GLI ANARCHICI NELLA RESISTENZA DALLA CLANDESTINITA’ ALLA LOTTA PARTIGIANA

di Giorgio Sacchetti

Nel giugno 1942 un convegno clandestino che si tiene a Genova indica al movimento un percorso di liberazione che esplicitamente prevede una prima tappa intermedia, e infatti così si esprime la mozione che ne scaturisce:
“Essendo il fascismo il primo caposaldo da demolire e ogni colpo da chiunque tirato sarebbe sempre desiderato, in questa azione ci troveremo gomito a gomito con l’arma in pugno anche con quegli elementi le cui finalità sono in contrasto con le nostre o sono indefinite […] Ma, caduto il primo caposaldo, cioè il fascismo, ogni corrente rivoluzionaria avanzerà le proprie rivendicazioni […] Perciò nostro preciso compito crediamo sia questo: lavorare contro il fascismo sì, con chiunque: ma esigere da chiunque il diritto all’affermazione dei nostri sacrosanti principi libertari”.
Risulta chiaro fin da subito quindi come gli intenti della lotta siano fermamente rivoluzionari, ma anche come si tenga in considerazione e facilmente si profetizzi che molti fra i possibili compagni di strada dell’oggi potranno domani mutarsi in avversari. Per questo stesso periodo le fonti di polizia riferiscono che, da parte di anarchici non meglio precisati residenti in Piemonte, in Lombardia e nelle Marche, viene fondato un movimento antimilitarista denominato “PERDERE PER VINCERE” dedito alla diffusione di stampa clandestina e sovvenzionato dal noto Luigi Bertoni di Ginevra.

Ma la spinta decisiva si può dire che giunga dai confinati. E’ un nutrito gruppo di anarchici quello che si trova ancora relegato nelle isole, soprattutto a Ventotene. Si tratta per lo più di militanti ormai temprati dalle battaglie, in molti casi già estradati dalla Francia (dal campo di concentramento di Vernet d’Ariège), paese nel quale erano a suo tempo rientrati dopo aver partecipato alla guerra di Spagna. Nelle famose ‘mense’, strutture logistiche del confino formate secondo criteri di affinità e appartenenza politica, si discute intanto animatamente dei programmi e delle prospettive unitarie della lotta antifascista. Ad esempio il direttivo comunista di Ventotene, alla vigilia della caduta di Mussolini, vota un documento che, mentre prefigura e delimita in modo preciso il campo delle alleanze, indica contemporaneamente gli altri nemici da battere oltre ai fascisti e lancia la parola d’ordine della “Lotta senza quartiere contro i nemici dell’unità proletaria (nel P.S., Modigliani e Tasca) nel massimalismo gli antisovietici e anticomunisti, negli anarchici gli anticomunisti”. Invece fra i componenti della numerosa colonia degli anarchici, seconda per numero in quell’isola popolata da circa ottocento confinati, in una assemblea plenaria si cerca piuttosto di sanare i contrasti annosi fra compagni del movimento, di rilanciare la lotta operaia, di riallacciarsi a quella pratica dell’unità proletaria già sperimentata in epoca prefascista.

Intanto nel meridione appare significativo quanto si verifica a Cosenza dove già nell’ottobre 1942 gli anarchici fondano un ‘Comitato provinciale del Fronte unico nazionale per la libertà’.
Dopo il convegno clandestino di Genova si infittisce ulteriormente la rete dei contatti fra i piccoli gruppi informali già esistenti un po’ ovunque e le individualità in particolare nell’Italia centrale. L’artefice principale di tutto questo lavorìo è il vecchio Binazzi di Torre del Lago, già redattore a La Spezia del settimanale “Il Libertario”; il primo importante risultato conseguito sul piano organizzativo è la convocazione di una serie di convegni clandestini interregionali che si tengono tutti a Firenze; questo mentre vivi sono gli entusiasmi per le notizie, fornite dalla stampa clandestina, sui primi scioperi operai nelle fabbriche del nord. Il 16 maggio 1943, nell’abitazione del fornaio Augusto Boccone, si tiene la prima di queste riunioni che formalmente costituisce la Federazione Comunista Anarchica Italiana. Sono presenti delegati provenienti da Bologna, Faenza, Genova, La Spezia, Livorno, Firenze, Torre del Lago, mentre avevano inviato la loro adesione i gruppi di Carrara e Pistoia. Vengono così stampate a cura del tipografo Lato Latini, e diffuse nelle varie località, mille copie di un manifestino contenente un appello ai lavoratori ed il programma minimo della neocostituita federazione.

