di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

Il governo sta varando la riforma fiscale relativamente alla quale, dai primi accenni, sembra di capire ci sia un abbassamento delle prime due aliquote dell’irpef (22% invece di 23% per la prima aliquota e 26% anziché 27% per la seconda) e una reintroduzione di una aliquota iva maggiore per beni di lusso e voluttuari.

Commenterò i provvedimenti quando saranno noti, ma vorrei porre alcuni punti che mi sembrano rilevanti al proposito.

1- Riduzione delle prime due aliquote. La riduzione delle due prime aliquote (22% anziché 23% e 26 anziché 27%) riduce il gettito di circa 8 miliardi. Va comunque ricordato che la riduzione delle prime due aliquote riduce le imposte non solo per i contribuenti fino a 28.000€ di reddito, ma le riduce per tutti i contribuenti, causando un effetto non voluto o comunque da evitare. Si dovrebbero allora aumentare le altre aliquote in modo da recuperare quello sconto fiscale non voluto derivante dalla riduzione delle prime due aliquote. La perdita di gettito si ridurrebbe di circa 2 miliardi. Si potrebbe inoltre pensare ad un aumento delle aliquote alte tale che lasci immutato il gettito. Le stesse riflessioni andrebbero fatte qualora, ma non pare più un tema proposto, si passasse all’aliquota continua, cioè non più per scaglioni.

2 – Imposte sostitutive. Il principio costituzionale della progressività dell’imposta è oggi fortemente violato: la progressività si applica solo a lavoratori dipendenti, pensionati e autonomi con ricavi superiori a 65.000€. Tutti gli altri redditi (locazioni, capitale, interessi, plusvalenze etc.) sono tassati con aliquota flat. La Lega raccoglie voti e consensi in particolare su piccole partite iva proprio per aver regalato loro la flat tax. Ci si chiede perché a parità di reddito un lavoratore dipendente debba pagare imposte doppie rispetto ad un piccolo commerciante, imprenditore o professionista. La flat tax sugli affitti ha permesso di far emergere dal nero molte situazioni, ma in termini di gettito l’erario (cioè gli altri contribuenti) ci hanno rimesso parecchi miliardi. La flat tax sui redditi di impresa penalizza in modo incomprensibile i piccoli azionisti.

3 – Imposta di successione. Nella attuale legislazione fiscale italiana l’imposta di successione è enormemente inferiore a quella di altri paesi europei. Vediamo schematicamente un confronto: 

Paese Caso di eredità vedi nota (1) Gettito totale annuo in mln € % sul PIL
Italia 0 820 0.05
Germania 75.000 6.800 0.20
Francia 195.000 14.300 0.61
Regno Unito 250.000 5.900 0.25

Imposta in € pagata su una eredità di 1 milione di € lasciata da un genitore ad un figlio

In tempi di crescente disuguaglianza, in un Paese in cui l’indice Gini (indice della disuguaglianza) è superiore agli altri paesi, un intervento su questo fronte sarebbe raccomandabile. Rammentiamo, perché è un testo interessantissimo, il progetto di 100 anni fa, dell’ing. Rignano (ricordato e ripreso anche da Luigi Einaudi nelle sue Lezioni di Politica Sociale) di una imposta di successione reiterata con l’impiego in investimenti cooperativistici dei proventi ottenuti. Il testo dell’ing. Rignano è scaricabile da internet.

● Imposte dirette ed indirette.

Da tempo i politici del main-stream raccomandano di aumentare le imposte sui consumi e diminuire quelle sui fattori della produzione. La raccomandazione può essere accettata se l’aumento dell’imposta sui consumi si riferisce a beni di lusso e/o voluttuari (chiarendo ciò che con questo termine si intende), ed è fortemente appoggiata per quel che riguarda la riduzione dell’imposizione sui fattori della produzione, lavoro in primis. Resta tuttavia sempre presente la consapevolezza che le imposte sui consumi, l’iva in particolare, hanno carattere regressivo anzichè progressivo e vanno quindi applicate con questa consapevolezza. L’iva poi ha il pregio, mai attuato, di svolgere una politica economica anticongiunturale, incentivando i consumi diminuendo le aliquote quando ci si trovi in periodo di depressione, o disincentivandoli aumentando le aliquote quando ci si trovi in periodi di surriscaldamento.

