallimento. Ci si deve raccogliere tutti vestiti e consci della consapevolezza che la grandezza di un Partito, è l’unica strada che porta alla consacrazione di ogni suo appartenente e ci si deve convincere che siamo tanti gradini di una scala e che dobbiamo porci tutti insieme a costituire un innalzamento di tutti, per porre il PSI, in cima, sopra a tutto e tutti.  Solo così si potrà costruire un futuro per i nostri figli, andiamo a Genova apportando dieci, cento, mille  pensieri, ma facciamo si che ne esca uno comune di  tutti, per tutti.  Avanti, con Socialismo XXI. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NON MOLLARE!

  di Vincenzo Lorè – Responsabile comunicazione Socialismo XXI |   Una settimana fa è stato pubblicato su socialismoitaliano1892.it un interessante articolo di Pierluigi Battista: L’ASSURDA AMNESIA SULLA STORIA SOCIALISTA. Colpisce un tratto del pezzo dove si cita il titolo del libro di Alain Jaubert il “Commissariato degli archivi“. Come sulla cancellazione della storia socialista non vi è stato nessun “Commissariato”, ma si è provveduto tout court a distruggere i reperti scomodi del passato, come accade negli Stati totalitari. In tanti, ingenuamente, altri per mero opportunismo, hanno pensato, che il socialismo potesse ri-nascere nei movimenti populisti costituitosi recentemente, in quelli personali o in quei partiti senza identità dimostratisi poi, solo dei veri e propri comitati elettorali e di potere. Al contrario, abbiamo sempre pensato che la questione socialista è un tema fin troppo serio, e ne siamo stati da subito consapevoli che per poter essere affrontata e risolta, non sarebbe mai stata sufficiente una rimpatriata di coloro che nel passato hanno militato o votato per il PSI storico o recuperando personaggi che non possono avere nessuna credibilità. Chi è stato socialista nel passato remoto o prossimo che sia, non è detto che lo sia ancora, anzi si è comportato come quel rabbino che convertitosi al cattolicesimo diventò uno dei protagonisti della Santa Inquisizione a Burgos. Si può diventare socialista senza esserlo stati: Terracini, Giolitti, Macaluso, Trentin, ne sono un esempio tra i tanti. Il recupero della tradizione e della cultura socialista è un tema centrale e rilevante ed è il motivo per cui Socialismo XXI è nato ed ha posto nella sua progettualità un chiaro percorso. E la sfida vera non si fonda soltanto sul terreno del pensiero, ma nell’azione. La riorganizzazione attraverso un metodo (definito Epinay italiana), condiviso dalle altre Organizzazioni socialiste, ora costituitesi nel CUS (Comitato per l’Unità Socialista) insieme a personalità provenienti da altre esperienze della sinistra è l’atto finale che potrà consegnarci una forza socialista UNITARIA che ritornerà a contare nel panorama politico nazionale. Il Psi nenciniano è ormai ridotto ad un ectoplasma, tant’è, anche quei bravi compagni che ancora vi militano ed esprimono il loro dissenso forte, stanno capendo che l’unica strada è seguire il progetto di Socialismo XXI. Anche coloro che per anni e anni hanno fatto dell’antisocialismo la loro arma, iniziano a riflettere e in molti articoli di autorevoli antisocialisti, si nota con soddisfazione, che la sostituzione di Socialismo con Riformismo non funziona più, ormai da un pò di tempo chiamano le cose con il loro nome e il riformismo è ormai palesemente inadeguato, oltreché inflazionato, in quanto è solo un metodo di azione politica e non un fine. Tuttavia, non aspettiamoci regali, ci si potrà liberare da un vincolo e da una maledizione, riconsegnando, a quelli di noi (pochi) che in questi anni hanno battagliato in solitudine per ricostruire una idea positiva del socialismo, la possibilità di tornare a pensare che un’altra idea per l’Italia è possibile: quella di un socialismo democratico e riformatore, dipenderà da noi se sapremo continuare in quest’opera e se sapremo costruire per davvero un nuovo modello di socialismo adatto alla società del XXI secolo. Occorre per i socialisti proseguire nella ricostruzione, nella riorganizzazione e soprattutto NON MOLLARE! Si stanno alzando dense nubi sulla democrazia italiana e non possiamo assolutamente limitarci ad essere spettatori passivi.           SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

INCENTIVO

  di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   Impulso, stimolo di entità notevole se pure non direttamente determinante; occasione, spinta; part., nel linguaggio economico, qualsiasi misura o provvedimento diretto a creare condizioni più favorevoli all’aumento della produzione, allo sviluppo di processi produttivi, ecc. ● Incentivo fiscale, riduzione di imposta applicata a chi effettua investimenti in particolari aree o settori produttivi. L’incentivo è quindi lo strumento con cui una persona o una istituzione, regala opportunità economiche ad un’altra persona o istituzione, affinché quest’ultima compia una operazione ritenuta utile dall’incentivante, ma che senza l’incentivo l’incentivato non farebbe. L’incentivante in tal modo, mediante una regalia, fa eseguire all’incentivato una operazione che l’incentivante ritiene utile, ma che l’incentivato non effettuerebbe ma che invece esegue solo per la regalia che ne consegue. Abbiamo quindi due soggetti: a) l’incentivante che non può o non vuole eseguire un’operazione che l’incentivante ritiene utile, b) l’incentivato che non vuole eseguire quell’operazione che evidentemente non ritiene utile, ma che la esegue solo per il regalo che gli viene corrisposto. In campo economico è da ritenere che l’operazione proposta dalla istituzione incentivante persegua un fine sociale, mentre l’incentivato usato dall’incentivante per perseguire il suo fine sociale, persegue unicamente il suo fine personale. Si evidenzia subito la diversa collocazione politica dei due interessi, ovvero l’interesse sociale versus l’interesse personale. Nel nostro paese la costituzione, all’articolo 