In esso si ribadiscono i punti cardine sui quali incentrare la lotta rivoluzionaria: rifiuto della guerra in quanto prodotto del sistema capitalistico; appoggio ad ogni forma di opposizione al regime nell’ambito di un antifascismo intransigente; per la libertà di pensiero, di stampa, di associazione e anche contro ogni forma possibile di dittatura rivoluzionaria transitoria; contro la monarchia e per la costituzione di “libere federazioni di comuni, autonomi, composte di liberi produttori”.
Certamente si pone anche la questione dei rapporti con il Pci, la cui organizzazione clandestina dimostra peraltro grande efficienza e penetrazione nelle masse. Così, sempre a Firenze, si tiene, poco dopo l’uscita pubblica di questo programma minimo, un incontro segreto fra una delegazione ristretta di esponenti anarchici e una del Pci. Non si hanno notizie precise sugli argomenti all’odg per questo inusuale rendez-vous, se non che il risultato “fu un fiasco”.
La caduta del fascismo, l’avvento della nuova dittatura militare di Pietro Badoglio con il 25 luglio, ed il suo noto proclama agli italiani sulla guerra che continua, con l’avvertenza perentoria alla sinistra rivoluzionaria che “chiunque si illuda di turbare l’ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito”, fanno ulteriormente surriscaldare il clima di attesa impaziente fra i confinati. La così detta ‘storia dei 45 giorni’, iniziandosi con il coinvolgimento in ambito governativo di un comitato delle opposizioni antifasciste, vede per forza di cose la parziale risoluzione della questione confino. Il capo della polizia Senise invia un dispaccio urgente a tutte le direzioni delle colonie: “Prego disporre subito scarcerazione prevenuti disposizione autorità PS responsabili attività politiche escluse quelle riferentesi comunismo e anarchia”.

I primi a partire da Ventotene (dove è direttore Marcello Guida, futuro questore di Milano nel 1969) dopo la compilazione delle liste distinte per gradi di pericolosità politica, sono gli ‘antifascisti democratici’ e quelli di ‘G.L.’, dopo i socialisti, infine i comunisti. Restano alla fine nell’isola circa 200 confinati politici fra anarchici e cittadini italiani di origine slovena o croata. Ma il dispaccio ministeriale che dispone la liberazione anche di questi ultimi coatti giunge quando questi sono già stati ormai avviati al campo di concentramento di Renicci d’Anghiari (Arezzo) – uno dei peggiori d’Italia sia per il numero di internati (in genere prigionieri di guerra slavi) che per i comportamenti del personale di sorveglianza – ove giungono dopo varie peripezie il giorno 23 agosto. A questo punto gli anarchici sono rimasti in sessanta circa. L’8 settembre i prigionieri chiedono in massa le armi per opporsi all’occupazione tedesca e per tutto il giorno seguente si organizzano comizi nei vari settori del campo. Nella rivolta rimane ferito Alfonso Failla. La via della fuga di massa da Renicci, con i tedeschi alle porte, è dunque aperta da questo episodio di ribellione.

