CAOS LIBIA, L’ITALIA SI SCUOTA

di Giuseppe Scanni |

Alle 10,58 di ieri l’Ansa ha informato che: “sono 34 i combattenti delle milizie del maresciallo della Cirenaica, Khalifa Haftar, che si sono arresi alle forze del Governo di accordo nazionale di Tripoli. Lo riferisce una nota del comando della capitale secondo cui i combattenti si sono consegnati dopo gli scontri a sud di Tripoli, a pochi chilometri dall’aeroporto Mitiga. I combattenti del premier Fayez al-Serraj hanno preso possesso anche di diversi blindati. “Molti erano senza carburante, segnale che i rifornimenti non arrivano e che le milizie di Haftar sono state abbandonate”, si legge nella nota del comando di Tripoli.”

I sei giorni di combattimenti nella battaglia hanno dimostrato che entrambi i fronti, quello che fa capo al premier del governo di Unità Nazionale, Fayez Sarraj, scelto dalla comunità internazionale perché è un politico, un civile e non un militare, e l’altro fronte, quello comandato da Khalifa Haftar, formato soprattutto da veterani dell’esercito di Gheddafi motivati dalla stanchezza per il caos provocato dallo strapotere delle milizie, si affrontano in scontri non convenzionali. Entrambi sono un amalgama di gruppi armati scoordinati, abituati alla guerriglia piuttosto che alla guerra, sebbene Haftar, possa contare a Bengasi su uno dei migliori generali libici, Osama Juheili di Zintan; non guastano certamente gli aiuti sauditi, degli emirati e dell’Egitto che preferiscono il militare di lungo corso Haftar a Sarraj soprattutto per il controllo che intendono esercitare sulle ricchezze minerarie del paese.

Proprio perché Arabia Saudita e Emirati sono produttori, il controllo del prezzo del petrolio è molto importante. Ieri a mezzogiorno le Agenzie di stampa battevano:” le quotazioni del petrolio continuano a salire con l’escalation del conflitto in Libia e sull’onda delle accresciute tensioni in Iran con gli Usa. I contratti sul greggio Wti con scadenza a maggio guadagnano 17 centesimi a 64,57 dollari al barile. Il Brent sale fino a 71,16 dollari.”

La caduta del prezzo del barile degli scorsi mesi, sceso addirittura a 50$, aveva messo in difficoltà la Russia, l’Iran ed i paesi arabi produttori. L’aumento costante di quest’ultima settimana è un ristoro che vale ben più di quanto investito per consentire ad Haftar di saldare la sua alleanza con i Warfallah, i Warshafannah, i volontari di Bani Walid, di Mizdah, la settima brigata di Tarhouna, coi quali ha attestato alcune truppe avanzate nell’area dell’aeroporto internazionale di Meitiga e Wadi Rabia, chiuso da cinque anni, ma utile per minacciare con mortai e missili Tripoli, ad appena 15 Km di distanza.

Haftar contesta il mondo occidentale che, col riconoscimento delle Nazioni Unite, gratifica Sarraj come interlocutore istituzionale e relega lui al ruolo di capo delle Forze Armate dipendente dal potere civile.

La debole interlocuzione di Sarraj è dovuta alla sua dipendenza, in quanto civile, dalla obbligata protezione delle milizie di Misurata; dal sostegno di una trentina di milizie islamiche tripoline legate al muftì Sadik al Ghariani; dall’appoggio politico e finanziario della Turchia e del Qatar, che giocano una partita estroversa del loro contezioso con i sauditi e gli iraniani.

Le milizie di Misurata non intendono affrontare Haftar sino a quando questi non minaccerà Misurata, giudicando che non ha senso morire per Tripoli sino a quando Sarraj, l’Onu e l’Italia dichiareranno impossibile qualsiasi accordo con Haftar.

Il che non è una contraddizione logica. Disarmato Haftar le uniche milizie armate resterebbero quelle di Misurata e del muftì Sadik al Ghariani, che condizionerebbero per un lungo periodo l’intera Libia.

La diffidenza occidentale è seriamente allertata dai continui proclami degli imam legati a Sadik al Ghariani per la “guerra santa” contro Haftar e l’aiuto dei Fratelli Musulmani che spaventa l’Egitto.

Intanto, nella tarda serata di lunedì, il premier Giuseppe Conte ha avuto un colloquio telefonico con il presidente del Consiglio presidenziale libico Fayez Serraj. A quanto appreso da Palazzo Chigi, Conte e Serraj hanno discusso della situazione nel Paese. Il presidente del Consiglio ha ribadito il no alla violenza e ha fatto appello alla fine del conflitto e alla ripresa del dialogo politico tra le parti.+ Una iniziativa di buona volontà che si scontra con l’ultimo bilancio degli scontri: 47 morti, 181 feriti e oltre 2.800 sfollati l’ultimo bilancio di cinque giorni di scontri a seguito dell’operazione militare lanciata dalle forze del generale Khalifa Haftar, soprannominata “Diluvio di dignità”, a cui il governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj ha risposto con la controffensiva definita “Vulcano di rabbia”.