42, dà una linea guida a questo elemento dialettico quando sancisce che “la legge (…) assicura la funzione sociale” della proprietà privata. In questo contesto occorre porsi due domande: di chi sono i fondi che lo stato utilizza per finanziare gli incentivi e perché lo stato non può o non vuole perseguire direttamente l’obiettivo sociale che si è preposto. Di chi sono i fondi che finanziano gli incentivi ed effetto di classe  Se l’incentivo fosse concesso da un magnate egli userebbe i suoi soldi, lo stesso non può dirsi di quando l’incentivante è lo stato, in questo caso infatti i fondi promessi dall’incentivante sono suoi ma provengono dalle imposte, provengono dai contribuenti. C’è allora un effetto redistributivo tra classi sociali, nel senso che i soldi dei contribuenti sono regalati sotto forma di incentivo alle imprese e, in ultima analisi, al capitale. Per dimostrare che l’incentivo fiscale è un regale che, prima o poi, va a favore del capitale supponiamo un’impresa che abbia un utile pre-imposte pari a 1.000€, ed un incentivo fiscale di 100€, esaminiamo inoltre che succede nel caso in cui l’impresa non distribuisca l’utile ovvero lo distribuisca ai soci.   VOCI BILANCIO CIVILE senza incentivo BILANCIO CIVILE  con incentivo Calcolo imponibile fiscale Utile pre incentivo e pre imposte 1.000 1.000 1.000 Incentivo fiscale 0 0 -100 Utile pre imposte 1.000 1.000 900 IRES 24% 240 216   Utile netto 760 784   Imposta sui dividendi 26% 198 204   Dividendo netto 562 580   % due imposte su utile pre imposte 44.4% 42.0%   Se l’impresa non distribuisce il dividendo l’effetto fiscale dell’incentivo va a favore del netto patrimoniale dell’impresa, si attua in tal modo la parziale non imponibilità degli utili reinvestiti (ma prima o poi gli utili saranno distribuiti); se invece gli utili sono distribuiti il vantaggio fiscale non va a beneficio dell’impresa ma va a compensare il capitalista. Ora uno stato attento all’incremento dell’indice della disuguaglianza, indice Gini, deve ben giudicare sugli effetti sociali dell’incentivo che comunque costituisce un trasferimento di ricchezza dal contribuente (per la più gran parte non rappresentato dai capitalisti) al capitale. Oltre ad aver rilevato che l’incentivo fiscale costituisce un trasferimento netto a favore del capitale, occorre anche esaminare gli effetti indesiderati di alcuni incentivi: ● l’esenzione contributiva all’impresa che assume a tempo indeterminato, oltre che regalare fondi al capitale ha l’effetto benefico di aiutare l’occupazione non precaria. Occorre tuttavia rilevare che con questo incentivo ben difficilmente si aumenterà l’occupazione totale che non aumenta certamente per il sol fatto di avere un risparmio nel costo del lavoro, ma dipende invece fondamentalmente dall’aumento della domanda. L’incentivo, oltre che a orientare a favore della assunzione a tempo indeterminato rispetto al tempo determinato, avrà ripercussione sull’effetto Ricardo, cioè sposterà le scelte dell’imprenditore tra l’acquisto di un macchinario o l’assunzione del lavoratore. Bene si dirà, spostare le scelte imprenditoriali verso l’assunzione di lavoratori, ma in tal modo si perpetua un modello economico basato sul basso costo del lavoro, minando alla base quella produttività che è ferma ai blocchi da più di trent’anni. L’incentivo quindi se a breve può essere visto con condiscendenza, a lungo condanna il paese all’emarginazione riproducendo una economia fondata sul basso costo della mano d’opera. ● Il bonus bici tende a stimolare la domanda di mezzi di trasporto non inquinanti perseguendo quindi un obiettivo di riduzione di emissione di CO2. In questo caso non si premia il capitale, ma paradossalmente, almeno in un primo tempo, si aumentano le importazioni di monopattini elettrici perché noi non ne produciamo.  Secondo Confartigianato, come riportato da AGI, il 39% del mercato italiano è detenuto dall’azienda cinese di elettronica di consumo Xiaomi. A seguire, nella classifica dei monopattini elettrici più venduti in Italia, ci sono Segway, Hudora, Nilox, Nito e Vivobike. Perché lo stato non persegue direttamente i suoi obiettivi? Non ho dubbi a ritenere gli incentivi Calenda che permettono di ammortizzare al 200% gli investimenti fatti in innovazione, digitalizazione, automazione, robotistica affrontando in tal modo la rivoluzione 4.0 siano incentivi efficaci e determinanti per la competitività della nostra economia. Rimane fermo che comunque questi incentivi gravano sui contribuenti a beneficio delle imprese che così possono essere più competitive, ma se queste distribuiscono i dividendi, e prima o poi lo faranno comunque, alla fine si risolvono in un trasferimento netto da contribuenti a capitale. Perché allora gli stessi fondi regalati dallo stato (in vero dai contribuenti) al capitale, non vengono usati per investire nelle stesse imprese beneficiate dagli incentivi, sotto forma di capitale con cui lo stato (i contribuenti) partecipano alle iniziative ritenute benefiche per la società. Gli incentivi si trasformano in partecipazioni la cui titolarità è dello stato (dei contribuenti) evitando …

PER UNA NUOVA QUESTIONE SARDA