A Firenze intanto, nella clandestinità, rivede la luce “Umanità Nova” già soppresso dal fascismo, tiratura iniziale 1800 copie, destinata a quadruplicarsi nei due anni successivi. Il primo numero esordisce con l’editoriale: “Salute a Voi, o compagni d’Italia e di tutti i paesi; noi, dopo un lungo e forzato silenzio, riprendiamo con immutata fede il nostro posto di battaglia per la liberazione di tutti gli oppressi”.
Per tutto il 1944 gli anarchici d’Italia, pur nelle differenti situazioni locali e talvolta in condizioni di estrema debolezza, impegnati nel movimento partigiano, caratterizzeranno la loro azione nel senso dell’antifascismo intransigente e della preparazione insurrezionale, della ricerca anche di programmi da attuare nel concreto per la fase di transizione. Si pubblica così un nuovo ‘programma minimo’ che denota, sull’onda della impostazione berneriana del 1935, importanti punti di contiguità con il filone azionista-repubblicano e liberalsocialista. Non mancheranno comunque gli appelli “ai socialisti onesti” ed alla collaborazione fattiva con la base del Pci.
La proposta anarchica del ‘Fronte Unico dei Lavoratori’ si inserisce nei contesti diversificati della lotta armata e della criticata esperienza dei CLN, della riorganizzazione del movimento operaio a sud e nelle zone liberate, innescando però non poche contraddizioni. Ci si oppone comunque, dentro la Confederazione Generale del Lavoro, al nuovo totalitarismo sindacale dominato dai partiti.

Si cercano anche effimere alleanze con i settori della dissidenza comunista come nel caso della fondazione a Milano nel 1944 della Lega dei Consigli Rivoluzionari. Ma i nemici più convinti di qualsiasi possibile versione del Fronte Unico rivoluzionario dei lavoratori sono gli Alleati i quali, tramite connivenze ad ogni livello, non esitano a fare abbondante uso di sistemi repressivi giungendo fino all’eliminazione fisica di quadri scomodi della Resistenza, come nel caso degli anarchici piacentini Canzi e Fornasari.
La fine del regime mussoliniano coincide nel meridione con la rinascita e lo sviluppo di quel filone socialista-libertario popolare e contadino rimasto allo stato di latenza negli anni del fascismo. Per gli anarchici che si trovano nel Regno del Sud si tratta di combattere una vera e propria guerra su due fronti e non solo dunque contro i nazifascisti, per la libertà di stampa e di organizzazione negata dagli eserciti ‘liberatori’ delle grandi nazioni democratiche.

Alla vigilia dell’insurrezione di aprile i partigiani anarchici lanciano, dalla Genova dei portuali, l’ultimo appello al popolo, mentre ancora da Firenze “Umanità Nova” ripubblica il ‘programma minimo’.
La Resistenza si sviluppa come è noto in quei territori dell’Italia centro settentrionale rimasti in mano tedesca e costituenti la Repubblica Sociale Italiana. Gli anarchici partecipano alla lotta armata in maniera cospicua quanto a tributo di uomini e di sangue, ma subiscono d’altro canto totalmente l’egemonia delle altre forze della sinistra. Talvolta militano in proprie specifiche formazioni partigiane, ma più spesso si trovano inquadrati nelle “Garibaldi”, nelle “Matteotti” o in G.L.
A Roma gli anarchici sono presenti in particolare nella formazione comandata dal repubblicano Vincenzo Baldazzi, personaggio noto per la sua antica amicizia per Malatesta. Fra i caduti: Aldo Eluisi alle Fosse Ardeatine; Rizieri Fantini, fucilato a Forte Bravetta; Alberto Di Giacomo detto ‘Moro’ e Giovanni Gallinella deportati a Mathausen senza ritorno; Ettore Dore (di origine sarda, già combattente della colonna Ascaso in Spagna) rimasto ucciso durante una missione oltre le linee.

