di Prof. Christian Vannozzi |
Siamo cresciuti con i racconti degli orrori della guerra, una barbaria nefasta che non porta a nessuna gloria e a nessuna vittoria, perché per vincere si deve compiere compiere qualcosa di vergognoso, come fecero gli statunitensi nell’agosto del 1045, quando per vincere una Guerra che passerà alla storia come La Seconda Guerra Mondiale, condannò il popolo giapponese alla più tragica carneficina che ci sia stata nella storia umana.
Si era sconfitto il nazifascismo, ma a che prezzo? Non c’è mai nulla di onorevole nei massacri, anche se bravi oratori sanno ben trasformarli in vittorie per l’umanità. L’unica vittoria sarebbe dovuta essere quella dell’insegnamento alle nuove generazioni, nuove persone che sarebbero dovute nascere con la totale aberrazione verso gli stermini, cosa che non avvenne.
Corea, Vietnam, Afghanistan, Iraq, Palestina, Ucraina, per citare solo i conflitti più famosi, hanno inondato il nostro pianeta di sangue, un sangue che non smette mai di scorrere nelle vie di tutte le nostre città, perché anche se non lo sappiamo tutti siamo colpevoli di questi stermini, nel nostro piccolo, sostenendo, senza saperlo, questo sistema che sembra essere nato per avere proprio il sangue come cemento. Forse sono parole forti, contro qualcosa che è più grande del solo Israele, perché non si tratta di un nemico tangibile, visibile, udibile, ma di un virus che ormai vive nel nostro organismo, in una sorta di simbiosi mistica che non riusciamo pi
a vedere, neanche quando ci sforziamo di farlo.
Quando si viene occupati è doveroso difendere la propria terra, il 25 aprile, dimenticato nel suo spirito dai più, e di conseguenza ignorato da una gran parte delle nostre future generazioni, doveva insegnare questo. Un partigiano non è un soldato, non difende uno Stato perché è il suo lavoro, non fa della guerra la sua professione, e neanche della difesa. Non è un guerriero, né un combattente, ma è qualcuno che suo malgrado è stato costretto ad imbracciare le armi, uomo, donna, vecchio, bambino, tutti sono in guerra, loro malgrado, sotto una occupazione, tutti subiscono le atrocità della guerra e non possono voltarsi altrove, non gli è permesso non impicciarsi, perché quando ti cadono le bombe in testa o si subiscono spari di fucile o di artiglieria, non è più possibile starne fuori.
Gaza è questo, è una nuova Italia occupata, un nuovo 25 Aprile da conquistare e far vivere, magari con un nome diverso, in un diverso mese, in un diverso giorno, ma con lo stesso esito, speriamo.
Tutta l’Europa ha subito l’occupazione militare nazi-fascista, quella stessa Europa che ufficialmente, con la creazione dell’Unione Europea dice no alla risoluzione dei conflitti tramite la forza, no a quello che non è altro che un bullismo internazionale, dove non sono ragazzi ad agire ma gli Stati nazionali, quegli stessi Stati che invece di garantire il benessere delle loro genti, come auspicavano i filosofi Spinoza, Rosseau, Kant ecc., non fanno altro che perpetuare queste atrocità, alimentando un sistema che si basa sulla guerra e voltandosi dall’altra parte, tramite i loro mezzi di informazione, per non vedere quello che accade.
I colpevoli non sono solo i giornali e i governi Occidentali, come tuona il Financial Times, ma tutti noi, preferendo chiudere gli occhi davanti all’uso della forza, pensando che il fine giustifichi sempre i mezzi adoperati e non capendo che la democrazia, e la pace non si raggiungono con gli stermini e con le bombe, ma forse è chiedere troppo al Paese che ancora non ha chiesto ufficialmente scusa agli stermini fatti in Etiopia, quasi finiti nell’oblio, come presto finirà anche il ricordo dei nostri partigiani, se non vi sarà da parte di tutti, iniziando dalle formazioni politiche e dai giornali che si definiscono di centro e di sinistra, di riconoscere questo stato di cose.

E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.