RIFLESSIONI SUL PNRR

    di  Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |   L’introduzione di Mario Draghi Nella sua densa introduzione al PNRR, Mario Draghi ci disegna, innanzitutto, la situazione in cui si trova il nostro Paese prima e durante la pandemia. Ci presenta un Paese incapace di reagire alle avversità, a cominciare dalla crisi del capitalismo del 2007, di cui stavamo lentamente e con fatica, ma soprattutto con ritardo, rispetto agli altri paesi europei, recuperando i livelli di PIL. Ma anche negli anni precedenti il 2007, l’aumento del PIL viaggiava a ritmi pari alla metà di quelli degli altri paesi europei. Poi con l’arrivo della pandemia il crollo del PIL ci ha riportato ancora una volta, come Sisifo, in fondo alla valle con l’eterno compito di riportare su verso la cima del colle, l’oneroso masso inerte. E questo oneroso masso inerte è composto da una parte da una pubblica amministrazione caoticamente involta in migliaia di norme castranti se non contradditorie, dall’altra da una imprenditoria, che salvo le purtroppo poche eccezioni, è carente di iniziativa e di linfa vitale, per di più per la maggioranza ristretta in dimensioni di nanismo inadatto ad affrontare la sfida dell’economia della conoscenza. Riporto alcuni passaggi della introduzione del Presidente del Consiglio: ● Tra il 1999 e il 2019, il PIL in Italia è cresciuto in totale del 7,9%. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e 43,6. ● Il numero di persone sotto la soglia di povertà, tra il 2005 e il 2019, è salita dal 3,3% al 7,7% della popolazione, prima di aumentare nel 2020 al 9,4%. ● I giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione fanno segnare il tasso più alto in Europa e il tasso di partecipazione delle donne al lavoro in Italia è solo il 53,1% molto al di sotto del 67,4% della media europea. ● Dietro l’incapacità dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali c’è l’andamento della produttività molto più lento in Italia che nel resto dell’Europa. Negli ultimi vent’anni, dal 1999 al 2019, il PIL per ora lavorata è cresciuto in Italia del 4,2%, mentre la Francia e la Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3%. ● Tra le cause del deludente andamento della produttività, c’è l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale. Questo ritardo è dovuto sia alla mancanza di infrastrutture adeguate, sia alla struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese, che sono state spesso lente nel muoversi verso produzioni di più alto valore aggiunto. ● Nel ventennio 1999-2019 gli investimenti totali in Italia sono cresciuti del 66% a fronte del 118% nella zona euro. ●L’Italia si posiziona oggi al 25esimo posto tra i 27 paesi dell’Europa come livello di digitalizzazione (DESI Digital Economy and Society Index). ● QUESTI PROBLEMI RISCHIANO DI CONDANNARE L’ITALIA A UN FUTURO DI BASSA CRESCITA DA CUI SARÀ SEMPRE PIÙ DIFFICILE USCIRE. Pare inequivoco che non si tratta di tornare all’assetto economico vigente prima della pandemia, ma si tratta di costruire un nuovo modo di produzione, dove la presenza dello Stato come elemento innovatore (per rifarsi al titolo di un libro di Mariana Mazzucato) diventa centrale non solo per rilanciare l’economia ma come gestore in prima linea dei “capitali pazienti”, di quei capitali cioè che guardano ad obiettivi a lungo termine con un pay-back proibitivo per i capitalisti privati, e che sono alla base dell’economia della conoscenza, quella economia dove la scienza, la conoscenza, la ricerca, lo sviluppo, l’innovazione sono alla base della “distruzione creatrice” schumpeteriana, della concorrenza tra enti continentali e che mettono in azione i meccanismi del “trasferimento delle tecnologie”. Come il PNRR affronta il cambiamento Nella prima missione, quella della “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura” vengono affrontati i temi di quella rivoluzione necessaria, così come l’abbiamo esaminata nel precedente punto, sia nella pubblica amministrazione sia nel sistema produttivo. Per quanto riguarda gli interventi nella P.A.  è significativa la frase per cui “l’obiettivo è rendere la Pubblica Amministrazione la miglior alleata di cittadini e imprese, con un’offerta di servizi sempre più efficienti e facilmente accessibili. Per fare ciò, da un lato si agisce sugli aspetti di infrastruttura digitale spingendo la migrazione al cloud delle amministrazioni accelerando l’interoperabilità tra gli enti pubblici (snellendo le procedure secondo il principio del – once only – e rafforzando le difese cybersecurity”. Le misure di questo capitolo riguardano il rafforzamento del capitale umano, riformando i meccanismi di selezione del personale della P.A., sviluppando un capitale umano di assoluta eccellenza e, su un altro fronte, la semplificazione, standardizzazione e re-ingegnerizzazione delle procedure burocratiche. Tutti gli interventi sono cronoprogrammati e posti su una piattaforma digitale per controllare l’effettiva implementazione delle misure programmate. Per quanto riguarda la “Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo” si punta alla realizzazione della gigabit society, “nel solco degli sfidanti obiettivi definiti in sede europea – iniziativa flagship connect – e nella consapevolezza che le reti a banda larga ultra-veloce sono una General Purpose Technology in grado di innescare guadagni di produttività e di crescita su larga scala in tutti i settori dell’economia.(…) Il tasso di copertura delle famiglie italiane con reti ultra-veloci è pari al 24% rispetto a una media UE28 del 60%.”. Quindi se per quel che riguarda la rete infrastrutturale ultra-veloce l’impegno è dello Stato, e gli interventi sono, come detto, cronoprogrammati, diverso è l’approccio con il mondo delle imprese private dove, come già rilevato, il nanismo del tessuto produttivo nazionale costituisce uno strutturale ostacolo all’obiettivo della gigabit society, pur rappresentando “quasi il 70% del valore aggiunto industriale non-finanziario e l’80% della forza lavoro. Ciononostante, la frammentazione e le ridotte dimensioni hanno portato nel lungo periodo a problemi di competitività, soprattutto nei settori dove sono maggiormente rilevanti le economie di scala e la capacità di investimento.” Il PNRR pensa di raggiungere il suo obiettivo sociale di …

