L’OMBRA DELL’EUROPA. A MARGINE DELL’ARTICOLO DI FULVIO PAPI

di Renato Costanzo Gatti |

A margine dell’articolo di Fulvio Papi

In data 22 aprile su Socialismo XXI secolo è apparso un articolo interessantissimo sull’Europa che ha destato mie riflessioni che vorrei, nei miei limiti, condividere.

Elogio agli articoli “lunghi e difficili”.

L’articolo di Fulvio Papi è lungo e difficile; caratteristiche esattamente contrarie ai paradigmi che ispirano il sito face-book, che richiede concisione e facilità nella comunicazione. Io elogio lo strappo dell’articolo di Papi proprio perché si oppone al senso comune facebucchiano, e usa lo strumento in modo pedagogico che stimola alla riflessione, all’approfondimento, alla dialettica. Perché, almeno sui siti più seri non accogliamo questa sfida, dedicando ad una apposita sezione i documenti “difficili”? In fondo questo articolo l’ho letto su fb e non altrove, ciò avrà pure un senso. L’argomento non è nuovo, nuovo è il mezzo dei social-media, al proposito riprendo un testo gramsciano apparso su L’ordine nuovo del 10 gennaio 1920 in cui si afferma “Sì è vero, abbiamo pubblicato articoli lunghi, studi difficili, e continueremo a farlo, ogni qualvolta ciò sarà richiesto dall’importanza e dalla gravità degli argomenti; ciò è nella linea del nostro programma: non vogliamo nascondere nessuna difficoltà, crediamo bene che la classe lavoratrice acquisti fin d’ora coscienza della estensione e della serietà dei compiti che le incomberanno domani, crediamo onesto trattare i lavoratori come uomini cui si parla apertamente, crudamente, delle cose che li riguardano”.

I due filoni della storia dell’Europa.

Nell’articolo si elencano una serie di accadimenti storici che hanno come riferimento l’Europa, accadimenti che vorrei esaminare per individuare se dietro di essi c’è un filo rosso che li coniuga, con la convinzione che gli accadimenti storici sono frutto di scelte politiche e che dietro alle scelte politiche c’è indubbiamente una cultura. Vorrei cioè individuare, se c’è, un filone europeista ed uno antieuropeista e quali siano le caratteristiche di tali filoni.

L’articolo parte con l’Università ed il loro ruolo nel medio evo, ruolo che rimanda, in qualche modo, al ruolo dei copisti medievali che salvarono gran parte della cultura classica. Segue poi un conflitto permanente tra le grandi unità statali connotate dalle guerre di religione che allontana l’idea di una Europa, mentre nel successivo periodo le “rivendicazioni istituzionali dei i principi del liberalismo politico ebbero una dimensione europea”. Successivamente la competizione per una egemonia europea coniugata all’estensione del dominio coloniale disegna una visione imperialistica basata su una solidarietà eurocentrica. Lo scoppio della prima guerra mondiale trasforma la solidarietà eurocentrica in un conflitto imperialistico, con “l’affermazione di un nazionalismo sfrenato nel quale erano travolti tutti i valori internazionali a cominciare da quello socialista che, nell’alleanza della classe operaia europea, poneva una garanzia di pace fondata sul lavoro”. Nella seconda guerra mondiale viene distrutta ogni concezione di Europa “dovuta all’aggressività del regime autoritario e razzista della Germania”. Va tuttavia ricordato come i trattati di Versailles non aiutavano certo a costruire una alternativa facilmente percorribile come scrisse Keynes nelle Economic Consequences of the peace: una pace cartaginese foriera di nuovi conflitti. Fu la Resistenza e la guerra di liberazione dal nazismo a proporre una “idea – trascendente – di libertà (che) segnava spontaneamente un’unità dell’Europa”.

Credo quindi di poter individuare, in questa succinta esposizioni degli accadimenti storici, da una parte:

  • una politica-cultura di destra con logiche di potere e di egemonia che portano di conseguenza scelte che vanno contro l’idea di una Europa se non, come con Napoleone o Hitler, come una Europa dominata da una nazione.
  • dall’altra parte una politica-cultura pacifista, internazionalista, liberale e socialista con una visione conseguente di un’Europa come scelta popolare e democratica senza intenzioni egemoniche di un paese, di un popolo sopra gli altri paesi, popoli.

