di  Renato Costanzo GattiSocialismo XXI Lazio |

 

“Art. 1298. C.C.

(Rapporti interni tra debitori o creditori solidali).

Nei rapporti interni l’obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi.

Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente.”

La presunzione che i soldi depositati su un conto cointestato, anche se a firma disgiunta, appartengano in parti uguali ai due intestatari è stata negata dalla sentenza della Cassazione 25684 pubblicata il 22 settembre 2021.

Praticamente che è successo? L’agenzia delle entrate ha accertato come reddito di un contribuente l’importo dei soldi prelevati dal conto corrente bancario cointestato con la moglie, ma che il fisco aveva dimostrato essere stati depositati dalla moglie. Ebbene la Cassazione ha dato ragione al fisco dichiarando che la presunzione di cui all’art. 1298 c.c. è valida salvo prova contraria. In presenza di un evidente reddito di una persona utilizzato dalla cointestataria si può presumere un atto illecito generante reddito imponibile.

Quindi paradossalmente lo stipendio incassato da un coniuge e depositato sul c/c cointestato è palesemente del coniuge che lavora e lo ha prodotto, quindi se il coniuge che non lavora fa la spesa usando il bancomat del conto cointestato, è assoggettabile ad Irpef per quel reddito conseguito illecitamente.

La sentenza ha anche chiarito che non è neppure configurabile che tra i due coniugi ci sia stata una donazione perché non è riscontrabile “l’animus donandi”, elemento essenziale dell’istituto della donazione.

La situazione è assurda, potrebbe essere consigliabile, all’apertura di un conto cointestato, introdurre una clausola di assenso all’uso dei fondi anche di competenza del cointestatario al fine di precostituire l’animus donandi.