BETTINO CRAXI A VENT’ANNI DALLA SCOMPARSA

di Giorgio Benvenuto – Presidente Fondazione Buozzi |

A venti anni dalla morte di Bettino Craxi in Italia per quei paradossi storici che ogni tanto avvengono, la situazione di allora si è capovolta. In quell’inizio del 2000 la sua commemorazione in Parlamento subì la stessa sorte di quella di Aldo Moro, con la bara vuota, mentre il leader socialista veniva seppellito ad Hammamet. Oggi avviene in qualche modo il contrario: ad Hammamet è il momento del ricordo, mentre in Italia torna a prendere forma un tentativo, tardivo probabilmente ma necessario, di riflessione sul Bettino Craxi politico e quindi più reale e, quindi lo statista, il riformista socialista.

Un tentativo non facile, ancora avversato dagli effetti di un clima d’odio che probabilmente non ha eguali nella storia più recente dell’Occidente di cui Craxi però fu, lo si voglia o no, un protagonista ed un lucido avversario non tanto e solo del comunismo quanto del totalitarismo.

Il film di recente uscita “Hammamet” ha contribuito indubbiamente a riproporre una memoria storica che appariva condannata ad una rimozione senza appello, sostituita dalla egemonia di un pensiero giustizialista che come è noto ha sempre avuto bisogno di “nemici” per alimentare la sua presenza. Probabilmente però si è voluto da più parti attribuire una valenza al film che non poteva avere, perché rimane una bella e toccante riflessione sul tramonto amaro di un protagonista della storia, il cui tratto umano prevale inevitabilmente su ogni altra considerazione. Forse l’unico atto di accusa, implicito ma evidente, riguarda l’assenza di una vera trattativa per salvare la vita a Craxi come avvenne del resto per Aldo Moro.


Non a caso l’unico riconoscimento praticamente unanime va alla formidabile performance dell’attore che impersona Craxi.
La politica resta fuori, si è detto. Perché quel film semplicemente non poteva diventare “politico”. Il ritorno ad una rilettura politica e storica spetta ad altri, anche se si fa fatica in questa direzione forse solo perché venti anni sono ancora troppo pochi in un Paese che nel frattempo ha perduto consapevolezza su quello che è stato quel periodo storico con i partiti, i rapporti fra politica e società, la divisione in blocchi ideologici, il valore della politica internazionale.

In un saggio convincente sulla parabola, Barbara Spinelli ricorda il messaggio inviato da Ciampi alla famiglia dopo la scomparsa di Craxi che si distaccava nettamente dalle commemorazioni del tempo e in modo che la stessa Spinelli giudica “insolito”: “contribuì in modo significativo alla difesa dell’Occidente ed al consolidamento della pace”.

Parole che sono state dimenticate ben presto, naturalmente. Eppure evocano un terreno di approfondimento che andrebbe ripreso per uscire finalmente da uno schema di giudizio che propone una contrapposizione che oggi non ha davvero più senso fra demonizzazione ed esaltazione acritica.

In quel saggio la Spinelli al dunque ricorda che con la caduta del muro di Berlino il vuoto culturale e politico che ne è seguito non solo ha decretato la fine della prima Repubblica ma ha seppellito in buona parte le prospettive di una sinistra che fosse tale in uno scenario profondamente mutato.

C’è molto di vero in questo. Intanto perché ci sono due grandi silenzi che non sono mai stati affrontati come si deve: il valore della esperienza del primo centrosinistra con il ruolo riformatore dei socialisti che poteva condurre ad una evoluzione ben diversa della sinistra italiana e che comunque è l’inizio di un riformismo socialista moderno che ha poi mostrato tante luci ed ombre come sappiamo ma ha inciso con Craxi nella vita economica e sociale del Paese. 


Di certo il “vuoto” lasciato dall’89 del muro di Berlino non fu colmato con quel coraggio culturale e politico che ci si poteva aspettare. Fu una grande occasione persa ed un limite politico di tutti i protagonisti di quel tempo. Cosa sarebbe infatti stato necessario fare: una nuova Bad Godesberg per ridefinire il ruolo della sinistra dopo che erano cadute le divisioni ideologiche, ma anche in previsione di scenari internazionali del tutto inediti come poi avverrà con l’avvento della prima globalizzazione. Andando quindi anche oltre il problema storico dell’unità fra forze socialiste e quindi del rapporto da reinventare o saldare fra Psi e post-comunisti.

