FERRAGOSTO INTERNAZIONALE
Non credo che venerdì, tra Putin e Trump, esca qualcosa di buono, non certo la pace, al massimo un cessate il fuoco passeggero. Ma ciò che voglio esaminare sono gli attori politici, presenti ed assenti in questo Ferragosto internazionale. Gli attori presenti sono Putin e Trump, quelli assenti sono l’Ucraina, l’Europa, la NATO, l’ONU e la Cina. Vediamo di esaminare le diverse situazioni: La fine di un’era Si incontrano Putin e Trump escludendo ogni altro attore; la situazione è quella classica in cui rileva la fine di una egemonia delle istituzioni internazionali, l’ONU in primis, per lasciar posto a posizioni imperialiste di singole potenze, qui però manca la Cina, che si presentano come i “padroni del mondo” o di quella fetta del mondo su cui si stende il loro potere. Siamo tornati a Yalta con la divisione dl mondo in aree di influenza, ma dopo quella data sono sorte tante istituzioni internazionali che hanno cercato di spostare la filosofia della forza e della potenza verso una filosofia ed un comportamento in cui prevalesse la ragione illuministica e positivistica. Certo le istituzioni hanno i loro limiti, per esempio quello del veto in consiglio di sicurezza, ma fondamentalmente predominava il diritto internazionale, che ha ispirato la Corte Penale Internazionale, il GATT poi divenuto WTO, il FMI e la banca mondiale e tante altre istituzioni che cercavano di attuare la razionalizzazione dei rapporti internazionali. L’inizio della terza mondiale a pezzi disegna il passaggio temporale da una fase razionale alla logica della potenza. Putin e Trump fondano la loro figura su questa era internazionale, si pongono come i designati dalla storia a governare le vicende del mondo. L’aggressore Putin è considerato l’aggressore non tanto da Trump quanto da quelli che si sentono di credere ancora nel diritto internazionale. La distinzione tra aggressore/aggredito sta a monte di tutta una posizione politica legalistica condivisa in via preminente dai paesi europei (non tutti però). Tuttavia, questo approccio pecca di semplicismo, fa partire la storia dal 2022 o al massimo ritornando al 2014 anno di invasione della Crimea e ignora che occorre tornare al 2001 quando fu promesso alla Russia che, dopo l’unificazione della Germania, la NATO non avrebbe superato di un pollice la linea dell’Elba.” “Non un pollice ad est” (Not one inch eastward) è una frase che si riferisce alle promesse fatte all’Unione Sovietica durante la riunificazione tedesca, che la NATO non si sarebbe espansa verso est, in particolare non avrebbe accolto nuovi membri dai paesi dell’ex blocco sovietico. Questa promessa, o presunta tale, è stata a lungo dibattuta e accusata da parte russa di essere stata violata con l’espansione della NATO dopo la Guerra Fredda.” Il pollice, tre centimetri, si è allargato a centinaia di chilometri, e la Russia dopo aver sciolto il patto di Varsavia, si è trovata accerchiata dalle truppe nemiche (ricordate i missili a Cuba?). Cui voleva aggregarsi anche una Ucraina che aveva messo in Costituzione l’adesione alla NATO. Fu Clinton a tradire la parola data che fa di Putin un aggredito/aggressore. In questa storia il comportamento di Putin è stato catastrofico: ha costretto Svezia e Finlandia, storicamente neutrali, a chiedere l’ammissione alla NATO ingigantendo l’accerchiamento, sta mostrando che il suo esercito stenta, nell’azione di operazione speciale, ad avanzare in Ucraina denunciando una scarsa capacità bellica, ma, ciò nonostante, è accusato di voler invadere tutta l’Europa con le sue truppe. L’aggressore Ed ecco Trump, l’uomo che, primo nella storia degli Stati Uniti, ha tentato un colpo di stato e che in pochi mesi della seconda presidenza, ha dichiarato una guerra mondiale a colpi di dazi. Un presidente che programma di invadere la Groenlandia non rendendosi conto che, aggredendo un paese europeo aderente alla NATO, dovrà schierare, in base all’art. 5 della NATO, le sue truppe contro sé stesso. Un presidente che si vanta in pochi mesi di aver raccolto 152 miliardi di dollari dai dazi che hanno colpito i suoi concittadini; un presidente che ignora il meccanismo dell’IVA e la considera un dazio discriminatorio; un presidente che gioca in borsa con i suoi decreti esecutivi; che insulta come parassiti i paesi di una unione, quella europea, che possiede la più alta quota di debito pubblico statunitense posseduta da un paese terzo. Che si fa forte non perché è forte ma perché sono i suoi interlocutori europei a presentarsi a lui come sconfitti prima ancora di impostare un dibattito. La filosofia del premier Meloni prima fautrice di questo atteggiamento servile è stata alla guida degli accordi (se così vogliamo chiamarli) sui dazi tra USA e Europa condotti dalla Fon der Leyen. Ebbene questo presidente che ha sfoderato un programma di governo mastodontico culminante con il cambio di nome del Golfo del Messico in Golfo dell’America, cerca una sua affermazione personale reclamando il Nobel per la Pace, pace di cui sta travolgendo tutte le norme comportamentali. Eppure, non riuscirà a distruggere l’economia statunitense, i veri detentori del potere USA, le multinazionali e i fondi pensione si ergeranno a opporsi, con la forza del capitalismo, a questo avventuriero. L’Europa Debole come non mai, incapace di trasformarsi da mercato a paese, rimane culturalmente a sostenere il diritto internazionale contro la incalzante avanzata della logica della forza. Ma la sua posizione è debole e sconnessa, al suo interno non ci sono posizioni chiare e responsabili: dalla subalternità a Trump della Meloni, al protagonismo zoppo di Macron, al grande ritorno della Gran Bretagna. Difendono l’Ucraina e i suoi diritti internazionali, ma si affidano al questuante Zelensky capace solo di chiedere soldi, armi e ad invocare una impossibile vittoria. Un deficiente nato. Se gli europei ripensassero a Wilson, rileggessero il patto Briand-Mc Kellog del 1938 (firmato da Vittorio Emanuele III), si leggessero l’art.11 della Costituzione Italiana, non ragionerebbero, per altro sconclusionatamente, solo di armi e soldi ma potrebbero, loro per primi, a essere il riferimento negoziale che con il confronto razionale capissero le ragioni dell’uno e dell’altro ricercando con ostinazione una soluzione diplomatica disarmata e disarmante, facendosi difensori insistenti del diritto internazionale e delle istituzioni internazionali ridotte a …