LIBIA, ECCO LE MOSSE DEL ‘GABINETTO DI CRISI’
di Giusepe Scanni | “Fugit inreparabile tempus” sottolineava Virgilio che alludeva, con l’aggettivo “inreparabile”, alla irrimediabilità del danno che il Tempo arreca. Chissà come avrebbe commentato l’autore del verso della terza Georgica le poche ore che sono trascorse dalla tarda sera del 12 aprile al mattino di ieri nelle quali ha funzionato il Gabinetto di Crisi sulla Libia formato dal presidente del Consiglio Conte e suggerito dalla diplomazia, dalla Difesa, dai servizi di intelligence e verosimilmente auspicata dall’alta autorità del Quirinale e smontata, davvero in poco tempo, dall’onorevole Salvini. Il danno provocato alla rottura della univoca azione del governo, a causa dell’invito del ministro dell’Interno italiano al vice-presidente libico del Consiglio del governo di riconciliazione nazionale, Ahmed Maitig, a discutere a tu per tu, nel suo ufficio al Viminale, della situazione sul terreno non è ancora quantificato. Si sono delineate due diverse linee di azione diplomatica italiana. Quella di Salvini – “Stiamo lavorando perché non ci sia guerra, speriamo che il peggio sia passato, il blitz di Haftar è fallito e noi siamo al lavoro perché si fermino i missili”- solo apparentemente ricalca quella del Governo di cui lui stesso fa parte, perché la via diplomatica intrapresa dal “sistema” nazionale prevede una azione di persuasione statunitense sull’Arabia Saudita e gli Emirati, che dell’attacco armato al governo riconosciuto dalle Nazioni Unite- e perciò internazionalmente legittimo- sono generosi finanziatori. La definizione di unica responsabilità di Haftar, altro “cliente” degli Stati Uniti, dove ha vissuto venti anni lasciando buoni ricordi antigheddafiani, impedisce di fatto all’Italia di perseguire celermente il suo obbiettivo di far dichiarare a Stati Uniti e Russia la loro accettazione di un appello comune alle parti, per il cessate il fuoco e la ripresa dei negoziati diplomatici. Gli Stati Uniti, alleati con l’Arabia Saudita, che legittima il suo interesse alla vittoria di Haftar con la lotta al terrorismo, non possono intervenire senza una motivazione conciliabile coi propri interessi immediati; giacché è oramai un dato tristemente non controvertibile quello che ci detta l’esperienza di vicende che ancora oggi viviamo: la difficoltà del sistema americano di prevedere un futuro che non si evolva secondo i piani previsti dagli strateghi stella e strisce. Se Haftar rappresenta gli interessi arabo sauditi gli Stati Uniti ne tengono conto, ed il generale può continuare a dichiarare, ed anche a pensare, che in mancanza di altolà la sua pur rovinosa cavalcata nel deserto è approvata dalla Casa Bianca. Eredi di una grande scuola diplomatica i governanti egiziani hanno esaltato l’impresa di Haftar ma non l’hanno accompagnata da nessun gesto solidale: né uomini, né rifornimenti. Ed il generale se ne è pubblicamente lamentato. La Russia è molto prudente. Considera di aver già dato molto facendo sapere che in caso di una risoluzione anti “golpe” di Haftar avrebbe usato il suo diritto di veto; di fatto ha permesso la continuazione del claudicante intervento militare ed aspetta che la diplomazia europea, segnatamente quella italiana, apra le porte quel tanto che basta al cessate il fuoco senza indicare precise responsabilità, rinviando la decisione se e quando interporre i Caschi Blu, a quel punto necessariamente guidati dagli italiani. La Francia si è più o meno comportata come la Russia. La Francia è uno Stato di interesse mondiale ma non è una potenza planetaria e sa valorizzare i propri limiti, perché, assieme ai pregi, li conosce, grazie al “senso” dello Stato che, nonostante le attuali difficoltà coinvolge il gruppo, dirigente della Repubblica. Parigi ha bloccato la risoluzione di condanna preparata dalla Commissione europea ed appoggiata dalla Germania; Berlino si muove con difficoltà tra i timori di un nuovo fronte sud e di un aumento esponenziale di attacchi terroristici e, d’altro canto, considera impossibile differenziarsi immediatamente dal suo partner privilegiato nella UE. La Francia è stata accusata da una sola fonte, il sito libico legato al governo di Tripoli “Libya Observer”, di aver partecipato con sei “consiglieri militari”, leggi mercenari, ad una azione di appoggio allo stesso Haftar assieme a trenta egiziani e quattordici libici. Il Tweet, mai trasformato in articolo né sul sito inglese né sulla sua edizione araba, è stato usato secondo i vari interessi in tutto il mondo; in Italia è stato diffuso soprattutto dalla Lega, trovando buona eco sulla stampa – in nome dell’inspiegabile complesso di inferiorità, nei confronti della Francia, che avviluppa parte del giornalismo e della cultura italiana -. L’intendimento tripolino di spingere Roma ed altri alleati, soprattutto il Qatar e la Turchia, a intraprendere strade militari e non diplomatiche per risolvere l’aggressione di Haftar è evidente. Fuori dai nostri confini nazionali un altro misterioso cinguettio, apparso sempre su Libya Observer, ha informato che il portavoce di Haftar, generale Al Mismari, ha sostenuto che l’aviazione che bombarderebbe le truppe anti tripoline e di Misurata sarebbe pilotata da italiani ed americani. Il che ha insospettito, alla vigilia dell’incontro del Presidente Conte con il vice presidente libico ed il vicepremier qatarino Sceicco Mohammed Al Thani, anche persone normalmente aduse a non considerare del tutto improponibile discettare sul terrapiattismo. Un blitz che non riesce si trasforma in una guerra lunga o in una fuga precipitosa. Il blitz di Haftar non è riuscito ma non si è ancora trasformato in guerra o fuga. Ed è questo il momento magico della diplomazia. Brecht fa dire dal cappellano a Madre Coraggio che la guerra «va incontro a tutte le esigenze, anche a quelle pacifiche». La diplomazia italiana, fatto salvo l’interesse “politico” dell’onorevole Salvini, è quello che il gabinetto di crisi ha individuato: far comprendere particolarmente a Washinton, che è concreto il rischio di vedere trasformata la Libia in una nuova Somalia, zona franca di uno stato islamico dove combattono gruppi terroristici diversi attratti dalla possibilità di finanziamento rappresentato dal petrolio. Da qui la necessità di veicolare il consenso diplomatico per la pace con Usa, Ue e Russia, con gli alleati dichiarati di questi ma anche, Siria docet, con i loro “compagni di strada” – insospettabilmente partecipanti ad alleanze militari o commerciali diverse da quelle ufficialmente esposte nei combattimenti-. È un compito difficile quello dell’Italia …