  di Vincenzo Carlo Monaco – Coordinatore Regionale Socialismo XXI Sardegna |   Altro che “ questione sarda 2.0”, per i Sardi e la Sardegna è necessaria una “ Nuova Questione Sarda “espressione di un cambiamento evoluzionario e non di una seconda edizione di continuità, ma una Questione che recuperi lo stato iniziale di salubrità e vivibilità pre-industriale selvaggia e speculativa offerta come miracolo economico e sociale, dimostratasi sino ad oggi illusoria e fallimentare. Una nuova questione che deve basarsi sulla scoperta della Autodeterminazione dei Sardi, non in termini di indipendenza autarchica e referenziale, ma di capacità di guardare il mondo globale per cogliere con lungimiranza, opportunità nuove compatibili con una vita “felice” , una recuperata compatibilità con la nostra terra ed il nostro popolo.  Osservando la situazione attuale, la classe politica e dirigenziale si è dimostrata altrettanto fallimentare su tutti i fronti, non ultimo quello della Democrazia e della Rappresentatività Partecipativa rendendo più debole la squadra che in Parlamento deve proporre, sostenere ed ottenere i risultati previsti e richiesti. La svendita dei territori, del mare, dei sogni dei sardi, nonché i regali ai privati senza scrupoli dei patrimoni materiali ed immateriali per soluzioni economiche ed anche politiche di parte, ha caratterizzato per 70 anni la classe dirigente sarda in azioni spregiudicate, nascoste dietro a concetti di competitività e di un falso sviluppo. Decine di migliaia di lavoratori e di giovani emigrati, sono stati immolati sulla strada dei profitti altrui, di insufficienze strutturali e di tentativi di annientamento culturale. Le banche sarde sono state regalate a favore di interessi al di là del mare e le produzioni tradizionali ed innovative in tutti i settori sono state umiliate in cambio di presenze economiche e finanziarie multinazionali nell’industria e nel commercio. Soltanto ricominciando da capo, su una nuova strada del vivere e dell’essere si potranno richiedere bonifiche risolutive, soluzioni bancarie pulite, nuove forme di trasporto interno ed esterno, superando l’isolamento, presenza di nuove imprese in tutti i settori anche innovativi, per interscambiare con i paesi dell’Europa e del mondo, soluzioni di vera qualità e sicurezza nella efficacia dei prodotti e dei servizi in cui siamo capaci. La dissoluzione in atto dell’industria in Sardegna con la fuga dell’Eni con le sue promesse disattese che preparano per molti lavoratori di Portotorres e Macchiareddu un futuro incerto, il bluff della Chimica Verde, la Saras con il suo stato dì crisi con la Cassa Integrazione in arrivo per i suoi 1300 dipendenti ed i possibili guai giudiziari sui prezzi del greggio della precedente gestione, la Keller al tramonto con i suoi treni mentre sbarcano i treni Swing prodotti in Polonia per una rete ferroviaria più da museo che da alta velocità, la grande illusione della Valle del Tirso di Ottana, le politiche di smaltimento dei rifiuti di importazione e di quelli infetti da Covid, le mancate ed  infinite bonifiche delle aree industriali e militari, con centinaia di morti da uranio impoverito o da malattie cancerogene, sono solo alcune delle ultime notizie che i media riportano in questi giorni. Questi fallimenti richiedono una nuova classe dirigente se consideriamo anche  le ingenti risorse impegnate con finanziamenti pubblici dal livello regionale a quello comunitario. Ed a proposito dei Fondi comunitari, al 30 giugno scorso la spesa certificata e spesa dalla Sardegna è stata del 26,84% sul FERS e del 27,39% su FSE riferendoci al Programma Operativo Regionale 2014/2020. Con una spesa certificata di 250 milioni di euro su 931milioni di risorse disponibili, si rischia a fine programma, considerando anche le possibili proroghe per la spesa a causa del Covid, di non spendere e veder dirottate i residui fondi a favore delle regioni più virtuose. Per non parlare poi della dissoluzione del Sistema Sanitario a favore della sanità privata, e delle difficoltà createsi con quest’anno con il Covid e l’effetto trascuratezza delle migliaia e migliaia di visite ed interventi rinviate per i malati di tutte le delicate malattie che da urgenti sono passate in secondo piano o dimenticate. E la politica Energetica regionale, che in previsione del superamento dei fossili dal 2025, programmato dalla Unione Europea, non potrà essere realizzata per mancanza di una strategia alternativa di efficaci produzioni elettriche rinnovabili, ma veramente rinnovabili, facendo pagare da sempre ai sardi una bolletta elettrica più cara rispetto ai cittadini italiani, nonostante le esportazioni dedicate di energia prodotta in Sardegna e trasferite tramite gli elettrodotti SACOI e SAPEI?  E la mancata continuità territoriale, affidata a vettori ed armatori che a piacimento rendono onerosi i trasferimenti con l’Italia e con l’estero da troppi anni, umiliando il diritto alla mobilità dei sardi? E che dire quindi della continuità territoriale incompiuta, in un mondo di mobilità flessibile che peggiora lo stato dei malati costretti a curarsi fuori dalla Sardegna per il pendolarismo sanitario. Un mare di problemi per le famiglie irrisolti da un pessimo utilizzo dello Statuto di Autonomia Speciale? Ed ultima ma non ultima, la politica Agraria, Pastorale e di Allevamento, in continua lotta per la sopravvivenza di un settore nel passato riconosciuto fondamentale per lo sviluppo anche turistico della Sardegna? Ed un turismo crescente nel tempo ma indefinito nelle risposte settoriali e strutturali, sfavorito da una storica mancanza di vera strategia e da  una altalenante politica di accesso alla isola? E le politiche culturali e della istruzione scolastica, considerando la specialità linguistica e storica della Sardegna, con il potenziale specialistico Universitario riconosciuto e confermato dai nostri ricercatori di successo all’estero? E la scarsa valorizzazione del patrimonio storico e strutturale  dei monumenti antichi e  moderni che potrebbero rappresentare una attrazione per tutto il mondo, tenuto conto della unicità ed originalità nuragica? E le inefficaci politiche dl lavoro e della formazione professionale che stanno causando una silenziosa emigrazione di giovani sui quali i genitori hanno investito sperando di poterli tenere vicini ed affermati nei settori per i quali hanno studiato? Quanti altri punti interrogativi potremmo aggiungere come causa di una affermazione mancata del potenziale della Sardegna? Certo, queste osservazioni possono essere considerate di parte, e non sottovalutiamo anche la buona fede di molti dei …

L’ASSURDA AMNESIA SULLA STORIA SOCIALISTA

