di Marcello Grotta | Era il 20 Novembre 1789 quando a San Leucio si sperimentò il primo esempio di repubblica socialista della storia moderna, e di realistica attuazione di quella tipica Utopia idealistico – razionalista dell’Illuminismo dell’epoca, specchio di tutte le più famose teorie utopistiche da Platone alla “Città del Sole” del calabrese Tommaso Campanella, a Tommaso Moro, con la istituzione di una Colonia, ad opera del re delle Due Sicilie, Ferdinando IV di Borbone, in quello stesso Regno dove, a dispetto delle mistificazioni diffuse dalla vulgata, insieme alla rinascita dell’industria della seta era fiorito l’Illuminismo del ‘700 napoletano grande fucina del pensiero politico meridionale e dell’Illuminismo italiano, con i contributi di grandi personaggi come Gian Battista Vico, teorico della storia e della vita delle nazioni, Pietro Giannone fondatore dello stato laico, Antonio Genovesi grande teorico dei canoni fondamentali dell’economia pubblica fino ai grandi giuristi e pensatori come Gaetano Filangieri, Bernardo Tanucci, Galiani, e Pagano. E’ curioso che l’esempio luminoso di questa utopia si debba a un despota illuminato, quando un altro despota illuminato, il re del Portogallo Giuseppe I, nello stesso periodo, aveva invece stroncato nelle colonie brasiliane le prime repubbliche socialiste della storia, le Encomiendas progettate, fondate e dirette dai Gesuiti. San Leucio era in origine una residenza di caccia di Ferdinando IV di Borbone, che dopo la morte prematura del figlio principe ereditario Carlo Tito, avvenuta alla fine del 1778, il re decise di destinare a quest’altro più utile utilizzo. La Colonia verrà chiamata Ferdinandopoli e sarà posizionata nei pressi della famosa Reggia di Caserta, in quello stesso territorio oggi tristemente noto per la presenza dei clan camorristici di Casal di Principe. Il suo Statuto, basato sul principio dell’eguaglianza dei cittadini, fu stilato personalmente dal re ed anche se si basava sui fondamenti tipici di una società cattolico-patriarcale, esso anticipava, sia pure nell’ottica del dispotismo illuminato, gli stessi concetti della Comune di Parigi del 1870, che invece fu notoriamente stroncata nel sangue. Era il 1789, a Parigi ribolliva la rivoluzione ed i cognati di Ferdinando IV finivano sotto la lama della ghigliottina, infatti il re di Napoli aveva sposato Maria Carolina d’Austria, sorella di Maria Antonietta di Francia, mentre a Napoli, invece, si celebrava il trentesimo anno di regno di Ferdinando IV. Il re, aveva scelto come suo luogo di ritiro una collina vicino alla Reggia, dalla vista stupenda, dove c’era, appunto, l’antica chiesetta di San Leucio, vescovo di Brindisi. Sul Belvedere aveva fatto costruire un casino di caccia, e vi aveva fatto insediare alcune famiglie affinché vi provvedessero. Quando i coloni crebbero di numero e diventarono una piccola comunità, erano ben centotrentuno, decise di fondare una colonia modello, dotata di autonomia economica, creandovi una seteria e una fabbrica di tessuti, con una propria Legge – il Codice Leuciano, codice politico e sociale, misto di socialismo reale e utopico, ispirato alla fede dell’arte e della tecnica manifatturiera – ed una struttura urbanistica organica e simmetrica. La fabbrica, s’ingrandì e produsse una gamma ricchissima di tessuti, anche se non ebbe mai uno sviluppo di tipo capitalistico, in quanto il lucro non era il suo fine. Era un’industria di Stato, ma al sevizio della collettività, e quindi molto diversa da quelle dei nostri tempi. I pilastri operativi della Costituzione di San Leucio-Ferdinandopoli, ispirati ai principi di uguaglianza, solidarietà, assistenza, previdenza sociale, diritti umani, erano tre: l’educazione veniva considerata l’origine della pubblica tranquillità; la buona fede come prima delle virtù sociali; e il merito la sola distinzione tra gli individui. Era vietato il lusso, gli abitanti dovevano ispirarsi all’assoluta eguaglianza, senza distinzioni di condizioni e di grado, l’abbigliamento era spartano, pratico e uguale per tutti. La Colonia era dotata di una fabbrica tessile che possedeva ben 82 ettari di terreno per i bisogni alimentari degli operai, che abitavano in case a schiera progettate dall’architetto Collecini. La vita, condotta secondo stilemi collettivi, era dura ma libera da vincoli padronali, dopo una sveglia alle prime luci del mattino, e dopo la messa, gli operai si recavano tutti insieme sul posto di lavoro, la fattoria e la fabbrica, con un’interruzione a mezzogiorno per il pranzo, riprendendo a lavorare alle 13,30 e terminando al tramonto. Il matrimonio era disciplinato al fine di preservare la comunità da pericolose influenze esterne. Se una ragazza voleva sposare un forestiero, riceveva una dote di cinquanta ducati e se ne doveva andare. Se accadeva il contrario, la sposa forestiera doveva seguire un corso di tessitura e poi entrava a pieno titolo nella comunità. I testamenti erano aboliti e l’eredità del defunto era divisa fra i figli e il coniuge superstite. Ove questi non vi fossero, l’eredità era incamerata dal Monte degli Orfani. Erano proibite le liti fra cittadini e i contrasti di poco conto venivano risolti dagli anziani e dal parroco. Esisteva anche un carcere con un sovrintendente. L’istruzione nella colonia era obbligatoria e l’educazione orientata a formare la coscienza civile, a partire dai sei anni di età, tutti indistintamente i fanciulli d’ambo i sessi, dovevano apprendere a leggere, scrivere, imparare l’aritmetica e il catechismo, poi in età adolescenziale i ragazzi erano messi ad apprendere un mestiere secondo le loro attitudini e i loro desideri. Obbligatoria anche la vaccinazione contro il vaiolo. I giovani potevano sposarsi per libera scelta, senza dover chiedere il permesso ai genitori, l’età minima. Le mogli non erano tenute a portare la dote, a questo provvedeva lo Stato, che s’impegnava a fornire la casa arredata e quello che poteva servire agli sposi. Venivano aboliti i testamenti: i figli ereditavano dai genitori, i genitori dai figli, quindi i collaterali di primo grado e basta. Alle vedove andava l’usufrutto. Se non c’erano eredi, andava tutto al Monte degli Orfani. Nella successione maschi e femmine avevano pari diritti. I capifamiglia eleggevano gli anziani, i magistrati (i cd. Seniori che restavano in carica un anno), e i giudici civili. Esisteva una Cassa di Carità, istituita per gli invalidi, i vecchi e i malati, che prestava denaro senza interesse a chi ne avesse bisogno e che provvedeva a erogare …
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