di Daniele De Piero
Coordinatore Socialismo XXI Friuli Venezia Giulia |
Ogni anno in Italia, nelle nostre città, si celebra il 4 novembre, quella “vittoria” che in verità fu invece un vero e proprio massacro di lavoratori, di proletari, operai e contadini, alcuni dei quali erano poco più che adolescenti (i Ragazzi del ’99): una vittoria pagata con 680.000 morti, due milioni tra feriti, mutilati e prigionieri, tutti lavoratori mandati al macello contro altri lavoratori di altri paesi, tutti poveracci che ci hanno “lasciato le penne” in una guerra che si poteva evitare. In questa giornata, vengono inoltre festeggiate l’Unità Nazionale e le Forze Armate, che vengono ringraziate per il “contributo” dato al paese.
Mi chiedo quindi, davanti a quella che è stata una tragedia dalle dimensioni epocali, che senso abbia celebrare questa ricorrenza e addirittura attribuirle il significato di vittoria.
Celebrare vuol dire esaltare, glorificare o, quantomeno, ricordare festosamente; una parola che porta con sé un moto d’orgoglio, un vanto, una lezione positiva da impartire alle giovani generazioni. Ma cosa c’è da celebrare cent’anni dopo l’inizio della “Grande Guerra”? La lezione di violenza? La democrazia sospesa o le decimazioni? I giovani senza elmetto mandati al macello coi berretti di feltro o l’insipienza dei generali alla Cadorna? Chi sceglieremo di ricordare?
I socialisti e gli anarchici spediti là dove più certa era la morte? I ragazzi uccisi dai carabinieri pronti a sparare ai soldati terrorizzati? No. Non ricorderemo nulla di tutto questo e taceremo sui centomila nostri prigionieri morti per fame e per freddo nei campi di prigionia perché considerati disertori e abbandonati al loro destino, in mano a un nemico che stentava ad alimentare i suoi uomini al fronte. Decideremo forse di raccontare ai nostri giovani l’inaudita ferocia delle nostre classi dirigenti?
Non sarebbe difficile farlo, ma è un lavoro incompatibile con la parola “celebrare”.
Sarebbe il caso invece di rammentare ai politici, alle associazioni che ricordano il 4 novembre, ai sacerdoti chiamati a benedire i monumenti, e a tutta la società civile, di non dimenticare che ogni guerra è “un’ avventura senza ritorno” mentre il 4 novembre di fatto ci obbliga tutti a non tacere, a non far strumentale e insulsa retorica patriottarda, a non benedire la guerra, a non giocare sulla pelle della gente.
Per quanto mi riguarda non festeggerò nessuna “vittoria” e mi viene una grande tristezza quando sento usare toni trionfalistici a proposito della Grande Guerra. Proprio perché ritengo doveroso rispettare la memoria di chi ha combattuto e non ha più fatto ritorno e perchè sono convinto che celebrare la guerra non sia mai impresa nobile. Celebrare questa guerra, con 100.000 omicidi di Stato su 600.000 caduti è solo un’infinita vergogna.
UNA NOTA
“Per quanto riguarda il centenario del treno del Milite ignoto. Cerimonie di questo tipo furono organizzate tra il 1920 e il 1921 non solo nel Regno d’Italia con la bara scelta da Maria Bergamas ad Aquileia e portata fino a Roma (a Parigi per esempio la tomba del milite ignoto è sotto l’Arc de Triomphe, a Londra è nell’Abbazia di Westminster). Dietro il marchio della pietas nei confronti dei caduti che non poterono essere riconosciuti, si nascondeva una propaganda massiccia per far dimenticare il macello di popoli che fu la prima guerra mondiale. A REDIPUGLIA dei resti di CENTOMILA soldati che lì sono sepolti, più di SESSANTAMILA sono IGNOTI. Questo significa corpi maciullati nelle varie “spallate” delle battaglie dell’Isonzo, sull’altipiano della Bainsizza, «da monte Nero a monte Capuccio, fino alle alture di Doberdò» come canta Sandra Mantovani nella canzone popolare “Fuoco e mitragliatrici”. Corpi così smembrati che non poterono neppure essere riconosciuti. Questa è la realtà che si vuole confondere ancora nel 2021 dietro la rinnovata retorica del treno che portò da Aquileia a Roma la bara scelta da Maria Bergamas. Soldati, ignoti o noti, che furono le vittime della prima grande guerra interimperialistica per la spartizione del mondo.“
Grazie ad Alessandra Kersevan
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.