UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FILOSOFIA

“Il  dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica  all’interno della Sinistra Italiana (1943 – 1948)”

RELATORE: ch.mo Prof. GIORGIO GALLI

Tesi di laurea di: Massimo Ferrè Matr. n. 129343

ANNO ACCADEMICO 1978-1979

 

PARTE QUARTA

OSSERVAZIONI

A) IL PENSIERO TROTZKISTA

Il pensiero trotskista del periodo, riferito al modello sovietico, si caratterizza per una ripresa testuale, senza nulla aggiungere e nulla togliere, del pensiero del maestro e in particolare della tesi da lui lucidamente e chiaramente espressa nel suo libro “La Rivoluzione tradita” (33).

Per quanto riguarda quindi la valutazione del loro pensiero si possono utilizzare gli stessi argomenti che già Rizzi aveva enucleato nelle critiche rivolte all’ex leader bolscevico. Poiché questo processo si affronterà nell’ultima sezione di questo lavoro, la conoscenza da parte del lettore di ciò che precede mi facilita enormemente e mi esime dal ripetere nel dettaglio considerazioni ed argomenti svolti in precedenza. Posso, molto sinteticamente (questo non per sminuire l’importanza del pensiero trotskista, ma per non appesantire il lavoro con ripetizioni inutili), richiamare gli argomenti dei teorici del ‘collettivismo burocratico’ con i quali, ripeto, concordo sostanzialmente, al fine di mettere in rilievo quelli che a mio avviso sono i limiti del pensiero trotzkista sull’URSS.

1 – La burocrazia non è una casta che gioca la parte del leone nella distribuzione del reddito, ma una vera e propria classe in senso marxista, proprietaria collettiva dei mezzi di produzione.

2 – La pianificazione economica non costituisce un elemento progressivo del nuovo sistema economico instaurato in Russia, ma un elemento regressivo del modello di sfruttamento sovietico, lo strumento necessario che la burocrazia ha a sua disposizione per esercitare il suo controllo e il suo potere economico sui meccanismi produttivi e per indirizzare la produzione nel senso da lei preferito.

3 – La nazionalizzazione dei mezzi di produzione, analogamente, non sarebbe una misura politica proletaria, ma al contrario la via concreta percorsa dalla burocrazia per impadronirsi collettivamente dei mezzi di produzione. La proprietà statale di questi, infatti, se costituisce il superamento storico della forma della proprietà privata, non implica però, come vuole il pensiero trotzkista, una vittoria del proletariato a livello strutturale – economico. Essendo infatti la burocrazia proprietaria dei poteri dello Stato, con la statizzazione (nazionalizzazione) dei mezzi produzione, essa diviene pure proprietaria degli stessi, ed alla forma borgese della proprietà privata si sostituisce la forma burocratica della proprietà collettiva.

4 – La tesi trotskista, che afferma la necessità per il movimento operaio internazionale di difendere l’Unione Sovietica, in quanto così facendo si difende pure la nuova forma di proprietà statale dei mezzi di produzione attuata dal potere bolscevico, riduce il movimento operaio all’impotenza, in quanto cela il carattere di classe del nuovo regime e mistifica il carattere antiproletario della sua struttura economica.

5 – Infine la prospettiva di lotta indicata dai trotzkisti che auspica un rivolgimento politico che abbatta la casta burocratica e reintroduca la democrazia operaia conservando intatta la struttura economica basata sulla pianificazione e sulla nazionalizzazione dei mezzi produzione è altrettanto fuorviante poiché, lasciando intatte quelle che sono le basi economiche del suo dominio, sarà sempre possibile, anzi inevitabile, che essa risorga dalle proprie ceneri.

Come si vede, il pensiero dei teorici del ‘collettivismo burocratico’, cui rimando il lettore a questo proposito, può essere benissimo e facilmente impiegato per una critica al pensiero trotskista.

Questo non deve destare meraviglia, se teniamo presente il fatto che il primo che abbia sistematizzato quella teoria fu Bruno Rizzi che è uscito dalle fila trotskiste polemizzando vivacemente con lo stesso Trotzky a proposito della definizione della natura politica economica dello Stato sovietico. La teoria del ‘collettivismo burocratico’, nel libro di Rizzi, ha infatti come punto costante di riferimento polemico il pensiero trotskista che viene vivisezionato per essere poi analizzato e demolito.

L’una, la teoria di Rizzi, è quindi la rielaborazione e allo stesso tempo il superamento dell’altra.

B) IL PENSIERO SOCIALISTA

1 – Pensiero trotskista e pensiero socialista.