L’appello di Conte ad una tregua umanitaria si aggiunge a quelli della Comunità internazionale per il cessate il fuoco e per il ritorno al tavolo del negoziato.

Le violenze hanno fatto annullare la Conferenza nazionale libica, organizzata dall’Onu per il 14-16 aprile a Ghadames con l’intento di arrivare a un accordo che metta fine alla divisione del Paese tra due governi e definisca una road map per arrivare alle elezioni e al referendum costituzionale.

Due giorni or sono l’inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamè, aveva ammesso che “tenere la conferenza in queste condizioni è dura”, ma aveva dichiarato “la volontà di tenerla come previsto a metà aprile” e ieri ha dovuto ammettere che “circostanze impellenti ci costringano a rinviarla”; l’inviato Onu ha ribadito che la missione delle Nazioni Unite non fugge e che “continua a lavorare da Tripoli”, pronta a garantire assistenza “in questo momento difficile e critico”. Sempre l’Onu ha rilanciato un appello rimasto inascoltato per una tregua umanitaria e il capo della diplomazia Ue, Federica Mogherini, ha anche invitato a evitare un’escalation e a riprendere il negoziato politico.

Se possibile più duro il monito arrivato dagli Stati uniti, con il segretario di Stato, Mike Pompeo, che ha chiesto ad Haftar “l’immediata cessazione delle operazioni militari contro la capitale libica”, sottolineando che “non può esserci soluzione militare al conflitto in Libia”. Tuttavia il severo monito è stato in parte contraddetto dall’annuncio del comando Usa per l’Africa (Africom) del ritiro da Tripoli di un contingente di forze americane “in risposta alle condizioni di sicurezza”.

La Russia, da più parti indicata come corresponsabile degli aiuti ad Haftar, ha tenuto a far sapere che mantiene i contatti “con tutte le parti” coinvolte nel conflitto. “Stiamo lavorando con l’Onu, con Salamè e siamo anche in contatto telefonico con tutte le parti – il Sud, l’Est, l’Ovest. E chiediamo che si trovi una soluzione politica”, ha detto il viceministro russo degli Esteri Mikhail Bogdanov.

In verità i paesi che si rivendicano occidentali e segnatamente gli USA e gli stati Europei, Francia compresa, sostengono il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che “condanna fermamente l’escalation militare e i combattimenti in corso a Tripoli e dintorni, compreso l’attacco aereo dell’Esercito Nazionale Libico (Lna) del generale Khalifa Haftar contro l’aeroporto Mitiga” e che ha chiesto “lo stop immediato di tutte le operazioni militari con l’obiettivo di una de-escalation e di prevenire un conflitto a tutto campo” perché “non esiste una soluzione militare al conflitto in Libia”. Tuttavia se il Segretario Generale “ricorda a tutte le parti i loro obblighi derivanti dal diritto internazionale umanitario per garantire la sicurezza di tutti i civili” in quanto “tutti i libici meritano pace, sicurezza, prosperità e rispetto per i diritti umani”, non è ben chiaro a tutte le diplomazie come sarebbe garantita la immediata de-escalation per prevenire una guerra totale tra le forze del generale Khalifa Haftar e quelle del consiglio presidenziale di Tripoli.

La Francia che fu, assieme agli Stati uniti ed alla Gran Bretagna, corresponsabile della crisi libica per come fu voluta e gestita, non può consentire soluzioni militari ma, come USA e Regno Unito, non si impegna realmente sul campo per una soluzione politica della crisi. Gli Stati uniti, che quando ricevono a Washington il presidente Conte diramano gioiosi comunicati di cabine di regia nel mediterraneo nel quale sono seduti assieme agli italiani, al momento necessario sono distratti da altre incombenze, qualcuno sospetta influenzate dallo sciocchezzaio cinese del vice presidente Di Maio.

La conferenza ONU avrebbe dovuto indicare una strada per giungere alle elezioni. Sul tema Italia, Stati uniti e Gran Bretagna hanno posizioni differenti dalla Francia. Quest’ultima avrebbe voluto organizzarle in tutta fretta per la fine del 2018 e su questa base costruire un più solido tavolo istituzionale. Gli altri paesi, invece, sostengono la necessità di seguire un procedimento inverso, partendo da un livello minimo di stabilità nel Paese che possa consentire lo svolgimento di elezioni più o meno regolari.

La UE nonostante gli sforzi della Vice Presidente Mogherini soffre dei suoi mali endemici, i tre deficit strutturali che impediscono l’adozione di misure utili: la mancanza di un Bilancio unico, di una politica estera e di difesa comune.

La comunità internazionale “ha lasciato il popolo libico da solo”: è questa la denuncia che è arrivata all’AdnKronos dall’Ambasciatore libico a Roma, Omar Taruni, secondo cui “solo dopo cinque giorni di guerra qualche Paese ha cominciato a dire apertamente al generale Khalifa Haftar di fermare le operazioni militari”.

