di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Ci stiamo avvicinando all’appuntamento di Genova dove si tenterà il rilancio del SOCIALISMO a seguito di un percorso iniziato da Socialismo XXI secolo; in vista di quell’appuntamento vorrei affrontare un tema che, a mio avviso, dovrebbe essere al centro dei nostri obiettivi.

Il SOCIALISMO cui puntiamo è sicuramente un socialismo democratico, nessuno di noi ha in mente la realizzazione delle nostre idee percorrendo strade estranee alla democrazia e che rimandino ad esperienze rivoluzionarie che, connotate dal romanticismo della violenza o da forme di governi autoritari, spesso nel passato, oltre ad essere condannate dalla storia, hanno di fatto ritardato il cammino verso l’obiettivo.

Sicuramente però non ci possiamo accontentare di una democrazia formale che ricerca la realizzazione dell’eguaglianza nei diritti civili di tutti i cittadini, con ciò mettendo le basi per una convivenza più accettabile, ma che si dimostra incapace di fornire alla società una democrazia concreta che miri ad una uguaglianza sostanziale dei soggetti membri della società. Voglio con ciò sottolineare il fallimento della vita reale del nostro Paese nel realizzare l’obiettivo contenuto nell’articolo 3 della nostra Costituzione.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Nel secondo dopoguerra il percorso del nostro Paese è cosparso di provvedimenti legislativi, di maturazioni culturali e mutazioni nella struttura del Paese che costituiscono passi in avanti nella realizzazione dell’art. 3 della Costituzione, nessuno può negare le conquiste realizzate dal riformismo, ma contemporaneamente non possiamo nasconderci che, in questo momento storico, quel cammino riformista si sia interrotto facendo anche riscontrare significativi passi indietro nella legislazione, nella cultura del paese, nel senso comune, nella prassi quotidiana.

Se osserviamo la società attuale non possiamo non rilevare, oltre ad un aumento delle disuguaglianze, il crollo nella speranza in un futuro che sia capace di invertire la tendenza. Se osserviamo l’indice Gini (il misuratore delle disuguaglianze di reddito e di ricchezza) vediamo che esso è in continuo aumento e ciò in tutti i paesi occidentali. L’Italia poi, in sede europea, è tra i paesi con le disuguaglianze più elevate, sia nella distribuzione del reddito che in quello della ricchezza. C’è in me la convinzione che il meccanismo economico, in particolare dopo lo scoppio della crisi del 2007, non generi sviluppo economico, ma generi da una parte debito e dall’altra disuguaglianza, in una spirale che non dà alcuna illusione di poter essere rovesciata.

Il trickle-down

E’ crollato il mito della società del trickle-down (sgocciolamento verso il basso) quella dottrina economica, che ha i suoi capostipiti nella coppia Tatcher-Reagan, che si basa sull’assunto secondo il quale i benefici economici elargiti a vantaggio dei ceti abbienti (in termini di alleggerimento dell’imposizione fiscale) favoriscono necessariamente, e ipso facto, l’intera società, comprese la middle class e le fasce di popolazione marginali e disagiate. Ogni giorno sentiamo parlare dell’impoverimento delle classi medie, della situazione disperante delle periferie in un paese con la disoccupazione a due cifre con indici enormi nella disoccupazione giovanile pur decongestionati dall’aumento dei Neet.

Siamo usciti dalla crisi con l’1% della popolazione che diventa sempre più ricco ed il 99% che diventa sempre più povero. Osserviamo che le disuguaglianze non sono solo un disastro dal punto di vista sociale, ma anche da quello strettamente economico. Proprio gli anni della crisi dimostrano che la teoria del trickle-down é falsa e, di fatto, i ricchi stanno diventando sempre più ricchi, i poveri più poveri. Ci troviamo di fronte al fatto che 62 persone detengono la metà della ricchezza mondiale: sono dati davvero inconcepibili e forse non riusciamo neppure a renderci conto bene di cosa in realtà questi dati significhino. I difensori dell’esistente sostengono che la nuova crescita economica riequilibrerà la situazione sociale e che lo stesso mercato avrà una funzione redistributrice della ricchezza e dei redditi. I fatti ci dicono che tutto questo non si sta realizzando; l’Italia è un esempio lampante della falsità di tali dichiarazioni. Tagliamo gli stipendi, tagliamo la spesa sociale, tagliamo il Welfare, tagliamo le tasse sulle imprese in modo da diventare più competitivi, puntiamo tutto sull’export, senza porci il problema che la diminuzione della capacità di spesa delle famiglie e la crisi dei mercati emergenti proibiscono la ripresa seguendo questo percorso.

