VOTARE O VUOTARE LA DEMOCRAZIA? N.2

di Aldo FerraraSocialismo XXI Lazio

I neo-populismi

Dopo la recensione del Volume di Brennan, abbiamo appreso che la ripartizione in tre classi dell’elettorato o meglio di coloro che partecipano alla politica, direttamente o indirettamente, in Hobbit, Hooling e Vulcaniani può anche apparire logica. Nella società d’oggi sono i parametri economici che fanno la differenza e ci obbligano al tracciato e censimento delle classi sociali. Lo avevano identificato già nel XIX secolo i Padri del Socialismo, in un’epoca in cui la trasformazione industriale aveva impresso una sua funzione divisiva, esclusiva e non inclusiva. Da un lato la classe operaia e contadina, fulcro essenziale delle attività produttive e dall’altro la classe padronale che riscuoteva il plusvalore.

In mezzo la borghesia, nata dalla rivoluzione francese, che stentava però ad avere un ruolo dominante e si trovava nel centro della tenaglia. Paesi come l’Italia costituivano, già subito dopo l’Unità, un esempio emblematico. Un Paese privo di materie prime che si accingeva alla rivoluzione industriale savoiarda del Nord, con Torino al centro della produzione, in quegli anni nasceva appunto la FIAT e il suo indotto, e si apprestava contemporaneamente a ripudiare la sua tradizione agricola e contadina che, con il mercantilismo, aveva reso ricco il Sud.

L’esempio della Famiglia Florio, con i traffici nel Mediterraneo che avevano restituito alla Sicilia la primazia del mercato meridionale, è eponimico per comprendere come la questione Meridionale, subito intuita e posta da Giustino Fortunato, fosse un problema primario. Dirottare le risrose umane del paese verso l’industria, schiavi delle altre nazioni in possesso di materie prime, aveva comportato una scelta di subalternità economica e costretto le classi disagiate a aumentare il ritmo di lavoro e sofferenza per la produzione il cui plusvalore finiva subito nelle mani di pochi.

E’ in questo contesto che nasce nel sud più povero quello della Basilicata, Campania e Molise, il fenomeno del brigantaggio che, al di là della concezione di un mio trisavolo, Giuseppe Massari, Presidente della Commissione d’Inchiesta sul Fenomeno, aveva in nuce il seme della rivoluzione socialista che non tardò ad arrivare con i Fasci Siciliani di Giuseppe Giuffrida e Napoleone Colajanni.

Se è questo il contesto di rivolta sociale che poi diede volto politico al Partito dei Lavoratori e quindi poi Socialista, nato a Genova nel 1892, oggi in quale contesto sociale si deve inscrivere la rinascita socialista?

Cessata la fase produttiva prima fordista e poi post-fordista, quella del terziario avanzato, la società di oggi, in piena globalizzazione che significa l’80% delle risorse in mano al 22% della popolazione, appare denudata dei suoi fondamenti di diritto. Appare cioè uno squilibrio sociale in Intoccabili e Bistrattabili, che perdura oltre il dovuto e che la crisi del 2008 ha evidenziato, scoprendo il velo di ipocrisia in cui ci si è rifugiati con il termine “ democrazia”.

Il primo nodo fondamentale è la ricerca di un volto identitario.

Negli ultimi 2 decenni, a far tempo dal 1992, l’anno del massacro della politica arresasi all’altro potere, quello giudiziario, la demonizzazione è l’opera più compiuta che si sia perpetrata. Demonizzazione del Servizio Pubblico: la ricerca forsennata e stolta delle privatizzazioni ha comportato l’impatto del capitale privato nella prestazione e offerta dei servizi pubblici, Salute, Scuola, Trasporti.

Demonizzazione e Sussidiarietà hanno consentito che il capitale, soprattutto straniero, venisse in possesso di Beni Pubblici, materiali e immateriali, di autentico diritto di fruizione del cittadino. A partire dall’acqua, la cui gestione, affidata ai privati, in molte città italiane ha privato di perequazione e parità di offerta, nonchè incremento dei prezzi per profitto. Già nel 1962 la legge di Nazionalizzazione dell’energia elettrica aveva sancito che il bene comune dell’energia fosse di competenza statale, cioè di tutti e per tutti, eliminando sperequazioni e ingiustizie sul piano della fornitura e dei costi. Nel 1968 e poi nel 1978, Luigi Mariotti aveva reso “universale” il diritto alla salute, in obbedienza e rispetto all’art.32 della Costituzione.

