SESSANT’ANNI DALLA MORTE DI RANIERO PANZIERI

di Franco Astengo |

Nell’Ottobre del 1964 moriva, a soli 44 anni, Raniero Panzieri: figura ispiratrice di molte delle idee degli anni sessanta che influenzarono alquanto anche gli anni settanta. Fu dirigente del PSI in Sicilia e a Roma. Diresse la rivista Mondo operaio del PSI. In questo periodo tradusse il Capitale. Trasferitosi a Torino collaborò con la casa editrice Einaudi . Fondò la rivista Quaderni Rossi con altri, tra cui Mario Tronti e Toni Negri. Nella rivolta di piazza Statuto a Torino del 1962, intuì l’emergere della centralità della fabbrica e dell’operaio massa. Posizioni e ricerche che lo avevano fatto allontanare dal PSI e dalla sua corrente di sinistra nella quale aveva a lungo militato: un distacco che gli impedì anche di aderire, nel Gennaio 1964 pochi mesi prima della morte, allo PSIUP.

Attraverso l’elaborazione sviluppata su Quaderni Rossi, Panzieri riscoprì alcuni testi di Marx fino a quel punto largamente ignorati come la IV sezione del I libro del Capitale, il “frammento sulle macchine” dei Grundrisse, il Capitolo VI del Capitale (inedito), facendo emergere nel dibattito i concetti di sussunzione formale e di sottomissione reale del lavoro al capitale per indagare i processi di trasformazione economico – sociale e per analizzare l’organizzazione taylorista e fordista del lavoro.

Su quelle basi teoriche Panzieri elaborò i concetti di “operaio massa” e di “composizione di classe”.

Panzieri indicava la strada dell’alternativa in lotte di fabbrica che presentassero la richiesta di un controllo operaio sulla produzione (come produrre, per chi produrre) (con Lucio Libertini Panzieri fu autore di “sette tesi per il controllo operaio”).

L’avanzamento di questa domanda “tutta politica”, di presa di potere “nella e sulla fabbrica”, fu disconosciuta dalle organizzazioni ufficiali del movimento operaio, tutte intente – in quella fase – a muoversi sulla linea delle politiche keynesiane indirizzate alla sfera dei bisogni e dei consumi (era il momento del cosiddetto “miracolo italiano”).

Le lotte di fabbrica di quel periodo spiazzarono, però, l’analisi marxista ufficiale incentrata sulla arretratezza del capitalismo italiano, sulla necessità della ricostruzione nazionale e sull’esaltazione della capacità produttiva del lavoro.

L’analisi di Panzieri incontrò il limite del non incrociarsi con la possibilità di realizzare, in quella fase, una adeguata rappresentanza politica.

L’elemento dell’impostazione della lotta di classe dentro la modernizzazione capitalistica nel senso della costruzione dell’alternativa avrebbe dovuto costituire l’essenza dell’opposizione socialista al centro – sinistra che invece assunse la forma politicista dello PSIUP.

Forse lo PSIUP avrebbe potuto rappresentare un punto di coagulo intellettualmente all’altezza se all’interno di quel partito fosse stato possibile misurarsi con i temi della classe e del rapporto tra essa e la modernizzazione industriale in Occidente e le tendenze che essa avrebbe suscitato nel movimento operaio.

Lo PSIUP (Panzieri morì il 9 ottobre 1964 quando il partito era sorto da pochi mesi), si rivelò insufficiente per eccesso di politicismo e di legame con lo schema bipolare (tema che non si è affrontato in questa sede e che rimane comunque fattore decisivamente insuperabile in quell’epoca se pensiamo a ciò che si verificò, pochi anni dopo, con l’invasione della Cecoslovacchia e la successiva radiazione del gruppo del “Manifesto” dal PCI).

Si sarebbe dovuta rinvenire la capacità di uscire dall’egemonia dello schema togliattiano di lettura di Gramsci del “Risorgimento incompiuto” e dell’identità nazionale della classe operaia.

I due punti che Togliatti mutuò da Gramsci attraverso la pubblicazione “ragionata” dei Quaderni e che rimangono comunque le stimmate di identità peculiare del comunismo italiano anche rispetto al materialismo dialettico sovietico.

Un’identità consolidata ed egemone quella assunta dal PCI che poteva essere affrontata attraverso la rilettura, assieme ai nuovi classici della sociologia americana dell’epoca e dei teorici della Scuola di Francoforte anche dalla lettura di un altro Gramsci: quello di “Americanismo e fordismo”.

Rimane il “forse” che per quella strada si sarebbe potuti uscire dallo schema del “bipartitismo imperfetto”.

Dei “se” e dei “ma” però sono piene le fosse e in questo caso ne ho compiuto un utilizzo colpevolmente abusivo, ma Panzieri va ricordato anche in questo momento in cui la sinistra appare in ritardo nel comprendere la nuova complessità delle contraddizioni tra antico schema “materialista” e novità “post-materialiste”, tra struttura e sovrastruttura.