L’attualità storica

Va pragmaticamente riconosciuto, a mio modo di vedere, che l’attuale forma europea nasce da una scelta statunitense di fare dell’Europa postbellica un fronte anti-sovietico e un vasto mercato di sbocco per la sua economia. La svolta sorge nel momento in cui gli USA respingono l’idea di fare della Germania postbellica un paese agricolo senza industrie, cosa che avrebbe ripetuto gli stessi errori che Keynes denunciò a proposito dei trattati di Versailles. L’aver scelto il piano Marshall puntando sullo sviluppo delle due potenze sconfitte (Germania e Giappone) si è dimostrato, mi pare, estremamente lungimirante da parte della nuova potenza mondiale egemone. I successivi contatti, accordi tra Francia e Germania culminati con il trattato di Roma, possono svilupparsi solo all’interno di quella scelta strategica fatta nell’immediato dopoguerra.

I presupposti concreti su cui è basata la nascita dell’Europa unita sono quindi, fondamentalmente, due:

 a) linea avanzata per il contenimento di una possibile espansione sovietica (in questa chiave va interpretata l’estensione dell’unione ai paesi ex satelliti effettuata sotto la presidenza Prodi);

b) creazione di un mercato di libero scambio allargato funzionale all’economia statunitense.

“Ma poiché – come scrive Papi – non esiste alcuna forma di pensiero che possa resistere alle mutazioni simboliche provocate dalle condizioni materiali d’esistenza” ci troviamo oggi di fronte all’entrata in crisi di quei due presupposti sopra elencati. Sono causa della caduta di quei presupposti: il crollo dell’unione sovietica e la trasformazione dell’economia statunitense da economia esportatrice a economia importatrice.

La fine del pericolo del mostro sovietico costringe a ripensare il ruolo che l’Europa deve avere nella nuova prospettiva geopolitica, con la nascita di nuove potenze continentali. Per quanto riguarda il secondo presupposto, credo che vada ricordata la data del provvedimento di Nixon con cui si mise fine alla convertibilità del dollaro in oro (ricordiamo che De Gaulle, qualche mese prima, aveva inviato provocatoriamente negli USA una nave carica di dollari affinchè fossero convertiti in oro).

L’attuale crisi identitaria

Con la crisi dei presupposti che avevano portato all’unione europea, le forze politiche di tutti i paesi europei si trovano a doversi chiedere cosa farne di questa Unione.

Sono sempre le mutazioni delle condizioni materiali d’esistenza che vanno anteposte nei nostri ragionamenti. La prima considerazione riguarda il nuovo scenario geo-politico; le economie e le politiche si declinano a livello continentale: gli Usa e le Americhe da una parte; la Cina e l’Asia dall’altra; la Russia in profonda crisi ma sempre presente; l’Africa, naturale sbocco dell’Europa ma oggetto delle attenzioni cinesi; l’Europa che è diventata oggetto di progetti egemonici degli altri soggetti continentali.

A riprova di questa situazione, insisto nel rimarcare come nei travagliatissimi trattati-dissidi USA-Cina sui dazi, sulle proprietà intellettuali, esiste un impegno formale da parte della Cina di aumentare le sue importazioni dagli USA e ciò a scapito delle esportazioni, in primis, da Giappone ed Europa. Siamo quindi diventati oggetto soccombente di accordi di altre potenze.

Per ritrovare una strategia siamo chiamati, il prossimo 26 maggio, a votare per le europee non per promuovere o condannare Salvini o Di Maio o far resuscitare Zingaretti, siamo chiamati a scegliere tra tre grosse strategie:

  • Rivalutare l’autonomia e l’indipendenza dei singoli stati tornando ad un sovranismo che renderebbe l’Europa un fastidioso impedimento;
  • Riaffermare una Europa mercantilista, in cui ogni paese deve badare alle proprie responsabilità, ai propri compiti a casa, ignorando le obiettive contraddizioni costituite dalle asimmetrie tra le economie dei vari paesi senza visione programmatica della convergenza dei fondamentali, il tutto con una certa subalternità in una alleanza internazionale che dà segni di obsolescenza;
  • Riaffermare la necessità di una Europa che ponga al centro della sua politica la gestione del riciclo dei surplus, dell’azzeramento degli spread, dello sviluppo programmato degli investimenti sull’onda della golden rule di Delors, dello sviluppo tecnologico collegato alla redistribuzione di redditi e gestione dei mezzi di produzione; con dimensione continentale con pari dignità delle altre potenze senza subalternità.