Nel frattempo si è fatta viva l’ISIS che ha attaccato nel centro della Libia il villaggio di Al Fuhaqa, un piccolo insediamento nel distretto di Giofra, controllato dai combattenti fedeli al generale Khalifa Haftar, uccidendo tre persone, tra cui il presidente del consiglio comunale, e rapendo il capo delle Guardie municipali. È quanto emerge da resoconti dei siti di due media libici tra cui Libya Al-Ahrar. Nell’attacco, avvenuto due notti orsono a oltre 600 km a sud-est di Tripoli, i terroristi hanno incendiato la sede della Guardia municipale e le abitazioni di alcuni poliziotti, ha precisato la tv Libya Channel.  L’Isis ha rivendicato l’attacco in Libia, nel governatorato di Jufra, affermando che si tratta di una “invasione” come vendetta per i territori perduti in Siria. Lo ha riferito Site, il sito di monitoraggio dell’estremismo sul web.

Dopo il rovesciamento e la morte di Muammar Gheddafi, 8 anni fa, l’Isis nel 2015 era riuscito ad assumere il controllo di Sirte, città natale del dittatore, ma nel 2016 era stato sconfitto dalle milizie locali, con il sostegno dei raid aerei Usa. Secondo alcuni esperti la modesta operazione di Fuhaqa non va sottovalutata, perché dopo la sconfitta del 2016 gruppi residui di miliziani operano nell’ombra.

Come spesso accade le minacce in guerra, seppur non convenzionale, servono come le armi. Fayez al-Sarraj ha fatto sapere tramite il suo ufficio stampa che ha incaricato la Procura militare generale di emettere mandati di cattura nei confronti di Khalifa Haftar e dei suoi generali, “responsabili dell’offensiva militare su Tripoli” che “lavorano per destabilizzare la capitale”.

È probabile che la mossa serva più che a spaventare Haftar a far preoccupare i membri del Governo che dissentono da Serraj.

A noi sembra che l’Italia abbia smesso da tempo l’uso coordinato dell’intelligenza politica; lo dimostra l’allontanamento, per di più contemporaneo, in un momento cruciale, di due super specialisti della Libia: il generale Manenti, capo dei servizi di intelligence e l’ambasciatore a Tripoli Giuseppe Perrone.

Occorre prendere atto che senza una leadership italiana non è possibile superare la crisi che ha visto fallire il piano delle Nazioni Unite. È necessario risolvere comunque due questioni: a) la gestione delle risorse derivanti dall’export petrolifero gestito dalla compagnia nazionale (NOC, National Oil Corporation); b) l’attribuzione del Comando supremo dell’esercito libico riunificato.

Serraj non ha saputo, o potuto, gestire la complessità dei rapporti tribali e non può contare sulla solidarietà del suo stesso governo. Uno dei tre vice presidenti del Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale, Ali Al-Qatrani, si è dimesso e ha espresso sostegno all’operazione dell’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar. Gli altri due vice presidenti non offrono pubblica solidarietà a Serraj. Piuttosto che sciogliere subito i due Parlamenti, quello di Tobruk e quello di Tripoli, l’influente Egitto punterebbe a far eleggere il secondo degli otto figli del Colonnello Gheddafi, il quarantaseienne Sayf, che gode l’appoggio di Haftar e di buoni sostegni a Tripoli.

La miscela esplosiva della sabbia libica ha spaventato gli stregoni che pensarono in un rigurgito post coloniale (ah, Sarkozy, quanti danni…) di guerreggiare contro chi sosteneva la difficile stabilità libica, pensando di ricavarci qualcosa, il che si è rivelato più difficile dell’immaginabile. L’Italia invece deve interessarsi della Libia e della sua pacificazione. Dopo il disastro del Corno d’Africa il nostro Paese non può permettersi un’altra Somalia alle porte di casa.

Abbiamo il dovere di garantire l’efficienza e la sicurezza degli impianti Eni in Tripolitania, del terminal di Milita, del gasdotto Greenstream che porta in Sicilia il gas libico e delle piattaforme offshore gestite al largo della Costa dalla compagnia italiana. Sul piano della sicurezza l’Italia ha la necessità di poter contare sulle autorità libiche per chiudere la costa alle illegalità e per tenere sotto controllo la presenza jihadista. Abbiamo bisogno di un vicino stabile ed affidabile. La politica interna, debole e contradditoria, ci condiziona molto, sarebbe un bene se una volta tanto l’interesse nazionale, che diventa europeo e segno di stabilità nel mediterraneo, prevalesse in un momento complesso e straordinario qual è quello che viviamo. La crisi britannica, le difficoltà interne francesi, il bisogno degli stessi Stati Uniti di non indebolire il fronte sud del Mare Nostrum, potrebbero agevolare la soluzione di un compito difficile al quale non possiamo sfuggire.