IL “PROGETTO MARTELLI” : RINASCITA DEL SOCIALISMO O SEDUZIONE LIB-LAB?

    la  Presidenza di Socialismo XXI|   Ci  riferiamo non tanto all’evento-dibattito  in videoconferenza che Claudio Martelli con gli “amici dell’Avanti” ha organizzato per il 30 aprile per festeggiare il 1° maggio ed un anno di attività del nuovo Avanti, quanto a quella iniziativa, richiamata con entusiasmo anche da Carlo Calenda (uno degli interventori del programmato dibattito), tesa ad una rinascita del Socialismo e del Riformismo su basi – secondo i proponenti – nuove ed allargate, non “reducistiche” ed in una veste aggiornata che superi la contrapposizione tra socialismo e liberalismo. Il compagno Claudio Martelli afferma di voler ripercorrere  il cammino interrotto di Carlo Rosselli, imperniato su una sintesi, da tenere in equilibrio, tra i valori dell’uguaglianza e della giustizia sociale e della libertà. Carlo Calenda gli ha risposto affermativamente con una piena disponibilità. Il percorso culturale e politico di Carlo Rosselli, chiuso drammaticamente con il suo barbaro assassinio ad opera della marmaglia fascista, è stato praticato anche da G.L. e dal Partito d’azione. Certamente non ignorariamo che in Gran Bretagna fu un grande liberale, Lord Beveridge (e non i laburisti), a promuovere lo Stato sociale (welfare state) e non possiamo nemmeno dimenticarci l’alto contributo di altri grandi liberali, come Keynes e Dahrendorf, nell’indicare e proporre al mondo dottrine economiche e sociali molto avanzate e progressiste. E per venire alle vicende di casa nostra, non ignoriamo il contributo della sinistra liberale fondatrice del  partito radicale di Villabruna, Valitutti, Carrandini ed in particolare Pannunzio direttore del “Mondo” con la sua l’idea della “TERZA FORZA” che avrebbe voluto mettere assieme in un Partito  le culture e le presenze socialiste, socialdemocratiche, repubblicane e liberal-progressiste, superando i vecchi steccati. Questa ipotesi di casa nostra, però, naufrago’, come anni prima naufrago’ la breve esistenza del Partito d’Azione, oggi evocato da Carlo Calenda.  L’ipotesi di dar vita organicamente ad una “Terza forza” (tra le due “chiese” quella democristiana e quella comunista) non venne all’epoca accolta né da Nenni e Saragat impegnati, dopo Pralognan, a dar vita all’unificazione socialista nè da Ugo La Malfa che con Visentini e Reale (già azionisti) avevano combattuto nel PRI  il repubblicanesimo tradizionale di Pacciardi. Anche i socialisti ex azionisti come Lombardi e Codignola non la presero in considerazione. Ognuno, forse, aveva le sue buone ragioni per rifiutare l’ipotesi lib-lab o forse i tempi non erano maturi per collegare una piattaforma in cui libertà sociali e civili, eguaglianza e giustizia sociale avessero pari dignità e valore, o forse perché il riformismo liberale – come ricordava di recente lo stesso Claudio Martelli – non è mai esistito perchè il riformismo è sempre stato socialista in quanto  chiedeva che i “lavoratori e gli umili (e non le èlites) fossero protagonisti della democrazia e si facessero Stato. Oggi i tempi sono maturi per riproporla come indicano Carlo Calenda e Claudio Martelli? Non lo sappiamo, ma i proponenti ci  dovrebbero spiegare prima i motivi per cui sono fallite le precedenti esperienze, da G.L., in poi.   Ai  socialisti, dispersi in mille rivoli in una diaspora insopportabile, chiediamo invece,  pur se sono convinti della bontà di questa ipotesi aggregativa liberal-socialista, perché come primo atto non danno corpo (e anima) ad una “Epinay italiana” come quella originale transalpina, la quale – oltre a riunire i vecchi pezzi separati in varie correnti della tradizionale SFIO –  portò nuove linfe al socialismo libertario francese come i radicali-repubblicani di Mitterand e Mendes France, i cristiano sociali di Delors, Maìre e Chérèque, i giovani sessantottini socialistizzanti di Rocard? “Socialismo XXI” ha promosso un Tavolo di concertazione aperto, e senza preclusioni di sorta, senza pretese egemoniche, per discutere di queste cose e per lanciare ed attuare  un progetto rifondativo di un soggetto politico  di ispirazione socialista, democratica e libertaria. Perché Claudio Martelli non ritiene che, per “innestare” il socialismo in un soggetto collettivo moderno, piu’ ampio e aperto, sia opportuno  prima  tentare di rimettere insieme i “frammenti” dispersi della diaspora  socialista? Saremmo interessati a confrontarci con Lui e con chi condivide la sua ipotesi.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA QUESTIONE COMUNISTA E LA CRISI A SINISTRA

