di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Impulso, stimolo di entità notevole se pure non direttamente determinante; occasione, spinta;

part., nel linguaggio economico, qualsiasi misura o provvedimento diretto a creare condizioni più favorevoli all’aumento della produzione, allo sviluppo di processi produttivi, ecc.

Incentivo fiscale, riduzione di imposta applicata a chi effettua investimenti in particolari aree o settori produttivi.

L’incentivo è quindi lo strumento con cui una persona o una istituzione, regala opportunità economiche ad un’altra persona o istituzione, affinché quest’ultima compia una operazione ritenuta utile dall’incentivante, ma che senza l’incentivo l’incentivato non farebbe.

L’incentivante in tal modo, mediante una regalia, fa eseguire all’incentivato una operazione che l’incentivante ritiene utile, ma che l’incentivato non effettuerebbe ma che invece esegue solo per la regalia che ne consegue.

Abbiamo quindi due soggetti:

a) l’incentivante che non può o non vuole eseguire un’operazione che l’incentivante ritiene utile,

b) l’incentivato che non vuole eseguire quell’operazione che evidentemente non ritiene utile, ma che la esegue solo per il regalo che gli viene corrisposto.

In campo economico è da ritenere che l’operazione proposta dalla istituzione incentivante persegua un fine sociale, mentre l’incentivato usato dall’incentivante per perseguire il suo fine sociale, persegue unicamente il suo fine personale. Si evidenzia subito la diversa collocazione politica dei due interessi, ovvero l’interesse sociale versus l’interesse personale. Nel nostro paese la costituzione, all’articolo 42, dà una linea guida a questo elemento dialettico quando sancisce che “la legge (…) assicura la funzione sociale” della proprietà privata.

In questo contesto occorre porsi due domande: di chi sono i fondi che lo stato utilizza per finanziare gli incentivi e perché lo stato non può o non vuole perseguire direttamente l’obiettivo sociale che si è preposto.

Di chi sono i fondi che finanziano gli incentivi ed effetto di classe

 Se l’incentivo fosse concesso da un magnate egli userebbe i suoi soldi, lo stesso non può dirsi di quando l’incentivante è lo stato, in questo caso infatti i fondi promessi dall’incentivante sono suoi ma provengono dalle imposte, provengono dai contribuenti. C’è allora un effetto redistributivo tra classi sociali, nel senso che i soldi dei contribuenti sono regalati sotto forma di incentivo alle imprese e, in ultima analisi, al capitale.

Per dimostrare che l’incentivo fiscale è un regale che, prima o poi, va a favore del capitale supponiamo un’impresa che abbia un utile pre-imposte pari a 1.000€, ed un incentivo fiscale di 100€, esaminiamo inoltre che succede nel caso in cui l’impresa non distribuisca l’utile ovvero lo distribuisca ai soci.

 

VOCI BILANCIO CIVILE senza incentivo BILANCIO CIVILE  con incentivo Calcolo imponibile fiscale
Utile pre incentivo e pre imposte 1.000 1.000 1.000
Incentivo fiscale 0 0 -100
Utile pre imposte 1.000 1.000 900
IRES 24% 240 216  
Utile netto 760 784  
Imposta sui dividendi 26% 198 204  
Dividendo netto 562 580  
% due imposte su utile pre imposte 44.4% 42.0%  

Se l’impresa non distribuisce il dividendo l’effetto fiscale dell’incentivo va a favore del netto patrimoniale dell’impresa, si attua in tal modo la parziale non imponibilità degli utili reinvestiti (ma prima o poi gli utili saranno distribuiti); se invece gli utili sono distribuiti il vantaggio fiscale non va a beneficio dell’impresa ma va a compensare il capitalista.

Ora uno stato attento all’incremento dell’indice della disuguaglianza, indice Gini, deve ben giudicare sugli effetti sociali dell’incentivo che comunque costituisce un trasferimento di ricchezza dal contribuente (per la più gran parte non rappresentato dai capitalisti) al capitale.

