di Renato Costanzo Gatti

Socialismo XXI Lazio |

Mi avventuro in questo argomento con un approccio semplice e quasi schematico, atto, tuttavia, a chiarire in modo argomentato la differenza tra le due opzioni politiche.

Il mio approccio è fondamentalmente economico, dimentica quindi differenze o convergenze di altra natura e di questo il lettore è preavvertito.

Il socialismo,

come lo vediamo oggi, agisce fondamentalmente a livello di attuazione dello “stato sociale”, un complesso di richieste civili ed economiche (salario minimo, lotta al lavoro precario, diritti civili, cittadinanza, partecipazione, sanità, istruzione, etc.) che, accettando il “modo di produzione” in essere, operano per una miglior redistribuzione tra le classi sociali e per una vita libera e sociale solidale.

La definizione di “welfare state” o “stato sociale” ha come definizione secondo la dizione formulata da I. Gough, «l’uso del potere dello Stato volto a favorire l’adattamento della forza lavoro ai continui cambiamenti del mercato e a mantenere la popolazione non lavorativa in una società capitalistica». Non dimentichiamo che al fine di creare un clima pacifico tra le classi sociali i primi provvedimenti di “stato sociale” risalgono a von Bismarck che introdusse (1883-89) la prima forma di assicurazione sociale per i lavoratori dell’industria.

Lo “stato sociale” ha fatto enormi passi avanti nel ventesimo secolo in particolare nel mondo occidentale dove si sono realizzate, pensiamo agli stati scandinavi, forme di vita sociale che annullano il dramma della povertà.

Oggi, tuttavia, i limiti di questa scelta politico-economica denunciano una crisi profonda della politica redistributiva, crisi che nasce dalla rivoluzione tecnologica della produzione e dalla finanziarizzazione dell’economia, dal peggioramento dei tassi di sviluppo. Senza approfondire oltre le cause di questo stallo della politica redistributiva, è a tutti evidente lo stato di difficoltà di questo modello.

Il comunismo,

o quello che io chiamo con questo nome, pone alla base del suo operato la gestione scientifica dell’economia. Ritengo che il modello romantico della rivoluzione russa esaltata da Eisenstein, sia una negazione del pensiero marxiano, Gramsci definì quella rivoluzione come “La Rivoluzione contro il Capitale” (Avanti del 24 novembre 1917 e Grido del Popolo del 5 gennaio 1918). Fu una scorciatoia per saltare la fase borghese percorsa dai bolscevichi che “stanno elaborando le forme socialiste su cui la rivoluzione dovrà finalmente adagiarsi per continuare a svilupparsi armonicamente, senza troppi urti, partendo dalle grandi conquiste già realizzate”. Quella rivoluzione romantica, il suo collasso hanno ritardato di due secoli l’avvento del comunismo.

Il punto fondamentale del mio comunismo consiste nella gestione del surplus generato dal processo economico;  oggi quella gestione è basata su un fattore esterno alla razionalità, l’elemento determinante per decidere sul come reinvestire il surplus generato è il PROFITTO. Si investe laddove maggiore è il profitto atteso, si spostano capitali e risorse dai settori meno promettenti a quelli più attraenti in termini di utile, indifferenti all’investimento produttivo piuttosto che quello finanziario. Questo sistema guidato dal profitto, comporta un arricchimento della società nel suo complesso; prima i possessori di capitale e poi per “sgocciolamento” i ceti e le classi subalterne. Certo è che quando sopravvengono periodi di crisi, il cosiddetto sgocciolamento conosce interruzioni che causano una crescente diseguaglianze tra le classi, un peggioramento dell’indice Gini.

Osserviamo quello che in questi anni è successo alla più nota impresa italiana, la Fiat. E’ stata l’impresa che ha dominato per decenni la vita economica del paese, determinando le scelte della spesa pubblica, trasformando il paese sia nelle sue infrastrutture (si pensi alla rete autostradale) che nella migrazione verso il nord di masse di lavoratori meridionali. Nella gestione del surplus generato dalla produzione quell’impresa è stata un attore determinante ed un fruitore importante. Oggi la Fiat non esiste più, è comparsa in Stellantis, ha licenziato migliaia di addetti, ha fatto di Torino la città più cassaintegrata d’Italia, ha scelto di produrre in paesi europei dove il costo della mano d’opera è più conveniente e gli eredi degli Agnelli pensano di spostare i loro investimenti in settori più redditizi. La logica del profitto porta a queste soluzioni.