Vertice Craxi-Berlinguer nel 1977 (al tavolo anche Manca, Pajetta e Napolitano) © LaPresse | di Rino Formica – Pubbicato su Il Manifesto | #ilmanifesto50. La pregiudiziale antisocialista non l’avete mai rimossa. Oggi il punto è: quell’eresia, la vostra eresia, trasformatasi per molti ma non per voi in abiura dell’intero orizzonte concettuale del movimento operaio, può ancora funzionare come lievito di un progetto di rigenerazione della sinistra e, ad essere più chiari, del socialismo? Cari compagni del manifesto, celebrare un assai significativo anniversario come i cinquant’anni del manifesto è soprattutto per me occasione di riflessione, mettendo a tesoro e con uno sforzo di riordino tra i ricordi, i momenti che hanno intrecciato la vostra storia con le vicende del partito socialista e i tanti momenti, anche recenti, del mio personale rapporto con il vostro «quotidiano comunista». Evitando espressamente le paludi che circondano spesso gli anniversari nelle cui acque scompare il pensiero auto-critico mentre affiorano abbondanti le nostalgie e i ricordi del passato. In primo luogo un dato emerge a partire da quel Comitato centrale dell’ottobre del ’69, denso e appassionato, nel quale il Pci discusse pubblicamente e risolse la Questione del Manifesto. Mi riferisco al dato, chiaro e chiarificatore, del rispetto e dell’attenzione che i socialisti riservarono a quel particolare e forse anche inaspettato dissenso, inaspettato per la sua valenza ideologica politica e culturale, che risaliva da quel corpo politico, il Pci, orgoglioso della sua forza e della sua «diversità» non più tale, quest’ultima, dopo quella rottura. Il corpo roccioso e unitario del Pci si apriva, sotto la forma della rottura, a quel pluralismo misconosciuto e vituperato che invece era la forma ordinaria nella quale si manifesta la complessità della politica e con la quale questa si de-ideologizza. La «questione» del manifesto fu rivelatrice di tante altre questioni. Per intanto, della produttività politica e non solo sociologica della stagione del ’68, destinata a frantumare tutte le rigidità ideologiche del mondo bipolare, mettendo in crisi il conservatorismo delle classi dominanti sia dell’occidente sia del blocco sovietico. Difficile negare il nesso tra la «questione» del manifesto e quel fermento nuovo che, in occidente prese il nome di «contestazione» e, al di là della Cortina di ferro, di «dissenso» che investì il vostro iniziale impegno e che, a ragione di quel nuovo fermento, dovette alimentare nei socialisti italiani quel filo di «simpatia», di attenta curiosità, di vigile aspettativa verso quel movimento «ereticale» che stava conoscendo, con voi, la versione nazionale del dissenso sempre più scopertocontro il sistema sovietico militare-burocratico-totalitario che dominava tutto l’Est europeo. Ma la mia amicizia, resa operosa anche dalle nostre numerose interlocuzioni e dai dialoghi ospitati dal vostro giornale, l’amicizia non strumentale dei socialisti per i compagni del manifesto e, anche, la convergenza realizzata in momenti straordinari della vita del Paese, come la lotta al terrorismo, le perplessità sulla strategia del compromesso storico, i dubbi sulla linea della fermezza durante il sequestro Moro, tutti questi momenti di contiguità, certamente segni di un comune «sentimento» non possono nascondere una estraneità di fondo delle relazioni strategiche tra «noi e voi». A dire il vero un residuo di «diversità», una alterità di antico lignaggio vi è rimasta addosso. E’ rimasto, nonostante i verdetti della storia e le determinazioni della politica, il vecchio principio secondo il quale la crisi della sinistra è risolvibile esclusivamente all’interno della «questione comunista», solo dentro il perimetro definito da quella tradizione comunque declinata anche nelle sua formula più ambigua, quella dell’alleanza «democratica», tanto indecifrabile quanto continuamente aperta a nuove trasfigurazioni, sempre centrata sul nucleo duro della alterità. Che può anche dirsi «pregiudiziale anti-socialista». La stessa pregiudiziale che agì, cento anni or sono, contro il riformismo di Turati considerato il «ventre molle» del movimento operaio, l’anello debole della «catena del valore» rivoluzionario e che l’intera esperienza del manifesto, pur con riconosciuta dignità culturale, non s’è data la pena di rimuovere. Oggi, il «ventre molle» del riformismo socialista farebbe comodo, sarebbe un solido argine e una credibile risposta alla destra vincente, anch’essa armata di quella pregiudiziale anti-socialista che viene agitata contro la sinistra, dopo averne svuotato i granai del consenso. Sul terreno di quella pregiudiziale convergono paradossalmente la destra populista e la sinistra non più popolare e fino a quando non sarà possibile la verifica storica e il recupero con il necessario aggiornamento teorico e politico del riformismo socialista, sarà difficile venire a capo della crisi sistemica e nostra, della sinistra, e si allontanerà la possibilità di riordinare il quadro politico paurosamente inclinato verso destra. Una alterità, un pregiudizio reso ancora più aspro dalla presenza di Craxi alla guida del Psi e, soprattutto, alla guida di una idea di sinistra rinnovata nel segno del socialismo europeo. L’opposizione al craxismo divenne dura e indistinguibile da quella del Pci. Non si stemperò neanche quando il dissenso degli intellettuali democratici dell’est Europa, che è stato uno dei terreni di qualificazione della vostra rupture, trovò concreta ospitalità nel Psi per un principio solidaristico e per rimettere in discussione quel modello burocratico-autoritario. Non ci fu dialogo neanche quando fu avanzata dai socialisti, alla fine degli anni ’70, la proposta della «grande riforma» istituzionale, ancorché grezza. Non riuscì a sollecitare un dibattito su una idea di riforma che era (o poteva essere) di realizzazione della Costituzione, tanto cara a Pietro Ingrao, un dibattito incagliatosi sul quel compromesso costituzionale che per gli uni era una inamovibile rendita politico-ideologica, per i socialisti un patto da rinnovare alla luce della evoluzione della democrazia repubblicana e dei nuovi rapporti che si andavano formando sul piano geo-politico. Ma questa oramai è storia. Lo scenario che si presenta davanti a noi è ancora più drammatico del tempo della fine della prima Repubblica che privò la democrazia del fondamento dei grandi partiti di massa. Ignazio Silone profetizzò che la sinistra si sarebbe orientata verso il socialismo democratico solo quando gli ex-comunisti sarebbero stati più numerosi dei comunisti, ma -oggi- tutta quella tradizione e tutte quelle «masse» sono state catturate dalla destra populista mentre la sinistra, abbandonata in quanto «novecentesca», qualsiasi prospettiva di socialismo riformista e alternativo, …