Oltre ad aver rilevato che l’incentivo fiscale costituisce un trasferimento netto a favore del capitale, occorre anche esaminare gli effetti indesiderati di alcuni incentivi:

● l’esenzione contributiva all’impresa che assume a tempo indeterminato, oltre che regalare fondi al capitale ha l’effetto benefico di aiutare l’occupazione non precaria. Occorre tuttavia rilevare che con questo incentivo ben difficilmente si aumenterà l’occupazione totale che non aumenta certamente per il sol fatto di avere un risparmio nel costo del lavoro, ma dipende invece fondamentalmente dall’aumento della domanda. L’incentivo, oltre che a orientare a favore della assunzione a tempo indeterminato rispetto al tempo determinato, avrà ripercussione sull’effetto Ricardo, cioè sposterà le scelte dell’imprenditore tra l’acquisto di un macchinario o l’assunzione del lavoratore. Bene si dirà, spostare le scelte imprenditoriali verso l’assunzione di lavoratori, ma in tal modo si perpetua un modello economico basato sul basso costo del lavoro, minando alla base quella produttività che è ferma ai blocchi da più di trent’anni. L’incentivo quindi se a breve può essere visto con condiscendenza, a lungo condanna il paese all’emarginazione riproducendo una economia fondata sul basso costo della mano d’opera.

● Il bonus bici tende a stimolare la domanda di mezzi di trasporto non inquinanti perseguendo quindi un obiettivo di riduzione di emissione di CO2. In questo caso non si premia il capitale, ma paradossalmente, almeno in un primo tempo, si aumentano le importazioni di monopattini elettrici perché noi non ne produciamo.

 Secondo Confartigianato, come riportato da AGI, il 39% del mercato italiano è detenuto dall’azienda cinese di elettronica di consumo Xiaomi. A seguire, nella classifica dei monopattini elettrici più venduti in Italia, ci sono Segway, Hudora, Nilox, Nito e Vivobike.

Perché lo stato non persegue direttamente i suoi obiettivi?

Non ho dubbi a ritenere gli incentivi Calenda che permettono di ammortizzare al 200% gli investimenti fatti in innovazione, digitalizazione, automazione, robotistica affrontando in tal modo la rivoluzione 4.0 siano incentivi efficaci e determinanti per la competitività della nostra economia.

Rimane fermo che comunque questi incentivi gravano sui contribuenti a beneficio delle imprese che così possono essere più competitive, ma se queste distribuiscono i dividendi, e prima o poi lo faranno comunque, alla fine si risolvono in un trasferimento netto da contribuenti a capitale.

Perché allora gli stessi fondi regalati dallo stato (in vero dai contribuenti) al capitale, non vengono usati per investire nelle stesse imprese beneficiate dagli incentivi, sotto forma di capitale con cui lo stato (i contribuenti) partecipano alle iniziative ritenute benefiche per la società. Gli incentivi si trasformano in partecipazioni la cui titolarità è dello stato (dei contribuenti) evitando il trasferimento netto al capitale.

Abbiamo tre vantaggi evidenti: i fondi dei contribuenti rimangono dei contribuenti anche se sotto forma di partecipazioni statali; gli utili prodotti dai fondi investiti rimangono di spettanza dello stato così come rimane allo stato la possibilità di entrare nel CDA delle imprese partecipate e vigilare sul raggiungimento dell’obiettivo originario dell’incentivo; gli utili non vengono distribuiti rafforzando la patrimonialità aziendale o, nel caso vengano distribuiti, vanno a finanziare un fondo welfare finalizzato al rafforzamento del reddito di cittadinanza a favore dei lavoratori eventualmente espulsi dalla robotizzazione.

Naturalmente lo stato può perseguire lo scopo sociale per cui oggi si istituiscono incentivi, direttamente, creando cioè imprese a totale partecipazione statale; ciò non toglie che la sinergia pubblico-privato possa essere percorsa profittevolmente.