Ho detto che il pensiero socialista del periodo, abbastanza povero di articoli sulla natura sociale dell’Unione Sovietica, si caratterizzò in alcuni dei suoi interventi per un aver riecheggiato alcune tesi tipiche del pensiero trotskista: fatto che ne giustifica la collocazione in questa parte del lavoro, se pur in una posizione autonoma.

Voglio subito chiarire con un paragone cosa intendo per ‘riflesso’, cioè la ripresa di alcune tesi trotzkiste negli articoli socialisti. Si può intravedere questa influenza allo stesso modo in cui un osservatore esterno si immagina il panorama circostante a partire dai riflessi lasciati da questo sui vetri delle finestre di un edificio; in maniera, cioè, diafana e disarticolata. Cerchiamo ora di mettere in evidenza gli elementi di questa pallida influenza analizzando le tesi socialiste che più si avvicinano a quelle trotskiste.

Cominciamo con le tesi di Riccardo Lombardi che più di tutti gli altri vi si avvicina. L’autore socialista, infatti, sostiene che la mancata rivoluzione mondiale abbia avuto un forte contraccolpo in Unione Sovietica, provocando il prevalere di elementi burocratici nazionalistici nella politica del governo bolscevico, elementi che Lombardi definisce ‘non certo socialisti’. È evidente, a questo proposito, la similitudine con le tesi della Quarta Internazionale che individuava le cause della burocratizzazione del regime e le cause della vittoria dello stalinismo nel mancato avvento della rivoluzione proletaria nei paesi industrializzati e nelle misere condizioni economiche in cui la Russia fu abbandonata a causa di quel fallimento. Se i trotskisti, a seguito di questa affermazione, sostennero che dopo la vittoria della burocrazia in Urss e la teorizzazione del ‘socialismo in un paese’, la politica internazionale del governo russo tese a trasformare il movimento proletario mondiale in uno strumento adatto e sottomesso ai propri scopi facendo così fallire la possibilità e le occasioni rivoluzionarie che si erano presentate nei vari paesi nel corso della storia, Lombardi d’altro canto mette in guardia contro lo stretto legame con Mosca, in quanto lo stato sovietico, burocratizzato e nazionalista, non avrebbe attuato una politica internazionalista ma avrebbe solo intralciato la strada all’avanzata del movimento proletario al fine di proteggere i propri interessi di Stato, cosa che di fatto, sempre secondo Lombardi, si sarebbe realizzata in Italia negli anni che seguirono la Liberazione dal fascismo.

Infine, come i trotskisti sostengono che solo una rivoluzione mondiale può essere utile alla causa del socialismo russo, allo stesso modo Lombardi sostiene che la causa socialista dello Stato sovietico è meglio difesa dalla vittoria del proletariato in altre parti del mondo che non dal servilismo che Mosca vorrebbe imporre al movimento proletario internazionale.

Come si vede, quindi, i punti di contatto sono interessanti, anche se l’accordo non è completo. Lombardi, infatti, ritiene che lo stato sovietico sia socialista, anche se con qualche imperfezione (la burocrazia, lo statalismo, eccetera); l’autore socialista è quindi lontanissimo dalla definizione di ‘Stato operaio degenerato’ usata dai trotzkisti per definire il modello sovietico.

Lombardi inoltre non giudica necessaria alcuna ulteriore rivoluzione (democratica, come volevano i trotskisti) all’interno del paese, ritenendo sufficienti alla causa della completa vittoria del socialismo russo la sola vittoria del proletariato in altre parti del mondo (fatto che avrebbe posto fine alle cause dell’esistenza di quelle storture che impacciavano lo stato sovietico).

È chiaro, quindi, che, se di riflesso si deve parlare, si tratta evidentemente di un riflesso molto pallido. Questo è evidente anche a proposito degli altri due scrittori socialisti, Rosenfeld e Ruggero Mura, che denunciarono le diseguaglianze sociali originate dalla distribuzione ineguale del reddito nazionale.

La loro critica su questo argomento non arriva, però, a denunciare l’esistenza di una casta burocratica sfruttatrice.

Per quanto riguarda invece la struttura economica del regime, la nazionalizzazione e la pianificazione, i giudizi dei socialisti non si limitano ad una semplice difesa del carattere proletario di queste strutture economiche, come fecero i trotskisti, ma, soprattutto gli articolisti della rivista “Socialismo”, ne esaltano il profondo carattere democratico e giudicano reale, effettivo, il potere dei lavoratori di determinare le scelte e gli indirizzi del piano produttivo.