1° MAGGIO. IL SOCIALISMO E LA FESTA DEL LAVORO E DEI LAVORATORI

    di  Filippo Vasco – Coordinatore Socialismo XXI Toscana |   Parigi 20 luglio 1889, durante il primo Congresso della seconda Internazionale, organizzazione costituita dai Partiti socialisti e laburisti europei, i lavori sono sospesi per unirsi alla grande manifestazione promossa dai lavoratori per chiedere al Governo di ridurre la giornata lavorativa a otto ore. Dopo lunghe battaglie, sostenute dai socialisti e i sindacati, fu istituita la festa del lavoro decorrente dal 1° maggio. Una battaglia vinta anche nel ricordo dei lavoratori uccisi dalla polizia durante una grande manifestazione sindacale negli Stati Uniti il 3 maggio 1886, per rivendicare la riduzione dell’orario di lavoro, che suscitò la rabbia e l’indignazione dell’opinione pubblica. Il 1° maggio divenne quindi la festa internazionale del lavoro e dei lavoratori. Solo la dittatura fascista impose la sospensione della festa del lavoro, ripristinata nel 1945. Una grande festa che non deve farci dimenticare il sacrificio di tanti lavoratori uccisi dalla reazione rabbiosa e criminale, come l’eccidio di Portella delle Ginestre perpetrato il 1° maggio 1947, con l’uccisione di bambini, donne e uomini del mondo proletario delle campagne, voluto e organizzato da parte dei latifondisti siciliani. I socialisti guardano a questa festa come un simbolo delle grandi lotte della speranza, in cui il protagonismo del mondo del lavoro ha portato alla conquista di questa giornata dedicata ai lavoratori e al lavoro, fiduciosi che solo con i lavoratori e con la loro partecipazione è possibile superare questi momenti di grandi difficoltà sociali e economiche. Uniti i lavoratori, sono una grande forza e il Socialismo il loro strumento di lotta per una società più giusta. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

VENTO DEL NORD

Pubblicato su Avanti! del 27 aprile 1945 | di Pietro Nenni | Quando parlammo la prima volta di vento del Nord, i pavidi, che si trovano sempre al di qua del loro tempo, alzarono la testa un poco sgomenti. Che voleva dire? Era un annuncio di guerra civile?  Era un incitamento per una notte di San Bartolomeo? Era un appello al bolscevismo? Era semplicemente un atto di fiducia nelle popolazioni che per essere state più lungamente sotto la dominazione nazi-fascista, dovevano essere all’avanguardia della riscossa. Era il riconoscimento delle virtù civiche del nostro popolo, tanto più pronte ad esplodere quanto più lunga ed ermetica era stata la compressione. Era anche un implicito omaggio alle forze organizzate del lavoro ed alla loro disciplina rivoluzionaria. Ed ecco il vento del Nord soffia sulla penisola, solleva i cuori, colloca l’Italia in una posizione di avanguardia. Nelle ultime quarantotto ore le notizie dell’insurrezione e quelle della guerra si sono succedute con un ritmo vertiginoso. La guerra da Mantova dilagava verso Brescia e Verona, raggiunte e superate nel pomeriggio di ieri. L’insurrezione dalla periferia guadagnava Milano e da Torino si propagava a Genova. Nell’ora in cui scriviamo tutta l’alta Italia al di qua dell’Adige è insorta dietro la guida dei partigiani. A Milano, a Torino e a Genova i Comitati di Liberazione hanno assunto il potere imponendo la resa dei tedeschi e incalzando le brigate nere fasciste in vittoriosi combattimenti di strada. Sappiamo il prezzo della riscossa. A Bologna ha nome Giuseppe Bentivogli. Quali nomi porterà la testimonianza del sangue a Torino e a Milano? La mano ci trema nel dare un dettaglio dell’insurrezione milanese. Ieri mattina alle cinque, secondo una segnalazione radiotelegrafica, il posto di lotta e di comando di Alessandro Pertini e dell’Esecutivo del nostro partito era circondato dai tedeschi e in grave pericolo. Nessuna notizia è più giunta in serata per dissipare la nostra inquietudine o per confermarla. Ma sappiamo, ahimè, che ogni battaglia ha le sue vittime e verso di esse, oscure od illustri, sale la nostra riconoscenza. Perché gli insorti del Nord hanno veramente, nelle ultime quarantotto ore, salvato l’Italia. Mentre a San Francisco, assente il nostro paese, si affrontano i problemi della pace, essi hanno fatto dell’ottima politica estera, facendo della buona politica interna, mostrando cioè che l’Italia antifascista e democratica non è il vaniloquio di pochi illusi o di pochi credenti, ma una forza reale con alla sua base la volontà l’energia il coraggio del popolo.  In verità il vento del Nord annuncia altre mete ancora oltre l’insurrezione nazionale contro i nazi-fascisti. Gli uomini che per diciotto mesi hanno cospirato nelle città, che per due lunghi inverni hanno dormito sulle montagne stringendo il fucile, che escono dalle prigioni o tornano dai campi di concentramento, questi uomini reclamano, e all’occorrenza sono pronti a imporre, non una rivoluzione di parole, ma di cose. Per essi il culto della libertà non è una dilettantesca esasperazione dell’”io” demiurgico, ma sentimento di giustizia e di eguaglianza per sé e per tutti. Alla democrazia essi tendono non attraverso il diritto formale di vita, ma attraverso il diritto sostanziale dell’autogoverno e del controllo popolare. Non si appagheranno quindi di promesse, né di mezze misure. La rapidità stessa e l’implacabile rigore delle loro rappresaglie sono di per sé sole un indice della loro maturità, perché se la salvezza del paese è nella riconciliazione dei suoi figli, alla riconciliazione si va non attraverso l’indulgenza e la clemenza, ma l’implacabile severità contro i responsabili della dittatura fascista e della guerra.  In codesta primavera della patria che consente tutte le speranze, c’è per noi un solo punto oscuro, si tratta di sapere se gli uomini che qui a Roma scotevano sgomenti il capo all’annuncio del vento del Nord, che vedevano sorgere dal passato l’ombra di Marat o quella di Lenin se qualcuno osava parlare di comitato di salute pubblica, che trovavano empio o demagogico il nostro grido: “tutto il potere ai Comitati di Liberazione”, si tratta di sapere se questi uomini intenderanno o no la voce del Nord e sapranno adeguarsi ai tempi. Ad essi noi ripetiamo quello che ieri, da queste stesse colonne, dicevamo agli Alleati. – Abbiate fiducia nel popolo, secondatene le aspirazioni, scuotete dalle ossa il torpore che vi stagna, rompete col passato, non fatevi trascinare, dirigete. A questa condizione oggi è finalmente possibile risollevare la nazione a dignità di vita nuova, nella concordia del più gran numero di cittadini. Vento del Nord. Vento di Liberazione contro il nemico di fuori e quelli di dentro. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

