di Renato Costanzo Gatti
Socialismo XXI Lazio |
Quella che si è svolta recentemente negli USA mi è parsa una delle campagne elettorali più becere e volgari; piena di slogan e di parolacce, di insulti personali e di falsità. Dico subito che il problema non mi pare sia Trump quanto invece quei milioni di cittadini statunitensi che lo votano; ebbene considero il livello medio dello statunitense molto basso come peraltro pare essere il livello intellettuale e culturale; soggetti mediocri dotati di scarso senso critico, attratti da argomentazioni di infimo livello, semplicisti nelle argomentazioni rifuggono dalle argomentazioni più complesse incapaci di sollevare i loro giudizi critici.
D’altra parte gli Stati Uniti sono quel paese che, assieme alla Cina, è il più avanzato nella ricerca scientifica, nello sviluppo tecnologico, nella innovazione. Ed è proprio sul fronte della tecnologia, sulle sue scoperte e conquiste che è segnato il cammino del progresso in questa era storica.
La tecnologia, a partire dal piccolo strumento manuale usato dall’artigiano, ha sempre più allargato il suo campo di azione, con cicli con una certa ricorrenza storica e temporale, che ha segnato il tempo storico della nostra vita sociale. E negli ultimi anni la tecnologia ha fatto innegabili passi avanti grazie anche e soprattutto alle scoperte scientifiche ed alle loro ricadute sul modo di produrre storicamente determinato.
La tecnologia non è socialmente neutrale, quindi ne va analizzata l’essenza in modo approfondito; partirei intanto dalla considerazione che la tecnologia, sia nella fase in cui è semplice strumento di aiuto al lavoro vivo che nella fase in cui lo rimpiazza con l’automazione o addirittura con le vette dell’intelligenza artificiale, si sostituisce al lavoro umano non solo alleviandone la fatica o, visto da un’ altra prospettiva, eliminando posti di lavoro, ma con maggiore efficacia, capacità, produttività; risulta cioè migliore del lavoro umano. Se questo concetto è facilmente accettabile se ci si domanda, ovvero si osserva nella realtà fattuale, ad esempio, se sul piano del moto sia meglio andare a piedi o con un calesse, o con un auto, o con un aereo, o con un razzo. Nessuno mette in dubbio che la tecnologia, nei suoi sviluppi, ha sopravanzato alla grande le capacità umane, pur nella consapevolezza orgogliosa che i prodotti tecnologici sono un prodotto umano, ubbidienti e soggetti al dominio e al comando umano.
Più difficile è l’ammissione che la tecnologia, con l’intelligenza artificiale, possa essere migliore del cervello umano. Su questo fronte si sollevano subito obiezioni di tipo filosofico che affermano che la macchina nelle sue elaborazioni non ha coscienza di quello che, pur con risultati sorprendenti, fa. Il tema se la macchina abbia o meno la coscienza di quello che fa, mi pare un falso problema se si riconosce che la macchina è più capace di noi, che le sue reti neuronali sono più capaci delle nostre, e che quindi può essere di grande aiuto al nostro processo intellettuale purché noi si sia sempre in grado di guidarla, gestirla, dominarla. Basti al proposito ricordare le tre regole di Asimov.
Un altro punto da tenere presente è la sinergia tra scienza e tecnologia; la tecnologia è un sottoprodotto della scienza e la scienza è figlia della ricerca. Quindi di fronte all’esaltazione del prodotto tecnologico, sia esso rivolto alla produzione che al consumo, di fronte alla ingenua esaltazione ed enfatizzazione delle svolte epocali a cui è destinata l’umanità grazie alle rivoluzioni tecnologiche, occorre rimandare la nostra attenzione al ruolo della scienza e di conseguenza della ricerca. Su questo fronte Draghi, nel suo rapporto sulla competitività, sottolineando che in Europa siamo indietro di due rivoluzioni tecnologiche (digitalizzazione e intelligenza artificiale) rispetto a USA e Cina, è molto tranciante: o investiamo 800 miliardi l’anno per dieci anni in ricerca e sviluppo, oppure l’Europa è destinata ad una lenta inesorabile agonia. Ecco che allora la via indicata da Draghi diventa, a mio parere, il programma concreto della sinistra europea, superando ogni sovranismo nazionalistico.
