GLI ASSALTI, LE DEVASTAZIONI E GLI INCENDI ALL’“AVANTI!” DI MILANO TRA IL 1919 E IL 1922

A Milano il giornale viene assalito e incendiato quattro volte tra il 1919  e il 1922.

E ogni volta risorge dalle ceneri: addirittura, nel 1921, per essere trasferito in una nuova, imponente sede. Intorno alle sue rotative e linotypes, ci sono sparatorie, pugnalate, bastonate, scontri tra redattori e fascisti, tra soldati e squadristi, fuoco di mitragliatrici, morti e feriti. I giornalisti, gli impiegati, i tipografi vivono nella tensione e nel pericolo.

Nei cassetti ci sono le rivoltelle. Il telefono serve anche a chiamare in soccorso i compagni.

Tutti gli assalti hanno la stessa storia, gli stessi commenti ,la stessa meccanica, le stesse conseguenze: un copione non dissimile da quello, più in generale, della guerra civile.  All’indomani degli assalti, il giornale predica prudenza, suggerisce di non cadere nella trappola delle provocazioni.

La reazione alla violenza squadrista è infatti esclusivamente politica e propagandistica: imponenti scioperi e cortei di solidarietà. Accompagnati da una sottoscrizione straordinaria a sostegno del giornale per riparare i danni e rilanciarlo.

I fasci di combattimento nascono a Milano, nella famosa adunata al circolo industriali di piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919. Quella contro l’Avanti!, tre settimane dopo, è non per caso la prima sortita del fascismo, il suo biglietto da visita.

1)   15 aprile 1919, redazione e tipografia di via San Damiano 16.

E’ il pomeriggio di martedì 15 aprile 1919, due giorni prima la polizia ha sparato uccidendo un operaio e le strade di Milano sono deserte per uno sciopero generale di protesta. I militanti socialisti stanno tutti all’Arena, ad ascoltare il comizio di Turati, Treves e dei loro leader milanesi. In redazione e in tipografia in via San Damiano 16, il lavoro deve ancora cominciare, ci sono un vecchio fattorino e pochi altri.   Alle 17,30, improvvisamente un plotone di circa cento soldati scende dai camion e si colloca intorno all’Avanti! e al ponte delle Sirenette, a difesa del giornale. Hanno saputo che un corteo squadrista sta arrivando a passo di carica. I fascisti sono duecento, armati di rivoltelle, bombe a mano, pugnali e bastoni. Le versioni ufficiali dicono che i soldati sono “sopraffatti”.  I fascisti tentano di sfondare il portone sbarrato in fretta e furia dal vecchio fattorino.

Non ci riescono, ma i più svelti si arrampicano come pantere sul balcone al primo piano attraverso le inferriate. E’ fatta. Sfondano la finestra, irrompono con le bottiglie incendiarie, sparano. Distruggono in modo mirato gli indirizzari per la spedizione degli abbonamenti. Scendono con picconi e martelli in tipografia, sfasciano le linotypes e il cilindro della rotativa. Beffa della sorte, è lo stesso macchinario tanto desiderato da Mussolini quando era direttore, acquistato con una sottoscrizione lanciata proprio da un suo appello. “Il quotidiano non può più essere stampato a Milano: si fa arrivare pertanto l’edizione piemontese da Torino, in quante più copie è possibile. Il 3 maggio il giornale ritorna a essere stampato a Milano, dopo neppure tre settimane di interruzione.

2)    25 marzo 1921, cantiere di via Settala e sede di via San Damiano 16.

E’ giovedì 25 marzo 1921, una bomba anarchica viene fatta esplodere al teatro Diana di viale Piave, dove adesso c’è il grande albergo omonimo del gruppo Sheraton. I morti sono 17, i feriti 182.  Mentre Milano piange, un commando di arditi assalta il cantiere della nuova sede in costruzione  di via Settala. Lanciano bombe contro la palizzata in legno che lo circonda, si aprono così una breccia e penetrano all’interno, appiccano il fuoco ai capannoni dove si tiene il materiale da costruzione. Ci vogliono due ore per spegnere le fiamme. I danni sono enormi: mezzo milione.  L’Avanti! denuncia ancora una volta la complicità delle autorità.  Mentre il commando squadrista assalta la nuova sede in costruzione, si tenta anche di far saltare in aria l’edificio dove l’Avanti! ancora viene stampato, in via San Damiano. Una automobile che vi si dirige a grande velocità viene fermata dalle guardie, che sparano. Uno degli squadristi scappa buttandosi a nuoto nel Naviglio, accanto al ponte delle Sirenette. Si scopre a bordo una grossa bomba destinata al giornale.