INTERVISTA A MARIANA MAZZUCATO. RICOSTRUIRE LO STATO

Intervista rilasciata su Progect Syndacate | In promising to “build back better” from the pandemic, US President Joe Biden has certainly struck the right note. But to succeed, he will need to forge a new social contract, drawing on the lessons of a previous era when the US state led a program that is still paying economic dividends. LONDRA – Lo sviluppo dei vaccini COVID-19 in meno di un anno è stato chiaramente un risultato importante. Ma il lancio si è dimostrato tutt’altro che perfetto. Negli Stati Uniti, l’operazione Warp Speed ​​ha raggiunto i suoi obiettivi di produzione, ma sin dall’inizio il coordinamento logistico si è inceppato. Il piano non ha dato la priorità ai destinatari dei vaccini in base alle loro necessità, né la distribuzione è stata all’altezza d’affrontare la disuguaglianza razziale. Risulta chiaro che creare vaccini sicuri ed efficaci e stendere programmi di vaccinazione equi siano due cose diverse. Le agenzie d’innovazione del paese (mission oriented), in particolare la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) e la Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA), si sono dimostrate fondamentali nel porre le basi per lo sviluppo dei vaccini mRNA innovativi. Ma esiste un legame tra l’obiettivo tecnologico di Warp Speed e quello sanitario, ovvero quello di fornire un “vaccino per tutti”? L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden dovrà far conto di questa distinzione nel momento in cui cerca di “ricostruire meglio” e rinvigorire i finanziamenti scientifici e tecnologici dopo quattro anni di allontanamento dalla scienza e disprezzo per gli scienziati da parte di Donald Trump. Il lancio del vaccino negli Stati Uniti – e ancor di più in Europa – mostra che è tanto importante nei partenariati pubblico-privato mettere a punto i dettagli quanto avviare un obiettivo generale ambizioso. Nel mio nuovo libro, Mission Economy: A Moonshot Guide to Changing Capitalism, sostengo che il programma della NASA che portò un uomo sulla luna è ancora d’insegnamento per catalizzare e governare le relazioni pubblico-private che producono risultati. Con l’equivalente di $ 283 miliardi, che attualmente costerebbe ai contribuenti, il programma Apollo stimolò l’innovazione in più settori, dall’aeronautica, dai materiali nutrizionali all’elettronica fino al software, rafforzando anche le capacità del settore pubblico. La NASA pagò centinaia di milioni di dollari a società come General Motors, Pratt & Whitney (nota allora come United Aircraft) e Honeywell per inventare i nuovi sistemi di carburante, propulsione e stabilizzazione all’interno dei suoi leggendari razzi Saturn V. Queste tecnologie finanziate dal settore pubblico diedero poi vita a numerosi spin-off che utilizziamo ancora oggi, tra cui il latte artificiale (dal cibo essiccato degli astronauti) e l’aspirapolvere senza fili (dalle macchine che hanno setacciato la superficie della luna). I circuiti integrati utilizzati per la navigazione costituirono una pietra miliare dell’informatica moderna. Fondamentalmente, la NASA si assicurò che il governo facesse un buon affare, offrendo alle aziende contratti a “prezzo fisso” per costringerle a operare in modo efficiente, fornendo allo stesso tempo incentivi per continui miglioramenti della qualità. Inoltre, le clausole dei contratti “senza eccessi di profitto” contribuirono a garantire che la corsa nello spazio fosse guidata dalla curiosità scientifica, non dall’avidità o dalla speculazione. Altrettanto importante, la NASA evitò l’eccessiva dipendenza dal settore privato. Se l’agenzia avesse esternalizzato il suo ruolo di governance, sarebbe stata vulnerabile a ciò che l’allora capo degli appalti chiamò “brochuremanship“, ossia: quando il partito del settore privato detta ciò che è “meglio” fare. Poiché la NASA acquisì (nel tempo) competenze interne, sviluppò conoscenze tecnologiche pari agli appaltatori, e fu quindi ben attrezzata per negoziare e gestire i suoi contratti. Rafforzando le capacità del settore pubblico e delineando un chiaro scopo per le alleanze pubblico-privato, l’amministrazione Biden potrebbe sia generare crescita sia aiutare ad affrontare alcune delle più grandi sfide della nostra epoca, dalla disuguaglianza alla debolezza dei sistemi sanitari e fino al riscaldamento globale. Questi problemi sono molto più complessi e multidimensionali dell’invio di un uomo sulla luna. Ma l’imperativo è lo stesso: un’efficace governance strategica all’interno del perimetro nel quale il finanziamento pubblico si confronta con l’industria privata. Come ad esempio nel caso della Big Pharma che laddove concepisce il settore pubblico come un semplice consumatore di medicinali, è (invece) la ricerca finanziata con fondi pubblici a cui si deve la scoperta di quei farmaci nella loro fase iniziale. Si tenga presente la somma di $ 40 miliardi che il governo degli Stati Uniti investe ogni anno nel National Institutes of Health. Il NIH (insieme al US Department of Veterans Affairs) sostenne, grazie agli oltre dieci anni di ricerca finanziata dai contribuenti, il farmaco per l’epatite C Sofosbuvir[1]. Ma quando la società privata biotecnologica Gilead Sciences acquisì la molecola, prezzò la cura di 12 settimane in pillole a $ 84.000. Allo stesso modo, uno dei primi trattamenti antivirali per COVID-19, il Remdesivir, ricevette circa $ 70,5 milioni di finanziamenti pubblici tra il 2002 e il 2020. Ora, la Gilead addebita $ 3.120 per un terapia di cinque giorni. Ciò s’identifica come una partnership parassitaria, piuttosto che simbiotica. Il NIH deve fare di più per garantire prezzi equi e accesso alle innovazioni che finanzia, piuttosto che rendere meno efficace il proprio potere, come fece nel 1995 quando cancellò la clausola del prezzo equo dai suoi accordi di ricerca e sviluppo cooperativi. Le condizionalità devono essere prese in considerazione per le innovazioni di agenzie orientate a una missione specifica come la DARPA, la BARDA e la nuova proposta di Advanced Research Projects Agency-Health (ARPA-H), la quale si concentrerà esclusivamente sulle priorità sanitarie. Nel caso della pandemia, vari governi hanno investito $ 8,5 miliardi nello sviluppo di vaccini attualmente prodotti e venduti da società statunitensi come Johnson & Johnson, Pfizer, Novavax e Moderna. Ora, ci chiediamo se la conoscenza e il know-how sui vaccini saranno condivisi con il maggior numero possibile di paesi per porre fine alla pandemia. Il NIH si unirà a un pool tecnologico volontario creato dall’OMS per questo preciso scopo? Nel prepararsi per l’era post-pandemia, la promessa di Biden di “ricostruire meglio” implica più di un ritorno alla normalità. Ma …

