TRATTO DAL PROGRAMMA MINIMO DI SOCIALISMO XXI – RIMINI 2019

Situazione attuale

Le cause della recessione vanno ragionevolmente individuate:

• nel peggioramento della situazione internazionale, in particolare la lotta minacciata e/o in atto tra Stati Uniti e Cina in particolare nel campo dei dazi;

• nell’irrisolta soluzione della crisi del 2007, in particolare incapacità dell’Europa di diagnosticare le cause di quella crisi e di disegnare adeguate misure per superarle;

• cronica deficienza italiana negli indici di produttività e innovazione, indici a zero da almeno un decennio cui solo i provvedimenti 4.0 hanno dato una scossa ma solo ad una minoranza di imprese. La debolezza intrinseca del nostro paese, in cui l’85% di imprese è di piccole dimensioni ci rende particolarmente fragili e deboli, costretti, quando c’è crescita, ad averne sempre una inferiore a quella degli altri e, in caso di difficoltà ad andare per primi in recessione.

La risposta non può essere l’uscita dall’Unione Europea (a tal proposito si rinvia al doc. Europa), unica area economica che, nella divisione internazionale del lavoro, può pensare di competere con le altre economie continentali rappresentate dagli Stati Uniti d’America, dalla Cina, dalla Russia o con altre realtà emergenti come l’India, ed in prospettiva con l’Africa.

E’ necessario ritornare ad una politica di programmazione che disegni e persegua il progresso economico e sociale, uscendo da una subordinazione ai soli meccanismi di mercato, e che possono preludere ad inedite alleanze o concomitanze di interessi tra imprenditori dell’economia produttiva e lavoratori contro il finanz-capitalismo.

Prime risposte possibili in Italia

Rilancio massiccio di investimenti pubblici agendo su due fronti:

• su un fronte, mettendo in cantiere tutte quelle opere già finanziate ma bloccate da inefficienze burocratiche o resistenze pregiudiziali.

• su un altro fronte, disegnando un progetto di sviluppo che coniughi l’aggiornamento tecnologico del nostro sistema produttivo con la formazione e l’arricchimento del capitale umano.

La deindustrializzazione italiana perseguita in questi ultimi 25 anni richiede la programmazione verso un nuovo modo di produzione conseguente alle sopravvenienti novità tecnologiche, mettendo in campo iniziative congiunte fra pubblico e privato, subordinando la finanza all’economia produttiva, con nuovi rapporti proprietari nel capitale delle imprese aperti al mondo del lavoro, ispirati alla cogestione.

Serve inoltre una discontinuità nell’atteggiamento della politica italiana affinché essa assuma una posizione attiva nella dialettica della gestione politica nell’Unione Europea. Al proposito si propone una diversa governance dell’Unione, basata su un budget europeo, un governo europeo ed una banca europea svincolati dai vincoli dei singoli paesi.

In particolare riteniamo sia necessario:     

• una revisione dello statuto della BCE che preveda tra i suoi compiti, oltre il controllo dell’inflazione, anche lo sviluppo economico dell’Unione e la piena occupazione all’interno della stessa;

• l’adozione della Golden rule di Delors, che escluda dal calcolo del deficit, la spesa per investimenti, fermo restando l’obiettivo del pareggio di bilancio per quanto riguarda le spese correnti;

• il superamento del dumping fiscale che minano la corretta convivenze dei paesi dell’Unione;

• una separazione tra banche commerciali e le banche d’affari;

• un coordinamento a livello europeo del movimento sindacale, anche in vista degli sviluppi che si possono prevedere nel prossimo futuro;

• una particolare attenzione al fatto che, dopo la bocciatura della fusione tra Siemens e Alstom, si stanno rimettendo in discussione le regole della concorrenze e degli aiuti di stato; revisione alla quale non possiamo, come paese, essere assenti;

In particolare si è sottolinea che con l’adozione della moneta unica, utile per moltissimi fini, la Germania sta godendo di un “esorbitante privilegio” dovuto al fatto che gli altri paesi non possono più fare svalutazioni competitive (il nostro paese ad esempio ha svalutato la lira del 665% tra il 1960 e il 1999). Va inoltre messa in discussione la politica tedesca di rifiuto dell’utilizzo del surplus commerciale (circa 200 mld. anno).

Economia 4.0 e Lavoro

I processi di automazione e robotizzazione dell’economia ci pongono di fronte ad un capitalismo appropria  del knowledge oggi risiedente nelle nozioni che stanno dietro ai processi di robotizzazione, automazione, intelligenza artificiale.

Una forza Socialista nel XXI secolo deve prevedere una socializzazione dei frutti di questi processi di automazione e robotizzazione, poiché è il pubblico tramite la nostra scuola, la nostra università, il nostro sistema di ricerca a permettere che si possa sviluppare in pieno una simile evoluzione nel nostro sistema di produzione. 

Occorre prevedere modelli che incentivino questa socializzazione dei frutti della produzione tramite un moderno piano Meidner per il lavoro.

Allo stesso tempo, dobbiamo costruire una forza politica capace di essere strumento non di mera rappresentanza, costruendo un nuovo patto tra coloro che producono ricchezza tramite nell’economia reale, contrapponendolo al patto tra rendita e finanza.

Riflessione sulla robotica

Dal mezzo di lavoro all’automazione

L’introduzione in atto ormai da 40 anni dei mezzi di produzione automatizzati ha mutato profondamente il “modo di produzione” riducendo il tempo di lavoro necessario per la produzione dei beni e servizi, in cui il ruolo dei lavoratori è quello di supervisore e controllore dell’operato delle macchine stesse.