Nelle Marche gli anarchici militano nelle differenti formazioni partigiane presenti ad Ancona, Fermo, Sassoferrato e a Macerata dove cade Alfonso Pettinari, già confinato, commissario politico in una brigata ‘Garibaldi’.
Piombino operaia, centro siderurgico con una notevole tradizione libertaria e sindacalista rivoluzionaria, è la protagonista di una sommossa popolare contro i nazifascisti già il 10 settembre 1943. Fra i protagonisti dell’insurrezione Egidio Fossi, Renato Ghignoli e Adriano Vanni; quest’ultimo attivo poi nella resistenza in Maremma.
A Livorno gli anarchici sono tra i primi ad impadronirsi delle armi custodite nelle caserme e nell’Accademia navale di Antignano al fine di rifornire le bande partigiane. Inquadrati nei GAP e nella Divisione Garibaldi partecipano ad operazioni di guerriglia nelle provincie di Pisa, Livorno e in Maremma. Nell’opera di liberazione dei rastrellati e carcerati si distinguono fra gli altri Virgilio Antonelli, a sua volta già confinato ed internato dal 1926 al 1941 quasi ininterrottamente, e Giovanni Biagini.

Consistente e determinante l’apporto libertario nella resistenza apuana che qui assume anche le caratteristiche di vera e propria guerra sociale. Sono attive nella zona di Carrara formazioni partigiane libertarie, complessivamente composte da oltre un migliaio di uomini, denominate: “G.Lucetti”, “Lucetti bis”, “M.Schirru”, “Garibaldi Lunense”, “Elio”, SAP “R.Macchiarini”, SAP-FAI. Dopo l’8 settembre un gruppo di anarchici fra cui Romualdo Del Papa guidano l’assalto alla caserma Dogali e spingono gli alpini a disertare e ad aderire alla lotta partigiana. Nasce così la “Lucetti” comandata da Ugo Mazzucchelli e che agisce nell’ambito della Brigata Apuana. Alla fine del 1944 lo stesso Mazzucchelli, a seguito di un rastrellamento che costa la vita a sei dei suoi uomini, ripara in Lucchesia salvo poi rientrare prima dell’arrivo degli alleati a liberare Carrara con la sua formazione “Schirru”. Fra i partigiani anarchici più conosciuti vi sono inoltre il comandante Elio Wochievich, Venturelli Perissino, Renato Macchiarini, il giovanissimo Goliardo Fiaschi, Onofrio Lodovici, Manrico Gemignani, i figli di Mazzucchelli Carlo e Alvaro, Alcide Lazzarotti, ecc..

A Lucca ed in Garfagnana, sui cui monti agiscono anche militanti pistoiesi e livornesi, gli anarchici sono soprattutto presenti nella formazione autonoma comandata da Manrico Ducceschi “Pippo”. Fra i partigiani libertari lucchesi noti vi sono: Federico Peccianti, nella cui casa si riunisce il CLN; Luigi Velani, aiutante maggiore nella “Pippo”.
A Pistoia agisce la formazione anarchica “Silvano Fedi” composta da 53 partigiani. Il primo gruppo di resistenza si costituisce ad opera di Egisto e Minos Gori, Tito e Mario Eschini, Tiziano Palandri e Silvano Fedi. Leggendaria la figura del giovane comandante da cui prende il nome la banda, vittima di una imboscata – dai contorni poco chiari (come testimonierà il vicecomandante Enzo Capecchi) – tesagli dai tedeschi e su probabile “delazione di italiani”. La stessa formazione, con Artese Benesperi alla testa, è la prima ad entrare in Pistoia liberata.