Ma oltre al rapporto tecnologia-scienza, è evidente che è difficile produrre saperi e prodotti tecnologici senza il sostegno di grandi quantità di capitali; ecco che allora ci si presenta un ulteriore nesso che non è privo di conseguenze. Ecco che allora l’aspetto proprietario, conseguente all’apporto di capitali, comporta una riflessione critica interpretativa del fenomeno fatta da parte dell’economia politica. La ricerca, la scienza, le conseguenti scoperte sono fondamentalmente un processo sociale, il risultato di iniziative fatte dalla comunità nell’ambito statuale; la scuola, l’Università, i centri di ricerca sono a monte del processo di cui stiamo discutendo. Sono le indimenticabili parole e scritti di Mariana Mazzucato a chiarirci i meccanismi mediante i quali il prodotto sociale viene trasferito alla sfera privata. La scelta tra le scoperte da finanziare è esercitata dal venture capital in base alle previsioni di profittabilità della stessa. Una scelta fatta con altri parametri, diversi da quelli della profittabilità, porterebbe molto probabilmente a esiti diversi. E la scelta del finanziamento selettivo tra le scoperte della scienza e della tecnologia segna il cammino del paese; non è quindi indifferente se il criterio di scelta sia il profitto o, ad esempio, il bene comune.
Non condivido appieno la tesi operaistica secondo cui (mi riferisco al libro di Andrea Cengia Le macchine del capitale”) “Le macchine e la tecnologia sono attratte dal capitale e, sotto la forma del macchinario, si schierano a suo fianco. Il problema non sono le macchine, capaci di alleviare le fatiche dell’uomo, ma il loro uso capitalistico come dimostra Marx nel Capitale con l’aumento dello sfruttamento dei lavoratori per mezzo dell’introduzione e la presenza del sistema delle macchine nella grande industria che incrementano la loro sussunzione reale”. Nel condividere che “il problema non sono le macchine” ma dell’uso che se ne fa, non credo che lo scopo sia di sfruttare ulteriormente i lavoratori, bensì sia la ricerca di maggior profitto che può comportare la riduzione di bisogno di lavoro vivo e quindi di licenziamenti di massa. Va da sé che produrre di più e diminuire la domanda conseguente al minor ricorso al lavoro vivo, rappresenta una contraddizione di difficile soluzione.
Abbiamo quindi una duplice contraddizione: da una parte abbiamo un prodotto sociale (la scienza) dirottata al profitto privato, e dall’altra l’aumento della capacità di produrre a fronte di una riduzione della potenzialità della domanda.
La mia personale proposta di superamento di queste contraddizioni si articola su due punti:
- lo sfruttamento non consiste soltanto nell’appropriazione di plusvalore, quanto nel fatto che il surplus generato dal processo produttivo sia gestito dal solo capitale che sceglie in base alla finalità del profitto che di per sé non collima con il bene comune. Semplicisticamente non possiamo limitarci a lottare per un maggior salario, o peggio per aumentare il salario minimo, ma dovremmo essere parte del processo decisivo del dove e come investire il surplus generato dal processo produttivo. E questa maturazione (e penso alla Critica al programma di Gotha) passa attraverso il percorso gramsciano da subalterno a dirigente. Il monopolio delle scelte di impiego del surplus detenuto dal capitale è l’obiettivo da rimuovere sostituendolo nella gestione del surplus, sostituendo al principio del profitto quello del bene scientificamente individuato;
- lo sviluppo della tecnologia può portare ad una continua riduzione della richiesta di lavoro vivo; le macchine possono sostituire in pieno il lavoro umano, non ci stupisca questa prospettiva che l’avvento dell’intelligenza artificiale rende più vicina. Marx stesso indica che nella società comunista le macchine avranno il maggior uso possibile, liberando l’uomo dal lavoro comandato. E’ a questa prospettiva che dobbiamo guardare per impostare il nostro lavoro politico. Liberarsi dal lavoro comandato, dedicare le nostre capacità e potenzialità a finalità superiori al “produrre cose” mi sembrano obiettivi nobili e realizzabili. Se le macchine domani producessero tutto ciò che viene prodotto oggi (e forse anche di più e meglio) non dovrebbero esserci problemi di rispondere alla domanda. Occorre allora pensare ad un reddito di cittadinanza nobile come nuovo sistema di redistribuzione del prodotto. E ciò presuppone la proprietà comune del sistema produttivo tecnologicamente autosufficiente.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.