L’ascensore sociale

Chi nasce in una famiglia ricca rimane ricco e chi nasce in una povera rimane tale. Si è fermato l’«ascensore sociale», la possibilità di migliorare il proprio stato, di generazione in generazione. Le «condizioni di partenza» (ceto, sesso, luogo di nascita, scuole frequentate) sono diventate decisive e vincolanti. Lo dicono recenti e autorevoli studi: il dossier della Banca d’Italia «Istruzione, reddito e ricchezza: la persistenza tra generazioni in Italia» e gli ultimi rapporti Istat e poi la ricerca di Oxfam «Non rubateci il futuro» e il WeWorld Index 2019. I figli restano ai livelli dei padri. Chi nasce in una famiglia ricca rimane ricco e chi nasce in una povera rimane tale, col rischio di regredire. I figli dei laureati arrivano a laurearsi, invece, chi è figlio di genitori senza laurea, in 92 casi su 100, a sua volta, non avrà accesso all’istruzione universitaria. Se le cose non cambieranno, dice Oxfam, i discendenti di chi oggi fa parte del 10 per cento più povero delle famiglie italiane, vedranno passare cinque generazioni, prima di percepire il reddito medio nazionale.

Ma un Paese bloccato non è solo un problema per chi rimane indietro, ma un guaio serio per tutti, perché, come scrivono i ricercatori Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio nello studio di Banca d’Italia «la possibilità di conseguire un miglioramento delle condizioni di vita costituisce un potente incentivo allo sviluppo delle proprie capacità, all’innovazione, all’impegno nel lavoro; ne trae beneficio non solo il singolo individuo, ma anche l’intera collettività, che può avvantaggiarsi di una più robusta crescita dell’economia». Al contrario, come stigmatizzano gli esperti di Oxfam, «marcate disparità alimentano il serbatoio del rancore, contribuiscono al rafforzamento della sfiducia nei confronti delle istituzioni».

Recenti provvedimenti governativi

Negli ultimi anni, governi di diverso orientamento politico, hanno introdotto norme che cercano di limitare il disagio sociale; in particolare ricordo gli 80 (ora 100)€, la flat tax e la quota 100 ed infine il reddito di cittadinanza.

Gli 80 euro danno uno sgravio ai lavoratori dipendenti con i redditi più bassi, puntando ad aumentare i consumi, dare uno stimolo alla produzione e quindi aumentare il PIL. I risultati non sono eclatanti nonostante le cifre non indifferenti erogate annualmente dallo stato. Recentemente gli 80 € sono stati elevati a 100 e sono affiancati da provvedimenti similari sul cuneo fiscale. Il mio giudizio parte sempre dall’efficacia dei provvedimenti sul moltiplicatore keynesiano e penso che la stessa cifra spesa annualmente per questi provvedimenti avrebbe ben altro risultato se utilizzato per investimenti pubblici produttivi.

La flat tax e quota 100 comportano benefici rivolti al lavoro dipendente e alle piccole/medie partite iva costituenti il grosso dell’elettorato della Lega. Provvedimenti questi senza nessun ritorno positivo, nè in termini di nuove assunzioni, nè di recuperata verginità fiscale ma destinati a peggiorare i nostri conti pubblici.

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza invece, ritengo che questo modello vada preso in seria considerazione perchè potrà essere l’unico sistema redistributivo in una futura società robotizzata che eliminerà qualsivoglia forma di lavoro. Si tratta, fin da ora, di porre le basi sul chi e sul come questa forma redistributiva debba essere gestita.