di Pierluigi Battista | Damnatio memoria è forse è troppo, ma questa cancellazione di ogni sia pur minimo frammento che ricordi la tradizione socialista italiana, questo annichilimento persino lessicale, questa sparizione assoluta di un pezzo importante della nostra storia, come vogliamo definirla? Se persino un “post” assoluto come Matteo Renzi, uno che con la tradizione comunista non ha niente a che fare e anzi sta smantellando ogni traccia residuale di ideologismo di marca comunista, se persino lui, senza nemmeno avvedersene, schiaccia tutta la storia della sinistra italiana come emanazione del Pcí, che segno è? Dice Renzi che la sinistra nemmeno votò a favore dello Statuto dei lavoratori con l’articolo 18. Ma come lo Statuto dei lavoratori è stato fatto dalla sinistra, quella socialista. Il padre dello Statuto è stato un socialista, Giacomo Brodolini e il suo Ispiratore un grande glaslavorista socialista, Gino Giugni. E invece passa l’idea che la «sinistra» sia stata contro. Il socialismo espulso dalla storia e dalla sinistra. Una dimenticanza ma molto eloquente. Fa bene sul Foglio Guido Vitiello, a menzionare, con ironia e conservando il senso delle proporzioni, qualche precedente. Come le “mani” di Karl Radek che continuavano a dimenarsi, staccate dal corpo del loro proprietario, nel filmato, di un congresso della Terza Internazionale»: Stalin voleva azzerare ogni traccia del dirigente bolscevico caduto in disgrazia, ma quei particolare delle mani gli era sfuggito. Oppure le tre versioni nelle fotografie della Rivoluzione cubana. «a prima con Castro che parla animatamente accanto a Carlos Frenqui e ad Enrique Mendoza» nella terza, strappati via i dissidenti Frenqui e Mendoza solo Castro che parla come uno squilibrato. Ma sulla cancellazione della storia socialista nessun “Commissariato degli archivi“, come si intitola uno splendido libro di Alain Jaubert provvede a distruggere i reperti scomodi del passato, come accade negli Stati totalitari. Qui è solo il trionfo del più vieto luogo comune, l’incapacità di capire, secondo gli stereotipi del senso comune, quanto sia stata importante il riformismo socialista nella storia italiana fino a Bettino Craxi, anzi soprattutto con l’accelerazione modernizzatrice impressa da Craxi, mentre il Pci ancora non aveva ancora spezzato il legame di ferro con le mitologie del comunismo realizzato. Un luogo comune così pervasivo da sfiorare persino un “campione” della politica post-ideologica come Renzi. Tratto dal Corriere della Sera.     SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CONCLUSIONI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA CONCLUSIONI Il dibattito all’interno della sinistra italiana negli anni 1945-1948 sulla natura sociale dell’Unione Sovietica si caratterizza per avere identificato sostanzialmente quattro diverse definizioni teoriche di quel modello politico-economico. Inutile dire che ogni definizione cozzi inevitabilmente con l’altra e contribuisca a specificare, nelle linee generali, la particolare ideologia di ogni forza politica. Il giudizio espresso dai vari partiti della sinistra italiana a proposito della realtà sociale dell’Unione Sovietica, inoltre, testimonia pure delle differenti concezioni del socialismo che ciascuno di loro intendeva difendere e realizzare. Vi è un’altra questione da non trascurare: quei quattro tipi di giudizio che in quegli anni furono postulati ed approfonditi posseggono la validità anche in sé, in quanto quelle tematiche caratterizzano pure il dibattito odierno sulla natura sociale dello Stato sovietico. Questo studio possiede dunque una duplice dimensione: da un lato serve come strumento di conoscenza politico teorico dei partiti di sinistra in un momento particolarmente delicato del loro sviluppo (gli anni immediatamente seguenti alla caduta del fascismo), dall’altro ci fornisce una panoramica delle possibili interpretazioni dell’esperimento sovietico che, a tutt’oggi, non sono stati ancora abbandonate dagli storici e dai teorici del movimento operaio. Di queste questioni ci occuperemo in queste pagine conclusive, sforzandoci di amalgamare tutti gli elementi di cui abbiamo trattato nelle pagine precedenti in maniera analitica (eviteremo perciò di riportare nei dettagli dimostrazioni ed argomentazioni già abbondantemente trattate). Le quattro diverse definizioni del modello sovietico sviluppate dai partiti della sinistra italiana in quegli anni furono, sappiamo, le seguenti: ‘collettivismo burocratico’, ‘capitalismo di Stato’, ‘socialismo realizzato’ e ‘stato operaio degenerato – stato socialista imperfetto’. PARTE PRIMA PSLI, PSIUP, PCI E ANARCHICI I teorici del ‘collettivismo burocratico’ (socialdemocratici ed anarchici) sostengono che il modello sovietico non fosse assolutamente socialista, in quanto la nuova classe dominante, nel senso marxista del termine, si era impadronita delle leve del potere politico ed economico. Questa classe che deteneva la proprietà collettiva dei mezzi di produzione era la burocrazia, ossia tutta la compagine dei funzionari dello Stato sovietico e del partito bolscevico. Essa si era impadronita prima dei poteri politici dello Stato e successivamente dei poteri economici tramite la nazionalizzazione dell’economia industriale, la collettivizzazione delle terre e la pianificazione dell’intera economia. Con la nazionalizzazione, le fabbriche, trasformatesi in proprietà dello Stato, divennero, attraverso questa via, proprietà collettiva della burocrazia, padrona indiscussa dei poteri statali. Con la coltivazione agricola pure le campagne furono sottomesse al dominio della burocrazia statale e furono, di conseguenza, obbligate a fornire una parte stabilita della loro produzione allo stato a prezzi da questo fissati (in pratica si trattava, a loro parere, di una pura e semplice requisizione). Con la pianificazione, infine, la burocrazia poté gestire la produzione, orientandola decisamente nel proprio interesse e nell’interesse del rafforzamento, soprattutto militare, dello