di Franco Astengo |

Il salto è stato triplo carpiato in avanti con un altissimo indice di difficoltà e il Movimento 5 stelle lo ha compiuto in brevissimo tempo salendo sulle montagne russe della volatilità elettorale ormai giunta, in Italia, a livello quasi parossistici: in 5 anni abbiamo registrato spostamenti di milioni di elettrici ed elettori affascinati da una macro-logica di “scambio politico” e capaci di portare prima il PD(R) a 11 milioni di voti per poi ridurlo alla metà circa, il M5S a 10 milioni anch’essi ridimensionati seccamente molto alla svelta e ancora la Lega a 9 milioni di suffragi nelle elezioni europee del 2019, 9 milioni di voti che verificheremo quanto stabilmente acquisiti.

In questo bailamme si sta tentando una operazione molto pericolosa per la stabilità di un sistema politico fragile con i soggetti che lo compongono in una fase di progressivo distacco da una qualche istanza di radicamento sociale. Un sistema esposto a qualsiasi avventura sulla linea della “democrazia illiberale” sostenuta da truculenti “narrazioni” nell’esporre le quali l’unica abilità è quella retorica di individuare il “capro espiatorio”.

Così, in particolare da parte del PD, si pensa di rimediare a questo stato di cose attraverso una proposta di “ribaltone” o di “rottura” del cosiddetto asse gialloverde: protagonista di questa operazione dovrebbe essere il M5S o almeno una sua porzione, considerata “di sinistra”.

E’ il caso allora di ricordare la scaturigine di questo Movimento, la sua nascita all’insegna del raccogliere quanto seminato sul terreno dell’antipolitica prima dal centro destra populista e poi da un PD nato per esaltare la governabilità e distruggere il concetto di rappresentanza (in precedenza, beninteso, alla sublimazione di questo concetto avvenuta con la segreteria Renzi).

Dunque: come nasce il M5S nel momento in cui ad essi si sono accostati tutti i personaggi che oggi stanno al governo o in posti di elevata responsabilità istituzionale?

Personaggi che stanno tranquillamente giocando a quella che un tempo di definiva “politica politicienne” esercitando un’autonomia del politico di segno decisamente elitario, laddove ci ritroviamo in una situazione dove si esercita un populismo senza popolo e una politica elitaria, da “cerchio magico” senza élite riconosciute e consolidate.

Oggi nel pieno dell’esercizio da parte del M5S del “segno del comando” è possibile approfondire l’analisi e convenire su di una definizione di sostanziale omologazione al sistema attraverso l’esercizio all’interno di esso di una forma precisa di nichilismo.

Nichilismo inteso proprio nella versione nietzschiana della “volontà di potenza”.

Nietzsche si contrappone in questa sua visione a quella di Schopenhauer che, ne “Il mondo come volontà e rappresentazione”, appare ancora nostalgicamente orientato al recupero del fondamento perduto nell’opposizione tra mondo ideale e mondo sensibile. Per Nietzsche (ma anche nella pratica politica che è stata di Grillo, nella fondamentale fase di passaggio della costruzione del Movimento) si è ormai radicata una svalutazione dei valori tale da condurre a quell’“oblio dell’essere” che trova la propria espressione più radicale nel dominio della “tecnica di potenza”.

“Tecnica di potenza” che si poteva pensare di poter esercitare assolutizzando l’uso del web come strumento di convincimento irrazionale di massa e quindi consegnando l’origine del potere a una sorta di ente misterioso quasi trascendente (questo era il disegno originario di Casaleggio sr.)

In questo modo poteva bastare il dominio dell’ “io” sugli altri.

Gli spazi interiori sono così sottratti alla potenza ordinativa del Leviatano e la strategia decisionistica esce dallo schema del paradigma della modernità, quello che aveva dato origine alla democrazia nel suo significato più originario: fosse questa democrazia “liberale” o “democrazia “socialista”.

Negli atti politici concretamente fin qui compiuti il M5S ha teso, in un primo tempo, a dimostrare l’inesistenza della mediazione politica: salvo poi adattarsi per opportunità snaturando così l’idea che ci si dirigesse verso un superamento di questo elemento di costrizione nell’esercizio della loro forza assoluta.

Una visione originaria che non si smarrisce, neppure quando il Movimento sembra smentire clamorosamente sé stesso: anzi proprio nelle smentite più radicali delle proprie note originarie emerge forte la visione dell’inesistenza della mediazione politica e del ricorso, in forma quasi primordiale, della “volontà di potenza”.

Si sovrappongono, nella forma comune di esercizio del comando, l’assenza di riconoscimento della condizione comune e l’idea dell’impossibilità di apertura di una forma di libertà politica che limiti il potere del gruppo dominante.

Si torna così alle origini, allo Stirner di “L’unico e la sua proprietà” (1844): “ogni concetto ideale astratto che si contrapponga alla concretezza irriducibile del singolo va destituito secondo una prospettiva individualistica”.

L’individualismo come punto di fondo nel riconoscimento del M5S: fonte di un nichilismo fondato sul “bel gesto” dell’esercizio del dominio sulle masse chiamate ad assistere all’esercizio della “democrazia recitativa”.

Grillo si era dimostrato portatore di una “antipolitica allo stato puro”: l’esercizio di questa già definita “antipolitica” in funzione di governo ha così aperto la strada alla situazione di oggi.

Questo è il punto di filosofia politica: l’esercizio del “nichilismo politico” come base fondativa che il M5S ha introdotto nell’esercizio del governo ci ha portato in una funzione di totale svilimento del sistema.

Uno svilimento complessivo al riguardo del quale tutti saremo chiamati a pagare un prezzo prima di tutto sul piano della possibilità di esercizio della politica considerata fattore essenziale dello sviluppo umano.

Quanto tempo dovremo aspettare perché emerga un qualche segnale di consapevolezza e di messa in opera di una riflessione e di un’azione assolutamente controtendenza, non interna a questo quadro di vera e propria distruzione della democrazia repubblicana?