di Giuseppe Scanni – Socialismo XXI Lazio |
Hag Sameah, Buona Pasqua, Happy Easter, Frohe Ostern, con tanto timore per l’equilibrio e la pace nel mondo, più specificatamente per quello che si combatte sulla porta mediterranea dell’Europa.
Nel corso della settimana appena passata, erano rincorse voci di un coinvolgimento degli Stati Uniti nell’appoggio al generale Haftar dell’Arabia Saudita.
Il nostro giornale ne dette notizia e oggi quelle voci risultano persino in difetto di una realtà più pericolosa.
Il Presidente del Consiglio Conte è intervenuto d’urgenza lo scorso giovedì al Senato, che era impegnato nella discussione sul DEF, per informare il Parlamento della «forte preoccupazione» per la situazione in Libia in riferimento alle possibili conseguenze sui flussi migratori verso l’Italia o altro territorio dell’Ue, anche se, ha detto Conte, «dalle informazioni in nostro possesso non emerge allo stato un quadro di imminente pericolo», non « ci sono interessi economici o geopolitici che possano giustificare scorciatoie militari ed in ultima analisi il rischio di una nuova guerra civile in Libia». Il presidente aggiunse che «ad oggi gli scontri hanno spinto circa 18.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni e gli sfollati interni sarebbero ancora in rapido aumento». Conte non si è poté esimere dall’affermare che «la situazione di caos e violenza accresce fortemente anche il rischio di una recrudescenza del fenomeno terroristico, del resto ancora ben presente in Libia».
C’era bisogno di chiarire quello che già si sapeva e che era stato discusso nei giorni precedenti?
Il nostro quotidiano aveva, per esempio, allarmato i decisori politici sull’effetto nebulizzante che le dichiarazioni del ministro Salvini sul piano del cessate il fuoco, sulla chiusura dei porti, sul conflitto e sulle prospettate fughe di rifugiati e non migranti economici, che lo avrebbero autorizzato ad assumere il comando delle operazioni di chiusura dei porti, anche delle Forze Armate. Che il ministro dell’Interno indebolisse la posizione negoziale italiana apparve da subito una questione di primaria importanza anche per le evidenti connessioni con politiche differenti di quelle del governo.
Insomma il tema era conosciuto. Possiamo presumere che Conte abbia usato il Senato per rivolgersi alla Casa Bianca al fine di ricordare il ruolo di interesse e di centralità che ricopre l’Italia nell’area di crisi.
Che il messaggio sia giunto e sia stato elegantemente respinto, elegantemente si fa per dire, lo desumiamo dalla telefonata di Donald Trump a Khalifa Haftar telefonata nel corso della quale gli Stati Uniti riconoscono «il ruolo significativo del maresciallo di campo nella lotta al terrorismo e nella sicurezza delle risorse petrolifere».
Trump ed il generale, si legge nel resoconto non ufficiale della telefonata – reso pubblico da un giornalista del pool della Casa Bianca, rilanciato da tutte le maggiori agenzie di stampa mondiali ed arabe- «hanno discusso una visione condivisa per una transizione della Libia verso un sistema politico, stabile e democratico». Diverse fonti diplomatiche hanno sottolineato la singolarità della telefonata del capo della prima potenza mondiale ad un personaggio come Haftar, che “ha ben poca legittimità e soprattutto che non abbia sentito il dovere di chiamare anche Serraj”.
Gli ambienti diplomatici non sono granché meravigliati dal contatto di Trump con Haftar, del quale ricordano i buoni rapporti anti Gheddafi con i sistemi americani, e sottolineano che viene confermata la «nuova politica mediorientale di Trump, imperniata sugli uomini forti e sull’alleanza con Emirati Arabi ed Arabia Saudita, sponsor principali del generale, mentre a Roma sembra ripartire il dialogo con Parigi sulla Libia e sul terreno resta una situazione di stallo.
Come in pochi speravano il buon senso ha prevalso tra Parigi e Roma, e non pochi osservatori suppongono un lavoro difficile e diretto del Quirinale.
Sembra passato un lungo tempo invece che poche settimane dalla chiamata “per consultazioni” a Parigi dell’ambasciatore francese a Roma e la dichiarazione congiunta dei due ministri degli Esteri transalpini, Yves Le Drian ed Enzo Moavero, con la quale si afferma che non sono «possibili progressi in Libia senza una solida intesa franco-italiana». Parigi e Roma sono oramai entrambe convinte che è reale il rischio della trasformazione della Libia in nuovo Yemen, devastato da un conflitto per procura che si sta già riproponendo nel Paese nordafricano. Un conflitto per procura nel quale il passo successivo potrebbe essere l’intervento diretto delle potenze contrapposte, Emirati e Arabia Saudita da una parte e Qatar dall’altra. Il richiamo incessante alla lotta al terrorismo identificato con l’Islam politico trasformerebbe la Libia in un terreno di scontro ideologico, che finirebbe per distruggere il Paese, eliminando un potenziale concorrente economico nella regione e gettando nella disperazione un popolo che si avvierebbe inesorabilmente nella pratica della violenza quotidiana, come è avvenuto in Somalia. Lo scenario non è un esercizio di analisi, visto che da più giorni fonti assai credibili sostengono essere vere le notizie circolate in rete sull’impiego di droni degli Emirati per i bombardamenti della scorsa notte a Tripoli. Il rispetto per i lettori impone di riportare notizie provenienti da ambienti informati, con la speranza, naturalmente, che esse, pur circolando, non siano confermate.