Stato sovietico (la difesa del quale significava pure la difesa dello strumento attraverso il quale la nuova classe esercitava il proprio potere). Questo comportò come conseguenza inevitabile la compressione dell’industria produttrice dei beni di consumo, provocando enormi ed ineliminabili disagi per tutta la popolazione. Il nuovo stato, sorto dai ruderi della Rivoluzione d’Ottobre, può essere definito socialista solo da ciechi. La sua struttura economica e politica non può però nemmeno essere avvicinata al modello capitalista. Non esiste più in URSS l’elemento del capitalismo: la ricerca del profitto mercantile. Neppure esiste più il mercato, sostituito dalla pianificazione economica. Il sistema sovietico, quindi, costituisce un nuovo modello storico di sfruttamento del lavoro: il ‘collettivismo burocratico’, appunto. Nuova forma economica – politica (analoga ai sistemi nazifascisti) che non costituisce neppure un progresso storico rispetto alle precedenti, semmai un regresso verso forme feudali e schiavistiche di sfruttamento. Lo stato sovietico, infatti, e, tramite esso la burocrazia, si è impadronito non solo della forza lavoro, come avviene nei sistemi capitalistici, ma dell’intera vita del lavoratore, trasformato da libero prestatore della forza lavoro in servo di stato. Lo stato totalitario si è impadronito di tutti i poteri della società civile e rappresenta la sintesi mostruosa del nuovo regime. Nessun pertugio di libertà e di democrazia è più lasciato aperto nella società sovietica. Questa, schematicamente, la teoria del ‘collettivismo burocratico’. Il merito di averla strutturata e sviluppata spetta, come abbiamo abbondantemente mostrato, all’italiano Bruno Rizzi che nel 1939 scrisse “La bureaucratisation du Monde”. Nell’ambito della sinistra italiana essa fu ripresa e fatta propria, oltre che dagli anarchici, pure dai teorici socialdemocratici degli anni ’40. Questi non conobbero Rizzi e la sua opera, stampata a Parigi in un numero limitatissimo di copie, prova ne sia il fatto che l’autore della “Bureaucratisation…” non viene mai citato né chiamato in causa nei loro articoli. Conobbero, però, indirettamente la sua teoria attraverso gli scritti di un leader del partito che poteva esercitare sul loro pensiero un’ influenza profonda (e che, a mio parere, la esercitò senz’altro), Giuseppe Saragat. Questi, infatti, aveva certamente letto il libro di Rizzi del 1939 (era infatti esule a Parigi in quegli anni) e ne aveva assorbito i concetti contenuti al punto tale che alcuni suoi articoli, pubblicati sul giornale socialista “Il nuovo Avanti!”, stampato a Parigi, a partire dal 6 gennaio 1940 possono essere considerati semplicemente come dei riassunti e una chiosa delle tesi di Rizzi, come abbiamo abbondantemente mostrato nelle pagine precedenti. Alcune frasi ed espressioni usate da Saragat sono infatti non solo simili, ma addirittura identiche a quelle di Rizzi. In questo modo va individuata, secondo me, la linea di derivazione del pensiero socialdemocratico da quello di Rizzi del 1939: tutti gli articoli pubblicati infatti dalle riviste socialdemocratiche del periodo oggetto di questo studio sono tesi alla dimostrazione e all’illustrazione dei vari aspetti della società sovietica alla luce della teoria del ‘collettivismo burocratico’. Il discorso sulle influenze non si ferma a Rizzi, procede invece più indietro nel tempo e diventa al momento stesso più interessante. Si può infatti …

OSSERVAZIONI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA OSSERVAZIONI A) IL PENSIERO TROTZKISTA Il pensiero trotskista del periodo, riferito al modello sovietico, si caratterizza per una ripresa testuale, senza nulla aggiungere e nulla togliere, del pensiero del maestro e in particolare della tesi da lui lucidamente e chiaramente espressa nel suo libro “La Rivoluzione tradita” (33). Per quanto riguarda quindi la valutazione del loro pensiero si possono utilizzare gli stessi argomenti che già Rizzi aveva enucleato nelle critiche rivolte all’ex leader bolscevico. Poiché questo processo si affronterà nell’ultima sezione di questo lavoro, la conoscenza da parte del lettore di ciò che precede mi facilita enormemente e mi esime dal ripetere nel dettaglio considerazioni ed argomenti svolti in precedenza. Posso, molto sinteticamente (questo non per sminuire l’importanza del pensiero trotskista, ma per non appesantire il lavoro con ripetizioni inutili), richiamare gli argomenti dei teorici del ‘collettivismo burocratico’ con i quali, ripeto, concordo sostanzialmente, al fine di mettere in rilievo quelli che a mio avviso sono i limiti del pensiero trotzkista sull’URSS. 1 – La burocrazia non è una casta che gioca la parte del leone nella distribuzione del reddito, ma una vera e propria classe in senso marxista, proprietaria collettiva dei mezzi di produzione. 2 – La pianificazione economica non costituisce un elemento progressivo del nuovo sistema economico instaurato in Russia, ma un elemento regressivo del modello di sfruttamento sovietico, lo strumento necessario che la burocrazia ha a sua disposizione per esercitare il suo controllo e il suo potere economico sui meccanismi produttivi e per indirizzare la produzione nel senso da lei preferito. 3 – La nazionalizzazione dei mezzi di produzione, analogamente, non sarebbe una misura politica proletaria, ma al contrario la via concreta percorsa dalla burocrazia per impadronirsi collettivamente dei mezzi di produzione. La proprietà statale di questi, infatti, se costituisce il superamento storico della forma della proprietà privata, non implica però, come vuole il pensiero trotzkista, una vittoria del proletariato a livello strutturale – economico. Essendo infatti la burocrazia proprietaria dei poteri dello Stato, con la statizzazione (nazionalizzazione) dei mezzi produzione, essa diviene pure proprietaria degli stessi, ed alla forma borgese della proprietà privata si sostituisce la forma burocratica della proprietà collettiva. 