E ancora lo stato italiano con gli incentivi 4.0 e 5.0 regala soldi alle imprese affinchè siano esse a scegliere dove investire rifiutando un ruolo di decisore razionale, prostituendosi alle scelte profittevoli del capitalismo, lasciando al capitale il ruolo principale nell’allocazione del surplus. In proposito c’è da chiedersi come mai la Francia sia socia di Stellantis, così come è socia di Renault, destinate a fondersi, magari con Volkswagen. Si risponderà che lo stato francese è socio perché avrà avuto azioni societarie in cambio di capitali conferiti alle imprese. C’è allora da chiedersi perché, avendo lo stato italiano dato immensi contributi alla Fiat, non possegga in cambio neppure una azione, e si trovi oggi esclusa dalla creazione della mega industria automobilistica che potrebbe nascere in un prossimo futuro.

L’alternativa a questo modello di gestione del surplus generato è quello di affidare le scelte alla scienza che, individuate democraticamente le finalità e gli obiettivi da raggiungere, programma gli investimenti sociali in cui la profittabilità è un elemento ma non l’unico elemento decisivo. La definizione degli obiettivi è un fatto politico, il perseguimento degli stessi è un fatto scientifico in cui la programmazione è l’opzione scientifica dominante. Con tale proposta si sposta il governo politico dalla gestione sovrastrutturale, gestione dei diritti, alla gestione strutturale, allocazione del surplus con criteri scientifici e non estranei alla ragione, come il profitto.

La questione diviene enormemente più seria con l’avanzata in tempi rapidissimi della tecnologia e l’avvento dell’Intelligenza Artificiale (I.A.). Facciamo un piccolo esercizio di proiezione intellettuale: tra qualche decennio tutto ciò che è prodotto ora sarà prodotto bene e forse meglio dalla I.A., non sarà più necessario lavoro comandato per produrre ciò che oggi produciamo, liberati dal “guadagnarsi il pane col sudore della fronte”, potremo vivere con gli stessi beni oggi prodotti dall’uomo con quelli prodotti dall’I.A. Certo ci sono due scenari alternativi:

1 – Nel primo scenario il capitale privato possessore dell’I.A. e di tutta la robotica investirà il surplus generato in modo da soddisfare in primis i bisogni e gli obiettivi suoi, destinando solo una parte residuale del prodotto, quel tanto che, come diceva Bismark, distolga i succubi da rivendicazioni violente e ne acquisti una pacifica convivenza.

2 – Nel secondo scenario l’I.A. e tutta la robotica è posseduta e gestita dalla comunità che ripartisce il prodotto in modo che riconosca meriti e bisogni. Una specie di reddito di cittadinanza di base accompagnato da incentivi per chi più contribuisce allo sviluppo, allo studio, all’innovazione. Avete presente l’Agathotopia di James Meade Nobel dell’economia?

Certamente lo scenario che prevarrà sarà il frutto dell’impostazione politica che oggi (ed è ormai già molto tardi) mettiamo in atto avendo presente l’obiettivo che vogliamo raggiungere. Dico che è già molto tardi perché il ruolo che Elon Musk ha all’interno del nascente NUOVO MONDO statunitense, è quello di fare della tecnologia non un supporto alla politica ma di divenire essa stessa, come frutto esclusivo del capitale, il centro del potere di una nuova società basata sull’I.A.

Al momento, nello scenario mondiale, immaginiamo che solo USA e Cina (rappresentanti del modello 1 e del modello 2) siano i protagonisti della costruzione del futuro. L’Europa con l’elezione di Trump ha l’occasione di diventare adulta, se si renderà conto del suo destino di futura colonia se non opera tempestivamente, ma deve accelerare il suo modo di governare, darsi un traguardo di autonoma prospettiva e non di vassallaggio.

In questo momento l’unica prospettiva che ha un senso è quella del progetto Draghi di investire 800 miliardi l’anno per dieci anni per dare all’Europa quell’aggiornamento tecnologico, quell’investimento nell’ I.A. che costituisca la base per un futuro alternativo al divenire colonia.

Ricordo che già nei documenti economici del momento creativo di Rimini, questo argomento era presente, e di anni ne sono passati.

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