Una discriminante basilare

Nell’affrontare il tema della ricerca di una democrazia concreta, nello spirito di Lelio Basso, ispiratore dell’articolo 3 della costituzione,  la discriminante, a mio modo di vedere, sta nel prevedere provvedimenti all’interno della struttura esistente o, al contrario, prevedere provvedimenti che comportino un mutamento della stessa.

Provvedimenti all’interno della struttura esistente

Le riforme che non incidono sulla struttura esistente si basano fondamentalmente su una redistribuzione basata sull’imposizione fiscale:

● ritornare ad una imposta unica con progressività continua (modello tedesco) cancellando tutte le imposte sostitutive; o in subordine rivedere le aliquote e gli scaglioni esistenti in particolare l’ingegneria dei primi tre scaglioni. Pare che la riforma dell’irpef che l’attuale governo sta proponendo, assomigli a questa seconda prospettiva.

● pensare ad una imposta patrimoniale una tantum destinata in toto a deconto del debito alfine di dimostrare concretamente la volontà di ridurre il ratio debito/PIL con la consapevolezza che la vera riduzione del tasso avviene incrementando il denominatore anzichè agire soltanto sul numeratore come le politiche neoliberiste dell’Europa pretenderebbero.

● ritornare ad agire sull’imposta di successione ispirandosi agli scritti di un secolo fa dell’ing. Eugenio Rignano (citato anche dall’Einaudi nelle sue lezioni di politica sociale). L’imposta di successione reiterata, proposta dal Rignano, distingue nell’asse ereditario la parte prodotta dal de cuius da quella pervenuta al de cuius da precedente eredità. Mentre la prima forma non viene tassata al primo passaggio, la seconda parte viene progressivamente tassata fino al 100%. Le ricchezze acquisite dallo Stato con questa tassazione vanno a costituire un fondo sociale da gestire cooperativisticamente da parte della società diseredata. Raccomandiamo di scoprire le proposte di questo autore navigando su internet.

I provvedimento sommariamente esaminati in questo paragrafo non vanno ad incidere sulla redistribuzione delle ricchezze ma solo su una differente e più efficace redistribuzione del reddito a mezzo fiscalità.

Provvedimenti che incidono sulla struttura esistente

Come James Meade, chi è preoccupato sul fatto che la robotizzazione dell’apparato produttivo sbilanci in modo inaccettabile il potere decisionale nelle mani dei possessori dei mezzi di produzione, non può limitarsi a pensare ad una redistribuzione limitata ai redditi ma deve affrontare il tema della socializzazione dei mezzi di produzione. L’avanzarsi della rivoluzione 4.0 rende impellente: in primis di iniziare da subito a studiare ed analizzare una proiezione a 30/40 anni del possibile sviluppo dei rapporti sociali e, quindi, ad impostare fin d’ora una strategia che si faccia carico di governare il mutamento, consci del fatto che agendo troppo tardi, a cose fatte, non sarà più possibile intervenire con successo nel mutato modo di produzione e di redistribuzione.

La ricerca dell’uguaglianza, della democrazia sostanziale non si persegue limitandosi a redistribuire il reddito con criteri più equi, ma consiste nell’operare non solo a livello di salario o di carico fiscale, ma nelle opportunità dei rapporti sociali, dei percorsi educativi, nella formazione scolastica ad ogni livello, nel risanamento delle periferie, nella qualità dei servizi sociali che spesso valgono molto di più di pochi € nella busta paga.

Pensiamo che un altro articolo della Costituzione, l’articolo 46, possa esserci di conforto nell’affrontare questo tema, così come possono essere utili le conclusioni della Conferenza programmatica di Rimini di Socialismo XXI che propongono di trasformare tutte le agevolazioni fiscali, previste per le imprese, in partecipazioni azionarie o societarie di cui un fondo sociale di solidarietà divenga titolare, impostando in modo concreto un principio di cogestione che realizzi un balance of powers nella gestione concreta dell’economia del nostro Paese.