A Firenze si costituisce, alle dipendenze del comando militare del Partito d’Azione, una prima banda armata che agisce sul vicino monte Morello comandata dall’anarchico Lanciotto Ballerini, caduto in combattimento medaglia d’oro alla memoria. Al poligono di tiro delle Cascine sono fra gli altri fucilati gli anarchici Oreste Ristori, settantenne già coatto nel 1894, e Gino Manetti. In provincia di Arezzo gli anarchici sono presenti nella resistenza in Valdarno, con un’attiva partecipazione anche ai CLN locali, ed in Valtiberina con Beppone Livi “Unico” che assolve compiti di collegamento fra la formazione ‘Bande Esterne’, i comitati di liberazione aretino e toscano, ad Arezzo e a Firenze.
A Ravenna si ha una folta presenza libertaria nella 28^ Brigata Garibaldi e rappresentanza adeguata nel CLN provinciale. La prima pattuglia partigiana che entra in Ravenna liberata è comandata dall’anarchico Pasquale Orselli. Notevole il tributo di sangue.

In provincia di Bologna e Modena gli anarchici contribuiscono alla costituzione delle prime brigate partigiane a Imola con la “Bianconcini”, ed a Bologna con la “Fratelli Bandiera” e la “7^ Gappisti”. A Reggio Emilia cade fucilato Enrico Zambonini; un distaccamento della ‘Garibaldi’ prenderà il suo nome. A Piacenza si ergono le figure di Savino Fornasari e di Emilio Canzi, accomunati dal singolare destino di morire in incidenti stradali causati da automezzi alleati. Canzi in particolare comanda tre divisioni e 22 brigate, per un totale di oltre diecimila partigiani!
Le formazioni di La Spezia e Sarzana agiscono in stretto contatto con quelle della vicina Carrara con due gruppi comandati dagli anarchici Contri e Del Carpio. Renato Olivieri, già detenuto politico per 23 anni, e Renato Perini cadono durante uno scontro a fuoco con i nazifascisti.
A Genova la presenza libertaria nella resistenza supera i 400 partigiani (“Pisacane”, “Malatesta”, SAP-FCL, SAP-FCL Sestri Ponente), di cui 25 caduti in combattimento. Qui la Federazione Comunista Libertaria, fallita l’ipotesi di Fronte Unico, deve affidarsi per la lotta armata unicamente alle proprie forze.
Nella Torino industriale, particolarmente alla FIAT e durante l’insurrezione alle ‘Ferriere Piemontesi’, agisce la formazione anarchica denominata 33° battaglione SAP “Pietro Ferrero”. Fra i caduti: Dario Cagno, fucilato per complicità nell’uccisione di un gerarca, e Ilio Baroni, già ardito del popolo a Piombino. Nell’astigiano si registrano invece presenze libertarie fra i ‘garibaldini’.

A Milano la lotta clandestina è iniziata da Pietro Bruzzi che viene subito catturato ed ucciso dopo tortura dai nazifascisti. Gli anarchici dopo la sua morte costituiscono le brigate “Malatesta” e “Bruzzi” forti di 1300 partigiani, in un secondo momento inquadrate nelle formazioni “Matteotti” e che avranno, sotto il comando di Mario Perelli, un ruolo di primo piano nella liberazione di Milano. A Como opera la “Amilcare Cipriani”; in provincia di Pavia la 2^ Brigata “Malatesta”; mentre nel bresciano gli anarchici sono attivi in una formazione mista G.L.-Garibaldi.
A Verona l’anarchico Giovanni Domaschi (11 anni di carcere e nove di confino, due evasioni) fondatore del locale CLN, viene arrestato dai tedeschi e deportato a Dachau dove muore.
In Friuli Venezia Giulia alcuni anarchici sono inseriti in formazioni comuniste come la Divisione Garibaldi-Friuli. A Trieste i collegamenti con i partigiani sono tenuti da Giovanni Bidoli, poi scomparso nei lager tedeschi insieme a Carlo Benussi, un altro anarchico friulano. Attivo anche Nicola Turcinovic che ben presto però si trasferisce da Trieste a Genova dove continua a militare nelle formazioni partigiane della FCL. Nell’alta Carnia, dove Italo Cristofoli muore durante l’assalto alla caserma tedesca di Sappada, gli anarchici contribuiscono alla costituzione di una Zona Libera autoamministrata.