In realtà il tutto si ridusse inevitabilmente ad una lotta per il potere cui non rimase estranea, senza bisogno di rifarsi agli aspetti processuali, anche l’influenza nella opinione pubblica di Tangentopoli e di Mani pulite.

In secondo luogo andrebbe riflettuto meglio e di più su quella politica estera che si intravede rappresentata nel messaggio di Ciampi. L’impegno di Craxi come “difensore” dell’Occidente è sparito praticamente dalla riflessione storico-politica ed è un errore. Pensiamo al sostegno dato agli oppositori dei totalitarismi sudamericani, pensiamo all’appoggio dato alla Cecoslovacchia di Havel o alla convinzione con la quale ha sostenuto le ragioni di Solidarnosc. Od ancora alla difficile scelta sui “missili” che, come giustamente si è osservato, ha cambiato assai più di Sigonella lo scenario internazionale ed europeo, indebolendo ancor di più il blocco sovietico. 

Sarebbe quindi utile andare oltre gli aspetti divisivi sulla figura di Craxi che possono suscitare polemiche ormai sterili e tornare invece a confrontarsi con il declino inarrestabile che ha accompagnato il percorso della sinistra italiana dagli anni ’90 in poi con le sudditanze che ne hanno compromesso la credibilità a partire da quella subita ed accettata nei confronti della finanza. 

Od anche, perché negarlo l’incapacità a contrastare quei modelli di comportamento introdotti dal Berlusconismo, vedi il mito del successo individuale, mettendo fra parentesi valori come la solidarietà per abbracciare confusamente le lusinghe del liberismo. 

Ma proprio per tali motivi dovrebbe soprattutto risultare indubbio, come si inizia a fare, che la discussione attorno al Craxi politico è di pertinenza della sinistra e non certo della destra.

 Ed avrebbe più senso anche non attardarsi a ribattezzare lo scontro sulla scala mobile degli anni ’80 e il dilemma sulla crescita o meno del debito pubblico, per dedicarsi alla comprensione dei motivi che hanno determinato i ritardi della sinistra italiana rispetto alla evoluzione che la storia del mondo aveva intrapreso e che non fu capita, malgrado qualche intuizione che non divenne però azione politica. Craxi del resto fu politico e uomo di Governo alieno da sentimenti antisindacali come poi è avvenuto in seguito da parte della classe dirigente affacciatasi agli anni duemila con una logica di decisionismo autosufficiente che non ha tenuto conto del ruolo social dei corpi intermedi.

Tanto per dirla con parole comprensibili e con la necessaria franchezza quel muro di Berlino franò addosso anche a noi che non avevamo apprestato le possibili contromisure in quanto attardati da una fase di scontro politico che sapeva solo di passato.

Nel suo saggio la Spinelli parla anche di trafugamento della eredità di Craxi da parte dei post comunisti che, avendo avuto campo libero, poterono presentarsi riformisti senza dover fare troppo i conti con il proprio passato. In realtà come si deduce da quello che si è poi constatato il riformismo è diventato terreno di occupazione “temporanea” a sinistra come a destra, perdendo quei connotati che gli erano propri: una proposta politica e culturale con dei valori ben precisi da quello della solidarietà a quello del rispetto della dignità della persona. Il riformismo dei Turati, dei Buozzi, dei Matteotti.

Il nodo Craxi insomma potrebbe essere sciolto se si mutasse la prospettiva con la quale si guarda a questo politico socialista, che socialista lo fu davvero anche se si potevano non condividere talune sue idee come pure sue decisioni. Perché l’aspetto che è rimasto nell’angolo per molto tempo è proprio quello forse più importante da riportare alla luce: il rapporto fra la sinistra ed i cambiamenti colossali avvenuti in questi ultimi trenta anni. Restituendo, senza dimenticare gli errori, anche a Bettino Craxi quella civiltà di giudizio che gli è dovuta.