In questo senso il pensiero socialista si avvicina molto a quello comunista e le critiche sono identiche a quelle sviluppate nella terza sezione di questo lavoro, dedicata ai comunisti. In particolare, rimando a quelle sviluppate a proposito della pianificazione economica.

Rimane ora da chiedersi: quale fu l’effettivo peso delle teorie trozkiste nel pensiero socialista?

Sottolineando ancora il fatto che questo riflesso fu tuttavia molto debole, ritengo che il peso esercitato, anche se minimo, non fu del tutto trascurabile. Certo non si può istituire il più lontano paragone con quello che significò per i socialdemocratici la ripresa della teoria del ‘collettivismo burocratico’ per la loro ideologia e pratica politica.

Ritengo però che i Socialisti, non accettando totalmente il modello sovietico di socialismo, si richiamarono ad alcune tesi tipiche del trotskismo al fine di non confondere la proprie posizioni con quelle piatte e mistificatrici dei comunisti. Sulla base di questa differenziazione dei giudizi sul modello sovietico i socialisti difesero la ragione politica della loro autonomia organizzativa e ideologica dal PCI. Accettare in toto il modello sovietico avrebbe infatti significato per il Psi rinunciare alla propria diversità e riconoscere la loro totale affinità con i comunisti, in quanto la concezione del socialismo propugnata dai due partiti sarebbe coincisa.

2 – Scarsità di materiale prodotto in campo socialista a questo proposito.

Si potrà rimanere meravigliati dallo scarso peso e dai pochissimi articoli di socialisti riportati in queste pagine. La verità, tuttavia, è proprio questa: pochissimi furono gli articoli di un certo spessore dedicati dalle riviste socialiste negli anni del dopoguerra allo studio dell’esperienza sovietica. Si possono sfogliare annate intere dell’Avanti! senza trovare un articolo che vada al di là del puro resoconto, della più semplice e asettica informazione.

Oltre agli articoli che ho riportato, dei quali quelli scritti da Lombardi e quelli pubblicati dalla rivista “Socialismo” sono gli unici ad assumere in qualche modo un posto di rilievo, c’è il vuoto.

Vuoto che, a mio parere, è solo in parte giustificabile dalla posizione intermedia, centrista assunta dai socialisti tra i due opposti, rappresentati dai socialdemocratici dei comunisti. È probabile, infatti, che i socialisti si fossero da una parte limitati nelle critiche al regime sovietico per non confondersi con i socialdemocratici ed anche per non urtare i comunisti, ai quali erano legati dal ‘patto di unità d’azione’, dall’altra pure negli elogi per non perdere la loro identità politica e per difendere la legittimità della loro autonomia dei comunisti. Costretti in questa situazione malagevole è probabile che preferirono ridurre le possibili occasioni di scontro su un terreno che, come abbiamo visto, era in quel periodo molto infuocato e preferirono assumere un atteggiamento, se non proprio neutro, senz’altro molto distaccato, quasi di noncuranza (posizione che ricorda il classico motivetto “né aderire, né sabotare” che ritorna sovente nella storia socialista passata e presente). Un altro motivo, forse più importante, anche se a questo legato, determinò in quegli anni il loro atteggiamento in proposito. È rappresentato dalla compressione nella quale è venuto a trovarsi il dibattito nella sinistra italiana sulla politica interna da tenersi da parte delle forze il movimento operaio. In altre parole, i socialisti avevano intravisto il pericolo di un’asfissia progressiva dello sviluppo di analisi di strategie valide per la situazione politica italiana a tutto vantaggio di un confronto e di uno scontro polemico in favore dell’una o dell’altra superpotenza. Pericolo che si fece evidente in tutta la sua attualità nella campagna elettorale del 1948, combattuta principalmente sulle questioni degli schieramenti internazionali.

In questo senso il parziale silenzio degli scrittori socialisti su quell’argomento è da interpretarsi quindi come un tentativo di uscita da quel meccanismo che avrebbe potuto stritolarli, da quella logica considerata improduttiva per il movimento operaio italiano, tentativo che aveva come scopo quello di privilegiare gli aspetti della politica nazionale su quella internazionale. Da questo punto di vista il distacco socialista non costituisce quindi la prova di un atteggiamento di subalternità o di timore, bensì il rovescio della medaglia di una politica che intendeva operare decisamente al fine di risvegliare l’interesse per i casi d’Italia e per gli obiettivi storici del movimento operaio italiano.

Note:

33 – Lev Trotzky “La rivoluzione tradita” op. cit.