4 – La tesi trotskista, che afferma la necessità per il movimento operaio internazionale di difendere l’Unione Sovietica, in quanto così facendo si difende pure la nuova forma di proprietà statale dei mezzi di produzione attuata dal potere bolscevico, riduce il movimento operaio all’impotenza, in quanto cela il carattere di classe del nuovo regime e mistifica il carattere antiproletario della sua struttura economica. 5 – Infine la prospettiva di lotta indicata dai trotzkisti che auspica un rivolgimento politico che abbatta la casta burocratica e reintroduca la democrazia operaia conservando intatta la struttura economica basata sulla pianificazione e sulla nazionalizzazione dei mezzi produzione è altrettanto fuorviante poiché, lasciando intatte quelle che sono le basi economiche del suo dominio, sarà sempre possibile, anzi inevitabile, che essa risorga dalle proprie ceneri. Come si vede, il pensiero dei teorici del ‘collettivismo burocratico’, cui rimando il lettore a questo proposito, può essere benissimo e facilmente impiegato per una critica al pensiero trotskista. Questo non deve destare meraviglia, se teniamo presente il fatto che il primo che abbia sistematizzato quella teoria fu Bruno Rizzi che è uscito dalle fila trotskiste polemizzando vivacemente con lo stesso Trotzky a proposito della definizione della natura politica economica dello Stato sovietico. La teoria del ‘collettivismo burocratico’, nel libro di Rizzi, ha infatti come punto costante di riferimento polemico il pensiero trotskista che viene vivisezionato per essere poi analizzato e demolito. L’una, la teoria di Rizzi, è quindi la rielaborazione e allo stesso tempo il superamento dell’altra. B) IL PENSIERO SOCIALISTA 1 – Pensiero trotskista e pensiero socialista. Ho detto che il pensiero socialista del periodo, abbastanza povero di articoli sulla natura sociale dell’Unione Sovietica, si caratterizzò in alcuni dei suoi interventi per un aver riecheggiato alcune tesi tipiche del pensiero trotskista: fatto che ne giustifica la collocazione in questa parte del lavoro, se pur in una posizione autonoma. Voglio subito chiarire con un paragone cosa intendo per ‘riflesso’, cioè la ripresa di alcune tesi trotzkiste negli articoli socialisti. Si può intravedere questa influenza allo stesso modo in cui un osservatore esterno si immagina il panorama circostante a partire dai riflessi lasciati da questo sui vetri delle finestre di un edificio; in maniera, cioè, diafana e disarticolata. Cerchiamo ora di mettere in evidenza gli elementi di questa pallida influenza analizzando le tesi socialiste che più si avvicinano a quelle trotskiste. Cominciamo con le tesi di Riccardo Lombardi che più di tutti gli altri vi si avvicina. L’autore socialista, infatti, sostiene che la mancata rivoluzione mondiale abbia avuto un forte contraccolpo in Unione Sovietica, provocando il prevalere di elementi burocratici nazionalistici nella politica del governo bolscevico, elementi che Lombardi definisce ‘non certo socialisti’. È evidente, a questo proposito, la similitudine con le tesi della Quarta Internazionale che individuava le cause della burocratizzazione del regime e le cause della vittoria dello stalinismo nel mancato avvento della rivoluzione proletaria nei paesi industrializzati e nelle misere condizioni economiche in cui la Russia fu abbandonata a causa di quel fallimento. Se i trotskisti, a seguito di questa affermazione, sostennero che dopo la vittoria della burocrazia in Urss e la teorizzazione del ‘socialismo in un paese’, la politica internazionale del governo russo tese a trasformare il movimento proletario mondiale in uno strumento adatto e sottomesso ai propri scopi facendo così fallire la possibilità e le occasioni rivoluzionarie che si erano presentate nei vari paesi nel corso della storia, Lombardi d’altro canto mette in guardia contro lo stretto legame con Mosca, in quanto lo stato sovietico, burocratizzato e nazionalista, non avrebbe attuato una politica internazionalista ma avrebbe solo intralciato la strada all’avanzata del movimento proletario al fine di proteggere i …

STATO SOCIALISTA IMPERFETTO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA IL PENSIERO SOCIALISTA E LO STATO SOCIALISTA IMPERFETTO Potrà sembrare paradossale, e forse lo è sotto alcuni aspetti, collocare in queste pagine dedicate all’analisi della tesi trotskista pure gli interventi più interessanti scritti dai socialisti sulla natura del modello sovietico. I socialisti, infatti, ritengono nel loro complesso l’Unione Sovietica un paese socialista (con alcune imperfezioni) e non uno stato operaio degenerato. Ciò che mi ha fatto decidere circa la loro collocazione in questa sezione è la presenza, soprattutto in alcuni autori, di tesi tipiche del pensiero trozkista (come vedremo in seguito e come faremo meglio risaltare nelle pagine dedicate alle osservazioni). Questi temi, dicevo, ritornano anche se molto attutiti, quasi un eco ovattata, negli articoli di alcuni socialisti. Anche se quei pensatori definiscono lo Stato sovietico di tipo socialista, al pari dei comunisti, ho preferito differenziarli da questi in quanto la loro divergenza dai giudizi comunisti è fatta rilevare chiaramente da loro stessi. In un articoletto anonimo apparso sul quotidiano del partito il 10 novembre 1948 si afferma che ciò che distingue il pensiero comunista da quello socialista a proposito dell’Unione Sovietica non riguarda tanto il giudizio sugli sviluppi della Rivoluzione d’Ottobre, quanto quello sullo stato che dalla stessa rivoluzione è sorto: “Il punto che diversifica i socialisti dai comunisti è l’accordo su alcuni dei successivi sviluppi non della Rivoluzione russa, ma dello Stato che da quella rivoluzione è nato.” (14) Con questa affermazione, in altre parole, si vuole operare una distinzione tra quelle che sono le realizzazioni sociali ed economiche della rivoluzione e la sua sovrastruttura