Non è sfuggito agli osservatori che il capo della diplomazia francese abbia avuto il tempo di incontrare a Sant’Egidio il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi, ed il presidente Impagliazzo. Senza dubbio la solidarietà di Sant’Egidio per il drammatico incendio di Notre Dame era importante, ma l’accenno alla necessità di «lavorare rapidamente perché ci sono tutti gli ingredienti perché le cose si deteriorino in Libia», che «il dialogo deve riprendere immediatamente e questo può avvenire solo con un immediato cessate il fuoco», avvertendo che la crisi «può diventare molto pericolosa. A Palermo prima e ad Abu Dhabi poi eravamo molto vicini ad un accordo, eravamo vicinissimi, arrivare ad un accordo è possibile, ma ci vuole il cessate il fuoco» sono dichiarazioni assai significative del riconosciuto ruolo di Sant’Egidio da parte della Francia. «Sono molto contento», ha detto Yves Le Drian, «di aver potuto incontrare dei rappresentanti della Comunità che svolge un ruolo importante per la pace nel mondo e in particolare in Africa». Si è rafforzata l’idea che parlando a Sant’Egidio il governo francese chieda a Papa Francesco di continuare ad essere attento al grave pericolo che corre il Mediterraneo, senza urtare la suscettibilità di quella parte del governo italiano che disapprova l’impegno del Vescovo di Roma.
Dopo l’incontro franco-italiano, che continuerà la prossima settimana con un bilaterale tra i vertici delle due diplomazie, si è fatto vivo il Dipartimento alla Difesa statunitense.
Il Segretario alla Difesa Usa, Pat Shanahan, ha cercato di precisare, in una dichiarazione resa nota dalla Cnn, la linea di Washington sul conflitto interno al paese nordafricano, dopo che la Casa Bianca ha diffuso una nota sui contatti con il generale Haftar: la Libia non ha bisogno di soluzioni militari. Per Shanahan, ma molti sostengono per l’onnipotente Marina militare e per la diplomazia statunitense se, come sostiene Trump, va bene il ruolo antiterrorismo di Haftar, questi deve aiutare la stabilità: «d’accordo sul ruolo nel contrasto al terrorismo ma il sostegno di cui abbiamo bisogno da parte di Haftar è nella costruzione della stabilità democratica nella regione».
Va registrato con interesse che vi sia una discrepanza a Washington, o almeno una presa di coscienza del fatto che la coesione italo francese indurrà la Germania ed assieme a lei i paesi europei ad un fronte comune del quale è bene tenere conto; purtroppo l’esperienza dei passati duelli nell’amministrazione su temi importanti di politica estera suggerisce cautela.
La campagna elettorale negli Sati Uniti è già iniziata.
Elizabeth Warren, la senatrice democratica candidata alla Casa Bianca nel 2020, ha chiesto alla Camera l’avvio della procedura di impeachment di Donald Trump. I «ripetuti tentativi del presidente di ostacolare l’indagine sul Russiagate -ha affermato- fa sì che tutti e due i partiti debbono mettere da parte le loro differenze politiche e compiere il loro dovere costituzionale. Questo significa che la Camera dovrebbe iniziare le procedure per l’impeachment contro il presidente».
The Hill, straordinario gazzettino di informazioni e pettegolezzi della capitale statunitense, sostiene che già circola una short list di candidati repubblicani della quale fanno parte i membri più autorevoli di Capitol Hill, primo tra tutti il senatore dell’Arizona Jeff Flake che, con un suo libro, “La coscienza di un conservatore”, si è messo in mostra con implacabili critiche al Presidente ed ai suoi sostenitori. Probabilmente il Gold Party lo escluderà per il mancato apprezzamento della leadership del partito. Ma è opinione comune che di guai il senatore ne procurerà molti.
Steve Bannon è già schierato sulle posizioni più oltranziste e Donald Trump ha dimostrato di ascoltarlo molto. Non soltanto Trump, per la verità, ascolta molto Bannon, anche il ministro dell’Interno Matteo Salvini che, secondo Time, figura nella classifica delle 100 persone più influenti nel mondo. Il profilo di Salvini è firmato da Steve Bannon.
Gli USA, prima con Obama e soprattutto con Trump, vivono un’epoca travagliata. L’egemonia conquistata in ben più di un secolo di storia soffre una crisi di legittimità dovuta non all’opposizione degli avversari storici (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord), ma dalla preoccupazione degli alleati per la erraticità della sua politica, la imprevedibilità, la capacità di autosmentirsi se necessario il giorno dopo una dichiarazione, che solo perché è stata pronunciata ha già generato problemi.
Come è il caso della telefonata ad Haftar, che ha messo in crisi il modello multilaterale di soluzione di conflitti locali ed ha rotto nel sistema NATO il concerto di responsabilità politiche di area.
Speriamo bene.
Hag Sameah, Buona Pasqua, Happy Easter, Frohe Ostern.
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