In questa fase assistiamo ad una grande contraddizione: il prodotto del cervello sociale, ovvero il risultato dell’azione delle forze produttive organizzate, viene utilizzato per ridurre i tempi di lavoro necessario.

Oggi il meccanismo è a grandi linee il seguente:

la collettività, tramite fiscalità, finanzia il sapere generale, che a sua volta crea nuove tecnologie che vengono utilizzate per ridurre il tempo necessario per la produzione. Ma la riduzione del tempo necessario per la produzione significa meno posti di lavoro, più disoccupazione: in sintesi la collettività finanzia la riduzione dei posti di lavoro, cui pure ad essi ambirebbe.

Qui si misura la capacità dei governanti di predisporre un sistema economico, produttivo e sociale consono alle nuove esigenze. Nel concreto oggi la mancata corrispondenza delle competenze dell’aspirante lavoratore ed i bisogni del datore di lavoro è una contraddizione che l’attuale politica è incapace di affrontare.

E ciò nel tempo in cui la tecnologia 5G, alla base dell’invasione delle applicazioni IOT (internet of things), è acuita dalla lotta concorrenziale tra Stati Uniti e Cina per l’egemonia economica nel XXI secolo, con il restante mondo che arranca per stare alla pari e non essere colonizzato dalla scienza altrui.

Una economia completamente robotizzata

Può sembrare una curiosità da fantascienza, quella di immaginarsi una economia completamente robotizzata, in cui tutto è prodotto (anche meglio) nelle quantità (anche maggiori) oggi prodotte, senza l’intervento del lavoro (immediato) umano, nemmeno di quello digitalizzato e professionalizzato in quanto le macchine sono in grado di riprodurre macchine ancor più intelligenti.

Di fronte ad un simile nuovo modo di produzione sorgono spontanee alcune domande:

• siamo ancora in presenza di un modo di produzione industriale?

• quale modello redistributivo può essere coerente con questo nuovo modo di produzione?

Nel nuovo modo di produzione, i possessori dei mezzi di produzione non potranno ignorare a lungo che esiste una massa di ESCLUSI dall’innovazione, che, espulsi dal mondo del lavoro immediato ed in mancanza di un reddito purchessia, costituiranno una massa i cui bisogni di sopravvivenza dovranno in qualche modo essere soddisfatti, al fine di non ingenerare processi irrisolvibili se non mediante guerre.

Ecco che allora nasce la necessità di redistribuire il prodotto del processo produttivo in modo adeguato a non mettere in crisi il modo di produzione stesso.

Una soluzione socialista

Ci troviamo, come abbiamo visto, di fronte ad una prospettiva preoccupante cui i socialisti sono chiamati a dare una risposta per evitare il pericolo di un neo-schiavismo; una volta ancora ci troviamo di fronte all’alternativa: socialismo o barbarie.

Il percorso da intraprendere sin da ora, da subito è quello della socializzazione dei frutti della produttività. Ribadiamo che occorre partire da subito perché in caso contrario il processo di totale appropriazione del sapere sociale da parte del nuovo modello capitalistico ci porrà di fronte al fatto compiuto, rendendo sterile ogni tentativo tardivo di modificare il processo.

La socializzazione dei frutti della produttività inizia dalla presa di coscienza del fatto che la tecnologia (la digitalizzazione, la robotizzazione, l’internet of things, i big data, l’intelligenza artificiale, il machine learning etc.) è un prodotto sociale, è il frutto del sistema scolastico, delle università, dei centri di ricerca, è cioè il frutto di un investimento sociale finanziato con i soldi dei contribuenti.

Val la pena allora riportare l’art.42 della nostra Costituzione “La proprietà è pubblica o privata. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Rifacendosi al pensiero di Paolo Sylos Labini e di James Meade proponiamo una possibile socializzazione dei mezzi di produzione, quale presupposto per un nuovo modello redistributivo in cui il tempo sociale, liberato dal tempo necessario per la produzione (liberazione dal lavoro), viene impiegato per fini più consoni alla natura umana quali lo studio, la cultura, la crescita intellettuale, lo svago, l’arte, in una parola un nuovo umanesimo.

Come primo passo

Gli incentivi che oggi non hanno vincoli di sorta vanno trasformati in apporto di capitale sociale nelle imprese 4.0, mediante un Fondo di Investimento Sociale che rappresenti la proprietà sociale sui mezzi di produzione generati dal sapere sociale. Con questo sistema l’impresa ha il vantaggio di godere di un incentivo che non va al capitalista sotto forma di maggior dividendo, ma ad incrementare il capitale sociale di un nuovo socio rappresentato dal Fondo di Investimento Sociale.

Tale Fondo sarà alimentato da ogni beneficio fiscale quale la decontribuzione, i bonus, le defiscalizzazioni etc. così come potrebbe essere finanziato in occasione dei rinnovi contrattuali prevedendo clausole che destinano nuove risorse ad esso. Quest’ultimo punto è estremamente importante per coordinare la nostra proposta con le forze sindacali, rendendole così partecipi nella politica della produttività.

Altra fonte di finanziamento potrebbe essere una nuova imposta di successione rivisitata anche alla luce dell’insegnamento di Luigi Einaudi per quanto riguarda l’eguaglianza dei punti di partenza.

L’idea che proponiamo non è poi così nuova, se vogliamo trovare un precedente cui, lo confessiamo, ci siamo riallacciati, è il Piano Meidner de “Capitali senza padroni”.