politica. Riccardo Lombardi, in una serie di articoli pubblicati sull’Avanti! (15), dà sostanzialmente ragione a questa tesi. Il chiodo sul quale Lombardi batte il martello con un’insistenza decisa è rappresentata dalle riflessioni sul problema degli effetti, positivi o negativi, cui avrebbe dato origine lo stretto legame intessuto dalle forze del movimento operaio internazionale con la politica di Mosca. In altre parole: la sudditanza dei partiti di sinistra agli interessi della politica sovietica favorisce la vittoria socialista del proletariato internazionale e facilita il cammino dello stesso socialismo sovietico, oppure rende entrambe le cose più difficili e spinose? Nell’articolo “Socialisti, comunisti ed unificazione” Lombardi risponde chiaramente affermando che, se da una parte i socialisti devono difendere ed aiutare fraternamente l’Unione Sovietica in quanto quello è il solo paese nel mondo nel quale “lo sfruttamento economico dell’uomo sull’uomo sia stato giuridicamente e di fatto abolito” e difenderlo, dice Lombardi, “indipendentemente dal giudizio che sul regime politico in esso instaurato possa darsi” (16), d’altra parte dovere delle forze socialiste è quello di difendere la propria autonomia dall’ apparato dirigente dell’Unione Sovietica. Le forze socialiste non devono perciò cadere nel vicolo cieco della subordinazione agli ordini del Cremlino, ma seguire situazione per situazione quella particolare linea politica che risulta essere di massimo rendimento per il raggiungimento dello scopo, cioè per la realizzazione di una società socialista : “La difesa e l’aiuto fraterno all’URSS, qualunque sia il giudizio che sul regime politico in essa instaurato possa darsi, è un dovere primordiale per ogni socialista che del socialismo non abbia rinnegato tutto e conservato solo il nome …. La difesa e l’aiuto fraterno all’Unione Sovietica devono essere esercitati dai partiti socialisti in piena indipendenza dall’apparato dell’Unione, non devono isterilirsi in una mera opera di assecondamento della politica dello Stato sovietico.” (17) Ogni successo del socialismo infatti, scrive Lombardi, oltre ad essere un passo in avanti per il proletariato internazionale è pure un apporto concreto alla difesa del socialismo russo. Ritorna, in altre parole, il concetto che, solo grazie al successo mondiale del socialismo, sia possibile la concreta realizzazione del socialismo stesso nei singoli paesi. L’autonomia dalla politica dello Stato sovietico è indispensabile al fine di evitare i pericoli e gli intoppi che la politica russa potrebbe creare alle forze proletarie internazionali. La subordinazione a Mosca si trasformerebbe in un freno insopportabile che rallenterebbe pericolosamente l’avanzata del socialismo: “Se, per esempio, i dirigenti dell’Unione Sovietica nella pienezza della loro responsabilità, reputassero utile ai fini della difesa e dell’incremento dell’Unione che determinate riforme socialiste mature per la realizzazione, fossero in questo o in quell’altro paese accantonate, che la classe operaia svolgesse una politica di attesa e di collaborazione laddove le possibilità di lotta vittoriosa esistono, ebbene in tal caso noi diremmo che i socialisti non dovrebbero affatto rinunciare alla lotta o accantonarla perché gli interessi permanenti del proletariato internazionale e, con essi quelli dell’Unione Sovietica, ne sarebbero in tal modo meglio serviti.” (18) Che quest’ipotesi non sia puramente retorica o fantasiosa, ma al contrario molto reale, è provato concretamente dai risultati dell’interferenza degli interessi sovietici nella determinazione, ad esempio, dalla politica di alcune forze della sinistra italiana. Lombardi sostiene infatti che l’accantonamento delle riforme di struttura e degli ideali che avevano alimentato la Resistenza al nazifascismo è dovuto all’influenza degli interessi della politica sovietica, tendente a dividere il mondo, assieme alle altre superpotenze, in sfere d’influenza rigidamente determinate: la vita e la ritirata delle forze proletarie in Italia sarebbe quindi il prezzo (‘usuraio’, dice Lombardi) pagato per permettere il pacifico svolgimento della rivoluzione in Europa orientale: “Il caso indicato come esempio che potrebbe apparire retorico non è poi tanto paradossale, se al congresso di Genova un autorevolissimo compagno ha potuto prospettare, sotto tale profilo, l’accantonamento delle riforme di struttura e dei postulati della Resistenza in Italia dopo il 25 Aprile, quale prezzo pagato per permettere il pacifico svolgimento della rivoluzione nell’Europa centro orientale. Noi possiamo giudicare che tale prezzo è stato ‘usuraio’.” (19) L’origine di questa particolare politica dello Stato sovietico, sostiene l’autore, ha una causa precisa: la mancata rivoluzione nell’Occidente industrializzato. Questo fatto ha provocato l’abbandono da parte bolscevica dei principi di libertà e di iniziativa popolare presenti nella Rivoluzione d’Ottobre ed ha provocato come risultato naturale lo …

STATO OPERAIO DEGENERATO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA “Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)” RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343 ANNO ACCADEMICO 1978-1979   PARTE QUARTA I TROTZKISTI E LO STATO OPERAIO DEGENERATO Il pensiero trotskista soffre degli stessi limiti evidenziati da quello bordighista: la scarsezza del materiale. Anche in questo caso, però, i pochi articoli non vanno a detrimento della qualità del discorso che possiamo anzi considerare completo ed acuto. Come già detto la definizione che in questo campo viene data dell’URSS è quella di ‘stato operaio degenerato’. Due sono i punti base, i pilastri dell’analisi trotskista sull’URSS: la burocratizzazione e la teoria del ‘socialismo in un solo paese’. Da queste due critiche al modello bolscevico si dipana il corpo della loro teoria. È affermato esplicitamente in un articolo: “La degenerazione