IL SOL DELL’AVVENIR

Semplici parole di un Compagno | Care Compagne e Cari compagni di “Socialismo XXI, chi Vi scrive ha fatto parte di quel tronco che si chiamò PCI. Quel tronco aveva, in comune con tutti i Socialisti italiani, le stesse radici che diedero vita, nel 1892, al Partito dei Lavoratori Italiani poi, Partito Socialista Italiano. Certamente, il mio tronco che nacque 100 anni fa e morì 30 anni fa, era quello di gran lunga più sbagliato ma, sono convinto, con la complicità anche del senno del poi, che anche in altri dei tanti tronchi da lì originati, errori, seppur di gran lunga minori, ce ne fossero stati. Da molto tempo sono alla ricerca di un nuovo tronco, proveniente da quelle comuni radici, su cui finalmente trovare una nuova Casa. La mia Casa, come quella per tutti Voi, non può che trovarsi nel Socialismo e, seppur ho tanto errato, non credo sia giusto il non potervi accedere. Spero dunque vivamente che la “profezia di Turati”, seppur fuori tempo massimo, almeno in parte – se non del tutto desidererei tanto – si avverasse. Eccomi dunque qui, davanti a quelle macerie di quella Casa che fu, per un certo periodo di Turati e Gramsci assieme! La mia ultima speranza siete Voi, care Compagne e cari Compagni: siete gli ultimi che possono ancora cercare di riunire tutti i Socialisti; questa grande famiglia che ha infinite sfumature e derivazioni, ma che è l’unica che anche nel XXI° secolo, di fronte a problemi vecchi e nuovi – a cominciare da quelli ambientali – può ridare la forza, la volontà, la SPERANZA, di poter credere e lottare per un mondo di gran lunga migliore. La Vostra ambizione è quella di ricreare un grande PARTITO SOCIALISTA ITALIANO. La Vostra ambizione è la mia! Ma, sono assolutamente convinto che il primo fondamentale passo per cercare di ricostruirlo non possa che passare dietro ad un coinvolgimento di tutti i vari Socialisti nelle loro differenze che però, nel pieno rispetto del loro pensiero e della loro sensibilità, devono avere un comune fine: quello di creare una DEMOCRAZIA che faccia suoi veramente i principi che stavano alla base della Rivoluzione Francese e che mai però, nessuna società e nessuna nazione, hanno saputo metterli pienamente in opera e rispettarli nella loro grandezza e pienezza. Grazie per l’attenzione e con tanto affetto Vi saluto e Vi abbraccio! Daniele Scarpetti SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PER I SOCIALISTI IL 25 APRILE E’ SEMPRE!