La nuova, grandiosa sede di via Settala 22, ultimata a tempo di record nonostante l’incendio del 25 marzo, viene inaugurata finalmente il 10  ottobre 1921,  in occasione del congresso di Milano.  Il palazzo a tre piani, imponente, occupa l’intero isolato tra via Settala e via San Gregorio. Ha al primo piano un lungo balcone sul quale si affacciano quattro porte: vi campeggia rossa, in muratura, con la sua grafica ormai famosa, la grande scritta Avanti! Ospita redazione e tipografia del giornale, ma anche casa editrice, mensa popolare, albergo diurno, negozi cooperativi. 

3)     4 agosto 1922, tipografia e redazione di via Settala 22.

A partire dal  2 agosto 1922, il fascismo si avventa prima contro palazzo Marino e poi contro l’Avanti! L’innesto delle violenze è ancora una volta provocato da uno sciopero generale, contro il quale si mobilita lo squadrismo. Ovunque si susseguono devastazioni e scontri sanguinosi: a Parma, nelle province lombarde, a Torino, a Genova, dove viene incendiato il quotidiano socialista Il Lavoro, fondato dai portuali, e dove gli scontri provocano morti, feriti e centinaia di arresti. Lasciamo la cronaca alla penna di Nenni, testimone e protagonista. “Il mattino del 2 agosto l’attacco fu sferrato con l’occupazione del palazzo municipale di Milano. Scacciare gli operai dal municipio era, dal 1900, il sogno dei moderati lombardi, e lo realizzarono il 3 agosto 1922, calpestando nello stesso tempo il diritto di suffragio universale e la loro legge.  Per noi, all’Avanti!, la nottata fu triste.

Da ogni parte ricevevamo cattive notizie. A Roma la crisi ministeriale si era risolta con la reincarnazione del ministero Facta. A Genova le camicie nere avevano saccheggiato la Camera del lavoro e il giornale socialista Il Lavoro. A Torino la situazione era identica. Sapevamo che sarebbe venuta la volta anche dell’Avanti! Era impossibile pensare ad organizzare una difesa efficace. Nel cortile avevamo scavato una trincea protetta da filo di ferro spinato. Ma da due mesi gli operai non entravano più al giornale che dopo essere stati perquisiti dalla polizia che ci sorvegliava,con la scusa di difenderci. Poche ore prima, mentre i fascisti occupavano il palazzo comunale, c’era stata una perquisizione nei nostri uffici e ci avevano tolte le ultime pistole. Bisogna riconoscere che fummo attaccati con tutte le regole dell’arte militare.

Da due lati le colonne fasciste avanzarono protette da una nutrita fucileria. Dopo un simulacro di resistenza, la guardia regia, che virtualmente occupava il giornale per proteggerlo, si ritirò  protestando la superiorità delle forze fasciste.  Vi fu un momento di tregua: il tempo che occorse alla guardie regie per ritirarsi tra gli applausi delle camicie nere. Poi la sparatoria ricominciò. I fascisti si erano aperti una breccia nel muro di cinta del cortile. Avevano avuto tre morti e ora esitavano davanti al filo di ferro  spinato attraversato dalla corrente elettrica.

Ma già, dall’altra parte, con delle scale, un gruppo aveva occupato il balcone e si gettava all’assalto degli uffici,aprendosi un varco a colpi di bombe a mano. Il nostro piccolo gruppo fu sopraffatto. Vicino a me l’operaio Franchini cadde, ucciso sul colpo, mentre a stento cercavamo uno scampo. Il deposito della carta bruciava. Entrate come furie nel reparto delle macchine, le camicie nere del Polesine si dettero a distruggere sistematicamente le linotypes. In breve lo stabile fu avvolto dalle fiamme, tra le urla di gioia delle camicie nere. La sera l’Avanti! non era più che una immensa rovina,attorno alla quale si aggiravano,con la morte nel cuore, alcuni compagni. Tardi, nella notte, partivo per Torino, dove il giornale doveva uscire l’indomani”. Anche la libreria delle edizioni Avanti!, in via Dogana, accanto a piazza del Duomo, è un mucchio di rovine.  Ma le prime pagine dell’Avanti! ritornano a essere riempite dagli elenchi dei sottoscrittori. Le formichine socialiste, ogni volta che la loro casa viene distrutta, corrono al lavoro e la ricostruiscono con commovente, quasi incredibile generosità e tenacia. Il 19 agosto infatti “ L’Avanti!” di via Settala è rimesso in funzione e la rotativa riprende a girare a pieno ritmo.

4)     29 ottobre 1922, tipografia e redazione di via Settala 22.