burocratica dell’URSS determina l’origine storica dello stalinismo; la dottrina del ‘socialismo in un solo paese’ costituisce il fondamento ideologico di esso.” (1) La paternità delle critiche e l’individuazione di queste due storture del regime bolscevico vengono attribuite alle analisi di Trotzky, cui essi si richiamano in modo del tutto esplicito senza nulla togliere od aggiungere alla tesi sviluppate dal loro maestro. Afferma infatti Pablo in un articolo dedicato alla storia del movimento trotskista sulla rivista del loro movimento “Quarta Internazionale”: “Trotzky alla testa dell’opposizione comunista di sinistra aprì per primo il fuoco contro la teoria del ‘socialismo in un solo paese’, difesa immediatamente, dopo la morte di Lenin, da Stalin e contro la burocratizzazione accelerata del partito, dell’Internazionale Comunista e della vita sovietica in generale.” (2) La burocratizzazione del regime e la teoria del ‘socialismo in un solo paese’ sono considerati quindi i principali fattori responsabili della degenerazione dello Stato sovietico. Dal potere della burocrazia, nuova casta privilegiata economicamente (poiché dispone della maggior parte del reddito nazionale) e politicamente (poiché detiene tutto il potere nel paese, dove la democrazia operaia è stata calpestata e distrutta), deriva il carattere non socialista dello Stato sovietico. Questa casta, infatti, per assicurarsi ad accrescere i privilegi di cui gode è costretta ad opprimere il proletariato, sfruttarlo e ad impedire che in alcun modo esso intervenga nel determinare la politica dello Stato. La dittatura non è quindi più esercitata dal proletariato, ma dalla burocrazia. La teoria del ‘socialismo in un solo paese’ è, a loro parere, falsa, fuorviante e strumento della burocrazia staliniana, utile allo scopo di assicurarle il potere. ‘Falsa’ in quanto, secondo Marx e Lenin, il socialismo non potrà realizzarsi se non con la vittoria a livello mondiale del proletariato; ‘fuorviante’ per il movimento operaio russo ed internazionale in quanto riduce le energie del proletariato internazionale al rango di strumenti della politica moscovita, determinata dagli interessi della casta burocratica; ‘strumento della burocrazia staliniana’ in quanto comporta il rafforzamento dello Stato russo, arbitrariamente definito socialista, a tutto vantaggio della casta dominante che ne detiene il potere e gode di conseguenza di enormi privilegi. Questo, schematicamente, lo sviluppo di quelle critiche definite basilari, ma analizziamo ora nei particolari il loro concatenarsi negli articoli della rivista del movimento trotskista, cominciando dall’articolo “Le origini e le basi programmatiche della Quarta Internazionale”, non firmato (3), che può essere considerato il più completo in quanto contiene quasi tutti i temi della critica trotskista al modello sovietico ed è il più completo. L’autore attribuisce alla critica dello stalinismo sviluppata da Trotzky e dalla Quarta Internazionale un valore e un peso teorico di importanza notevole: “La critica allo stalinismo costituisce il contributo storico al marxismo da parte di Lev Trotzky e della Quarta Internazionale.” (4) Questa critica fa parte, a loro parere, del patrimonio storico del movimento operaio comunista. Il punto di partenza della loro critica è ancora una volta, come già per i bordighisti, la constatazione dell’ arretratezza dello Stato russo. Questo fatto convinse, afferma l’articolista, sia Lenin che tutti gli altri dirigenti bolscevichi della necessità della rivoluzione proletaria in Europa e nel mondo intero al fine sia di assicurare la difesa dell’URSS da attacchi esterni, sia di permetterle la realizzazione del socialismo. La mancata rivoluzione europea abbandonò la Russia sotto il peso della sua arretratezza e delle sue contraddizioni. Queste contraddizioni consistevano nel fatto che, accanto ai rapporti sociali di proprietà ‘proletari’ (dovuti alla nazionalizzazione del suolo, dei mezzi di produzione, eccetera), sussisteva un bassissimo grado di sviluppo dell’economia del paese che, a causa della conseguente bassa produttività, non poteva mettere a disposizione della massa della popolazione russa una produzione sufficiente al soddisfacimento dei suoi bisogni. Questa ristrettezza impose quindi un criterio di distribuzione del reddito dei prodotti in base alle norme borghesi (a ciascuno secondo il suo lavoro) e non socialiste (a ciascuno secondo i propri bisogni), creando quella diseguaglianza che permetterà poi il formarsi della casta privilegiata: “Senonché, venuta meno tale prospettiva ad una scadenza breve, la rivoluzione sovietica si trovò aggravata da tutto il peso della propria arretratezza e delle proprie contraddizioni, destinate ad accentuarsi anziché ad eliminarsi. Difatti, se da un lato la Russia per i suoi rapporti sociali di proprietà (nazionalizzazione del suolo, dei mezzi di trasporto e di scambio, monopolio del commercio estero) meritava a giusto titolo la qualifica di Stato proletario, dall’altro lato essa si trovava nell’impossibilità di raggiungere quell’alto sviluppo delle forze produttive che è un presupposto essenziale del socialismo. Data l’insufficienza delle forze produttive, si imponeva allo stato operaio l’applicazione di norme borghesi di distribuzione; e cioè, non potendosi assicurare a tutti il soddisfacimento totale dei bisogni, lo stato doveva decidere in quale misura dovesse avvenire la distribuzione del reddito nazionale. Di conseguenza criteri borghesi di distribuzione vennero applicati da parte degli strati burocratici, che si erano venuti sviluppando e consolidando nelle strutture dello Stato e del partito, e tali criteri finirono con il creare dei ceti privilegiati nella suddivisione del reddito nazionale.” (5) Questa casta privilegiata è quella che beneficerà più di tutti dell’aumentato volume della produzione, in quanto, se la produttività sovietica è di molto aumentata rispetto ai livelli …