● IRES e imposta sui dividendi

Non va mai dimenticato che l’Ires è una imposta riscossa sui redditi delle società di capitale come acconto sull’imposizione sul beneficiario finale ovvero del socio azionista o socio di una s.r.l. Il sistema ha funzionato con tre modalità:

a) Dedurre dall’imposta del socio calcolata in modo progressivo includendo il dividendo lordo (prima dell’imposta IRES) l’importo dell’acconto già pagato sotto forma di IRES.

b) Applicare l’imposta del socio, calcolata in modo progressivo, solo su una percentuale del dividendo netto; la percentuale varia in modo contrario al variare dell’aliquota IRES. Quando questa diminuisse (aumentasse) la percentuale imponibile aumenta (diminuisce) in modo da riequilibrare la tassazione finale. In pratica se l’acconto diminuisce il saldo deve aumentare e viceversa.

c) La normativa oggi in vigore prevede una imposta sostitutiva del 26% da applicare sul dividendo netto. Tale sistema penalizza i piccoli azionisti (o soci di s.r.l.) colpendoli con una aliquota composta più elevata di quanto sarebbe con i sistemi precedenti.

Quello cui dobbiamo stare attenti è che, come nel passato, l’aliquota dell’imposta sostitutiva deve essere modificata ogni volta che si modifica l’aliquota dell’IRES. Ad esempio ipotizziamo la riduzione dell’IRES attualmente fissata al 24%:

Utile Aliquota ires Importo ires Dividendo netto Aliquota sostitutiva Importo sostitutiva Importo imposta totale
100 24% 24 76 26% 20 44
100 20% 20 80 30% 24 44
100 0% 0 100 44% 44 44

 

Rimane comunque la nostra preferenza per la cancellazione dell’imposta sostitutiva ed il ritorno alla tassazione secondo progressività.

Abbiamo, provocatoriamente, indicato l’aliquota IRES pari allo zero per cento per cercare di ipotizzare le conseguenze di un simile provvedimento che sposterebbe la tassazione (progressiva o sostitutiva) al momento della distribuzione dei dividendi. A mio parere riscontreremmo da una parte uno spostamento nel tempo dei flussi di gettito, infatti perderemmo l’imposizione di acconto aumentando quella a saldo, e contemporaneamente assisteremmo ad un rilancio della propensione all’investimento in attività produttive rispetto a quelle speculative. Ma è solo una prima impressione che mi riservo di approfondire.

● I bonus fiscali

I bonus o in genere le agevolazioni fiscali concesse alle imprese se da un lato aiutano le imprese a comportamenti virtuosi dall’altro lato costituiscono un regalo dei contribuenti (per la maggior quota lavoratori e pensionati) al capitale, aumentandone i profitti o la discrezionalità nel lasciarli in azienda o prelevarli come dividendo. Da un punto di vista di classe gli incentivi fiscali sono un passaggio di ricchezza dal lavoro al capitale. Ciò è ancor più serio quando gli incentivi sono corrisposti per una pur meritevole azione di investimento in innovazione e tecnologia che molto spesso ha conseguenze di labor saving; detto in termini semplicistici i lavoratori regalano soldi al capitale per ridurre i posti di lavoro e creare disoccupazione. La cosa è ancor più seria se pensiamo che la tecnologia è per la più gran parte un prodotto sociale che nasce dal sistema scolastico, dagli istituti di ricerca, dai ricercatori cioè da istituzioni pubbliche finanziate con le tasse dei contribuenti. Le mie considerazioni non tendono a far cessare le agevolazioni alle imprese perchè queste si innovino tecnologicamente o perseguano altre finalità virtuose, non intendiamo affatto essere luddisti. Quelle che pensiamo è che i benefici concessi siano concessi come capitale sociale delle aziende beneficiate il cui titolare sia un “Fondo pubblico del lavoro” finalizzato a due scopi fondamentali: a) entrare come fondo del lavoro a pieno titolo nella gestione delle aziende beneficiate; b) creare una delle basi di finanziamento per un reddito di cittadinanza destinato al probabile aumento della disoccupazione tecnologica.  Insomma un ritorno a Meidner.