“Le loro formazioni di combattimento – ha scritto Cerrito in merito alla partecipazione anarchica alla Resistenza – rimangono legate al Partito Comunista, al Partito Socialista, al Partito d’Azione. Nei CLN ai quali partecipano con delegati qualificati non riescono mai ad imporre una linea politica rivoluzionaria, un atteggiamento in qualche modo orientato in senso libertario. Anche se essi non sono secondi a nessuno nella lotta armata contro il nazifascismo, non riescono a superare il gradino di inferiorità psicologica in cui li pone la loro carenza organizzativa e la mancanza di un programma politico uniforme”.
Dopo la liberazione – mentre al sud il movimento si trovava già ad un buon livello organizzativo una volta costituita l’Alleanza Gruppi Libertari – le federazioni comuniste libertarie che man mano si erano costituite convocano a Milano il primo convegno interregionale per l’alta Italia nel giugno 1945. All’odg: l’unità sindacale e il tema ostico della collaborazione libertaria ai CLN; la riorganizzazione del movimento giovanile e la convocazione di un congresso costitutivo della FAI.-
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
AA.VV., Atti della giornata di studi su L’Antifascismo rivoluzionario. Tra passato e presente, Pisa 25 aprile 1992, BFS 1993;
AA.VV., Giornali anarchici della Resistenza 1943-’45 / Gli anarchici e la lotta contro il fascismo in Italia, Ediz. Zero in Condotta, Milano 1995;
A. DADA’, L’anarchismo in Italia: fra movimento e partito. Storia e documenti dell’anarchismo italiano, Teti editore Milano 1984;
I.ROSSI, La ripresa del movimento anarchico italiano e la propaganda orale dal 1943 al 1950, RL Pistoia 1981;
P.BIANCONI, Gli anarchici nella lotta contro il fascismo, Ediz. Archivio Famiglia Berneri, Pistoia 1988;
G.CERRITO, Gli anarchici nella resistenza apuana, a c. di A.Dadà, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca 1984;
M.ROSSI, “Avanti siam ribelli…” Appunti per una storia del movimento anarchico nella Resistenza, BFS Pisa 1985;
M.LAMPRONTI, L’Altra Resistenza. L’Altra Opposizione (comunisti dissidenti dal 1943 al 1951), Antonio Lalli Editore, Firenze 1984;
C.VENZA,Umberto Tommasini. L’anarchico triestino, ediz. Antistato Milano 1984;
L.CAVALLI, C.STRADA, Nel nome di Matteotti. Materiali per una storia delle Brigate Matteotti in Lombardia, 1943-1945, Franco Angeli, Milano 1982;
G.MANFREDONIA, Les Anarchistes italiens en France dans la lutte antifasciste, in “Collection de l’Ecole francaise de Rome”, Roma n.94/1986;
M.R. BIANCO, Les anarchistes dans la Resistance, vol. 2, Témoignages 1930-1945, in “Bulletin” C.I.R.A. Marseille, n.23/25 del 1985;
I.TOGNARINI (a cura di), Guerra di sterminio e Resistenza. La provincia di Arezzo 1943-1944, E.S.I. Napoli 1990;
L.BETTINI, Bibliografia dell’anarchismo, vol.1, tomi I e II, C.P. editrice Firenze 1972-1976;
G.SACCHETTI, Resistenza e guerra sociale. Il movimento anarchico e la lotta di liberazione 1943-1945, in “Rivista Storica dell’Anarchismo” Pisa, a.II, n.1/1995;
G.SACCHETTI, Gli anarchici contro il fascismo, Edizioni ‘Sempre Avanti’, Livorno 1995;
“Almanacco Socialista”, Milano, ed. Avanti! 1962;
“A-Rivista anarchica” Milano, n.4/1973.