Nel tardo pomeriggio del 29 ottobre 1922, arriva in via Settala un plotone di guardie regie, con una auto mitragliatrice. Alle 20, i fascisti attaccano. Pensano di ripetere tranquillamente l’impresa di tre mesi prima, ma sono ancora più numerosi, perché vogliono assestare un colpo definitivo, hanno non solo moschetti ma anche mitragliatrici. Improvvisamente e inaspettatamente, la guardia regia prima intima l’alt e poi spara. Le colonne squadriste si bloccano impietrite dalla sorpresa, sbandano sotto il fuoco, arretrano, si disperdono in fuga disordinata lasciando sul terreno un morto e numerosi feriti, anche gravi. Cosa è successo? Il governo Facta aveva dato ordine di sparare e di reprimere la spedizione fascista, pensando che il decreto di stato d’assedio avrebbe ottenuto la firma del re. Poi, il contrordine, dopo il suo rifiuto, non era arrivato in tempo e le guardie regie avevano pertanto aperto il fuoco. E’ esattamente quello che sarebbe successo in tutta Italia, cambiando la storia, se la monarchia si fosse schierata lealmente dalla parte del governo e della legalità. Ancora una volta, ciò che accade intorno all’Avanti! è lo specchio di ciò che accade nel Paese. Anzi, lo anticipa. Poche ore dopo, chiarito l’equivoco, le colonne fasciste ritornano ad avanzare verso via Settala, le guardie regie si ritirano e la furia distruttrice si abbatte sul giornale con violenza moltiplicata dallo scacco subito.  Ma questa volta la devastazione del giornale è ancora maggiore e i devastatori sono ormai solennemente riconosciuti come una milizia parallela dello Stato stesso.  Nel frattempo i redattori del giornale piangono sulle sue rovine.

”Una prima vista – scrive il cronista- è desolante. Il cortile tutto ingombro di carte gettate alla rinfusa, la tettoia del magazzino della carta sfondata. Hanno gettato i mobili non trasportabili dalle finestre. Cataste di scrivanie, sedie, scansie, persiane. Tutto sventrato. I locali hanno un aspetto desolante. Sudiciume, gavette, pagnotte, elmetti militari, paglia, mucchi di giornali. Per le scale idem. Redazione e amministrazione, sparite. Non più un mobile, non più una sedia. Vetri infranti, porte abbattute. Tutti gli oggetti personali rubati. Un povero gattino spaurito in un canto. Peggio in tipografia. La grande rotativa è enigmatica. Difficile valutare il danno. I motori sono asportati. Martellate hanno lasciato tracce profonde. Nel salone delle linotype il disastro è completo. Un campanello suona, suona disperatamente. Le dieci compositrici sono un mucchio di rovine. Si tratta di una distruzione vandalica, scientifica,pezzo per pezzo, con arte. Tutte le parti vitali sono colpite. I banchi dei tipografi rovesciati, i caratteri gettati alla rinfusa, frammischiati, calpestati. Si sale alla fotoincisione. Un lago. Acidi, colori, banchi, macchine fotografiche, tutto è rovesciato. Dovunque il segno di un odio feroce. Un patrimonio distrutto, patrimonio raccolto soldo a soldo, lira a lira, da operai, da impiegati, da professionisti.

Si esce con la gola stretta. Una donnetta grida alla porta alle guardie che non vogliono lasciarla entrare: lo rifaremo più bello”. “Questa ricostruzione esce soltanto il 14 novembre 1922 e in uno spazio incredibilmente ristretto. Perché l’Avanti! riesce a uscire soltanto dopo due settimane e soltanto con due facciate, nelle quali devono essere raccontati gli interi quindici giorni che hanno cambiato l’Italia con la marcia su Roma, la caduta del governo Facta, la nascita di quello che sarebbe stato il “ventennio fascista”.  Sulla sorte e sul futuro del giornale stesso, si legge nel fondo: “L’Avanti! risorge. Con mezzi esigui. In mezzo foglio oggi. Tra due o tre giorni speriamo in quattro pagine. Glorioso, mutilato questo giornale, contro il quale con rabbia felina tutte le reazioni si sono abbattute e che tutte le albe  generose hanno visto risorgere! Lo stabilimento nostro è una rovina. Ma la nostra fede è una fiamma inestinguibile. Tutti lavoreremo per rifare ciò che è stato distrutto.” Come dopo gli altri quattro incendi si fa appello pressante alla sottoscrizione con un testo in neretto. “Si inizia una nuova sottoscrizione per dotare l’Avanti! delle linotype”.

Il quotidiano lascia l’imponente palazzo di via Settala e si trasferisce in una traversa di corso Buenos Aires, a cento metri da piazza Loreto, in via Paganini 10: una palazzina a due piani dove oggi c’è tra l’altro una piccola azienda di ottica, circondata da edifici simili, che ospitano piccoli alberghi a due stelle. La vita dell’Avanti! rispecchia in un certo senso la vita politica e la situazione generale. Di fronte al disastro, il giornale lancia un rinnovato appello alla sottoscrizione: non più per rimediare alla devastazione degli squadristi, ma per compensare il danno, altrettanto grave, derivante dalle mancate vendite.

Il quotidiano continua a esistere e a resistere quasi eroicamente, confezionato da Nenni con un pugno sempre più piccolo e intimidito di redattori nella modesta palazzina di via Paganini.

Sino a che, per le leggi eccezionali del fascismo, il 31 ottobre 1926 l’Avanti! chiude.

Tratto da: da Storia dell’Avanti! di Ugo Intini

Avanti! 24 aprile 1919