    di  Vincenzo Lorè – Responsabile Comunicazione Socialismo XXI |   Che i socialisti NON stiano a destra non è materia di discussione. Si è confuso la mescolanza dei rampantisti continui e degli opportunisti con chi della coerenza non ne ha fatto un’eresia, ma una virtù. Non ho il minimo dubbio, né fare ricorso all’ausilio di aggettivi conoscere da che parte stanno i socialisti da più di un secolo. Nel contesto storico in cui ci ritroviamo, abbiamo avuto parlamenti dove ci sono stati 539 cambi di casacca, ciò dimostra quale sia la qualità politica e morale, altro che disciplina e onore dell’art. 54 della Costituzione, di una classe politica NOMINATA da “questi partiti” e non scelta dagli elettori. Tra l’altro la stragrande maggioranza di loro inorridisce se la definisci populista. Un parlamento selezionato con leggi elettorali maggioritarie e bipolari, liste bloccate e abnormi premi di maggioranza e c’è chi come un neo segretario recentemente incaricato insiste nel proporre tale soluzione maggioritaria, nonostante gli evidenti squilibri e fallimenti. Una vera casta da perpetuare, oligarchica e ristretta, come nel periodo pre-fascista. La narrazione di questi anni, ci dice che le ideologie sono ormai superate e che esse fanno parte del ‘900: roba vecchia! Insomma, il superamento delle ideologie in Italia, ha portato finalmente un momento di chiarezza, di benessere e tanta “modernità”. Tutto illusorio, i fatti e i dati raccontano che 1milione in più di persone sono in una condizione di povertà (fonte ISTAT 2020) e l’aumento maggiore di questo dato è concentrato nientemeno che al nord. Come socialisti siamo consapevoli che il momento è greve e questa consapevolezza ci ha indotti a non rimanere spettatori passivi. Non è mai accaduto nella storia socialista di questo Paese e non accadrà neanche in tale circostanza. E’ la motivazione per cui abbiamo iniziato da circa 4 anni un percorso UNITARIO con Socialismo XXI dando vita al “Tavolo di Concertazione” con altre organizzazioni, ma anche sensibilizzando e coinvolgendo singole personalità di ispirazione socialista; un progetto che si pone quale obiettivo finale la ricostruzione di una forza socialista unitaria. Occorre far tornare al posto che le compete quella parola nobile: SOCIALISMO!  Essa è stata bandita in questo Paese infelice, inquinato dalle mafie, che ha da quasi trent’anni avuto più volte al governo neofascisti, spalleggiatori e fiancheggiatori dei fascisti. Ed è stata bandita perchè SOCIALISMO è parola temuta, ritenuta pericolosa, considerata tabù, perchè include in sé valori alti e nobili, vero e unico baluardo nei confronti del sistema finanz-capitalista dominante. In essa sono contenuti valori sempre attuali e immortali. E non è un caso se vi è stato negli anni un violento processo di rimozione nei confronti della storia del Partito Socialista Italiano, ovvero il Partito che ha fatto la Storia della sinistra in Italia: dalle prime conquiste sociali fin dall’inizio del XIX Secolo, nella Resistenza antifascista, nella nascita della Repubblica, nella Costituente, al Governo e all’opposizione, delle masse operaie e contadine di questo paese. In nome della democrazia, dei diritti, della giustizia sociale, delle donne e degli uomini. Fare memoria è giusto riconoscimento per tutto questo, ma occorre soprattutto riedificare una forza socialista; ed esso è e rimane nostro compito da socialisti. Non a caso, finito il Partito Socialista Italiano, è finita la sinistra in Italia, aprendo così la strada alle spinte neoliberiste, alle disuguaglianze, alle contraddizioni sociali e al populismo, abbassando sempre più la partecipazione del popolo alle scelte democratiche. W il 25 Aprile W il Socialismo SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

CALABRIA: IN VIDEOCONFERENZA PER DISCUTERE DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

COMUNICATO STAMPA | Giovedì 22 APRILE, alle 18.00 webinar organizzata dall’Associazione Socialismo XXI secolo, si è svolta una video conferenza sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. L’itroduzione è stata a cura del Responsabile economico di Socialismo XXI Renato Costanzo Gatti. Sono state proiettate e commentate delle slides che hanno disegnato, partendo dalla situazione depressa della nostra economia, gli obiettivi che il PNRR si pone per ridare sviluppo al nostro Paese. Sono stati anche illustrate le difficoltà e le opzioni politiche che il piano comporta. La discussione che è seguita ha messo in risalto il mutamento nella politica europea che questo piano comporta, così come la necessità di una visione chiara di come si vuol trasformare il Paese da lasciare alla Next Generation. L’incontro telematico ha visto la partecipazione del presidente dell’Associazione Socialismo XXI Aldo Potenza, il Responsabile comunicazione Vincenzo Lorè, gli iscritti calabri dell’Associazione con il Coordinatore regionale Santoro Romeo. Sono intervenuti inoltre, l’On. Sandro Principe, il Segretario provinciale del Psi di Vibo Valentia Gian Maria Lebrino, il Vice segretario del Psi di Catanzaro Domenico Marino, Antonio Scoditti socialisti Castrovillari, Rita Leoni in rappresentanza delle donne Psi di Catanzaro e Lamezia T., e per il Forum Riformista Francesca Straticò . Nel prossimo incontro, previsto per i primi di maggio, si getteranno le basi per un “Tavolo di Concertazione” socialista unitario per la regione Calabria. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI

L’immagine di copertina è tratta da una scena del film: “Le Quattro Giornate di Napoli” regia di Nanni Loy | La Resistenza nel Sud, NAPOLI prima città europea liberata dai nazifascisti | L’insurrezione delle Quattro Giornate di Napoli, che permise la liberazione della città, nacque come reazione ai rastrellamenti dei tedeschi, che riuscirono ad internare 18.000 uomini, all’ordine di sgombero di tutta l’area occidentale cittadina, alla sistematica distruzione delle fabbriche e del porto, ma ebbe anche un significato politico e militare. Militare perché impegnò per più giorni e costrinse alla resa le forze tedesche che si erano rafforzate, politico perché nel corso della rivolta crebbero gli elementi di autorganizzazione, anche se non fu possibile creare un comando unificato. La presenza antifascista fu numerosa e significativa. Valga per tutti l’esempio di Antonio Tarsia in Curia che assunse la direzione del quartiere Vomero costituendo il Fronte Unico Rivoluzionario, il quale ebbe sede nel liceo Sannazzaro. Ma è da segnalare anche la presenza di soldati e soprattutto ufficiali in cui l’odio antitedesco era rafforzato da un forte sentimento di lealismo al re ed all’istituto monarchico. Più difficile invece il discorso sul rapporto tra rivolta e strutture antifasciste organizzate. Ad esempio il Cln di Napoli non fu presente in quanto tale perché la proposta di costituirsi in organismo insurrezionale, con funzioni di governo provvisorio, fu accolta con scetticismo dai suoi componenti.Le Quattro Giornate hanno avuto un destino alterno sul piano della memoria. R. Battaglia nella sua ormai classica “Storia della Resistenza” ne sottolineò il carattere di rivolta popolare “in cui all’odio contro i tedeschi si unisce la ribellione del popolo meridionale contro le sofferenze secolari da esso sopportate”. Ma essa fu conosciuta anche – e forse soprattutto – attraverso il film “Le Quattro Giornate” di N. Loy realizzato nel 1962, quando nel paese andava maturando l’esperienza di centro-sinistra, in cui si esaltava la dimensione antinazista della rivolta anche mediante l’utilizzazione di alcuni stereotipi come quello dello “scugnizzo”. In realtà la memoria delle Quattro Giornate ha conosciuto una lunga fase di oblio ed è entrata con difficoltà nella tradizione storico-politica della città.In ogni caso la rivolta partenopea non deve essere considerata un fatto isolato. Essa fu preceduta e seguita da un insieme di stragi, eccidi, veri e propri momenti insurrezionali in provincia di Napoli e nell’area di terra di Lavoro. Come ha scritto Francesco Paolo Casavola: “L’insorgenza di una cittadinanza così organicamente eterogenea per ceti sociali, istruzione, generazioni non è dovuta ad una improvvisa illuminazione collettiva, che tiene luogo di un’assente direzione politico-militare. È stata forse la paura dello sfollamento coatto di tutte le famiglie e delle retate dei maschi ordinate dal colonnello Schöll, giunta sulla soglia della disperazione e dello sdegno per la violenza dei soldati, che ha prodotto il coraggio del rifiuto. Come non c’è nulla di più contagioso, tra i sentimenti umani, della paura, così nulla si diffonde tanto rapidamente e infrenabilmente del coraggio nato dalla paura. Va aggiunto che quella popolazione aveva attraversato 43 mesi di guerra subendo centocinque bombardamenti aerei, piangendo ventitremila morti, contando centomila vani di abitazione distrutti, soffrendo disagi infiniti negli approvvigionamenti e nei servizi essenziali. Ed ora, estrema provocazione, i tedeschi divenuti nemici corrono nelle strade con le loro autoblindo, sparando, uccidendo, rastrellando gli uomini per deportarli altrove, nelle organizzazioni del lavoro obbligatorio. Il loro comandante ne voleva trentamila di questi uomini da lavoro. La collera collettiva di un popolo matura lenta nella ingiustizia crescente, assorbita sempre con minore sopportazione. Un popolo non si domina con il terrore se non per qualche giorno, poi lo si ha contro, protagonista della lotta”. La storia A parte il dolore della gente che aveva visto i loro figli partiti per il fronte (molti dei quali non fecero più ritorno a casa), i napoletani ebbero il vero impatto con la guerra solo il primo novembre del 1940, quando vi fu un bombardamento aereo inglese. Dal 1940 al 1944 Napoli fu fatta oggetto di più di cento indiscriminati bombardamenti che procurarono quasi 30000 morti. Due giorni infausti visse la città: il 4 dicembre 1942 ed il 28 marzo 1943; il primo, oltre ad ingenti danni e alla distruzione di Santa Chiara, provocò 3000 morti; il secondo fu dovuto allo scoppio della nave Caterina Costa. Questa nave, che era ancorata nel porto era sovraccarica di armi ed esplosivi ed era in partenza per l’Africa. Si sviluppò, a bordo, un tremendo incendio che i marinai non riuscirono a domare, per cui nel pomeriggio esplose provocando oltre 3000 feriti e 600 morti, l’esplosione fu immane, basti pensare che pezzi della nave furono rinvenuti sulla collina del Vomero. Napoli, sventrata dai bombardamenti, s’era come svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga nelle campagne. Erano rimasti i rassegnati, gli indifferenti, i fascisti, e i disperati. Furono questi ultimi a ribellarsi, a passare dalla disperazione all’esasperazione per i soprusi nazisti, dopo l’occupazione della città. «Anche qui, come nelle altre città, all’8 settembre le autorità militari non presero alcuna iniziativa per preparare un’efficace resistenza alle truppe tedesche, si rifiutarono di consegnare le armi ai napoletani che a mezzo dei rappresentanti i partiti antifascisti le chiedevano per organizzare la difesa, né seppero dare a quei comandi subalterni che le cercavano, delle direttive serie. Incredibile la risposta data dal Comandante la difesa territoriale di Napoli, generale Del Tetto al colonnello Barberini comandante del 2° reggimento artiglieria acquartierato nella caserma Scandigliano:“Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare”. Malgrado quest’insipienza che rasentava il tradimento, da parte degli alti comandi, l’occupazione tedesca della città non avvenne pacificamente. Il 10 e 1’11 settembre soldati e ufficiali italiani assieme a popolani resistettero tenacemente in alcuni fortilizi, costringendo il nemico a conquistare con le armi alcune caserme e la centrale telefonica. I tedeschi erano ancora indecisi sul da farsi, temevano la rapida avanzata degli Alleati sbarcati a Salerno e, mentre cercavano di disarmare le truppe italiane, si preparavano ad abbandonare la città dandosi al saccheggio dei negozi. Numerosi furono gli episodi di resistenza. In via S. Brigida …