In questi anni invece assistiamo al trionfo delle politiche opposte: aumento dei costi dell’energia e dei carburanti per aumento delle filiere estrattive e distributive, aumento di costi per la salute, sicchè 14 milioni di italiani non possono più curarsi.

Il secondo Nodo è quello federalista e autonomista.

Allora la ricerca dell’identità deve partire dal riappropriarsi della lotta per il diritto al Bene Comune e per la totale separazione dal Privato e dalla sua gestione dei Servizi Pubblici di competenza comunitaria e collettiva.

Per operare in questi termini, è necessario che si identifichi lo strumento d’azione che è la legislazione Autonoma delle Regioni o Enti Locali, con la devoluzione di compiti amministrativi e legislativi come sancito in Costituzione, Titolo V, artt.da 116 a 133. Le Regioni, fortemente volute dai Socialisti, nate nel 1970, hanno avuto processo di sviluppo ondivago. Il Potere Centrale ha adoperato la Conferenza Stato-Regioni come strumento di regolamentazione del dettato costituzionale, Titolo V, artt.116 e 117, su mera base giuridica, senza un indirizzo politico di vera devoluzione, anche nel caso delle Regioni a Statuto Speciale. Non regolamentare i Fondi di Solidarietà Nazionale, vedi art. 38 dello Statuto Siciliano, non indirizzare in modo congruo il federalismo fiscale, non arginare il pendolarismo sanitario, ha creato squilibri tra le Regioni con andamento e velocità diversi, regioni ricche e quelle povere, ciò che ha contribuito a non dettare il processo di crescita.

Poiché la nostra Costituzione è stata strutturata in senso federalista, sull’onda delle antiche concezioni del Cattaneo che lo stesso Calamandrei cita nella sua celebre lezione universitaria del 1955, e poiché a tutt’oggi lo sviluppo federalista è rimasto incompiuto, anche paradossalmente con la complicità della stessa Lega, per non avere saputo differenziare autonomia legislativa dalla indipendenza politica, e poiché a tutt’oggi siamo rimasti ancorati ad una vecchia concezione dei confini nazionali, dell’unità del Paese, visto quanto sopra dobbiamo ammettere un totale fallimento in nome della nazione. E’ la concezione vieta e scontata della Nazione-Patria che ha portato alle seguenti disuguaglianze:

Incompiutezza della crescita economica per mancanza di politiche d’incentivazione delle diverse peculiarità regionali. Concepire la Basilicata una Regione a trazione industriale, per estrazione di un misero 10% del greggio necessario, significa aver mortificato le sue peculiarità in tema agroalimentare, turistico e paesaggistico. Concepire la Sardegna come polo di produzione di armamenti o produzione industriale dell’alluminio, significa mortificare la regione in cui si produce, e poi esporta, l’80% della produzione casearia del paese.

Incompiutezza della difesa dei diritti civili e delle minoranze. Loris Fortuna fu il socialista che con altri, i radicali, si battè per il divorzio, altri per l’aborto. Questo patrimonio culturale e giuridico socialista è stato abbandonato, nel mentre di un’evoluzione delle società che, in virtù di immigrazioni incontrollate e non modulate, si avvia ad una condizione di neo-schiavismo. Restano dopo 70 e passa anni, incompiute le perequazioni delle minoranze linguistiche che poi sono culturali ed etniche che non abbiamo saputo del tutto integrare. In parte ci si è riusciti per la civiltà e la compostezza dei ladini, dei valdostani, affatto incompresi dal restante Paese.

Limite della concezione Nazionale

Il vero limite è dettato dall’aver aderito e sviluppato ad una UE insensibile ai nodi di cui testè si è scritto. L’Europa delle nazioni, sorta nel 1957 con il Trattato di Roma, in specie per evitare ulteriori conflitti bellici, ha mostrato tutti i suoi limiti nella programmazione economica e nella fase di sviluppo che adesso , a causa del decennio di crisi, non può più attendere (Ferrara A. Europa a 40 velocità, Frontiere.eu, 18.11.2017)

Se dunque un Socialismo del secolo venturo, una sorta di Marx XXI, deve venire non può che venire su queste basi: ricerca identitaria, politica federalista inclusiva, ricerca di nuovi mercati mediante l’Economia Alveolare o di ricerca di mercati similari tra Regioni.

Si può arrestare il sovranismo imperante con una ricetta economica di sviluppo regionale, di identificazione delle esigenze politiche e culturali delle Regioni, con la differenziazione strutturale delle Regioni stesse. Il nuovo Marxismo del XXI secolo potrebbe identificarsi con le ragioni della lotta delle minoranze, declinate a ogni livello, da quello economico a quello culturale fino anche a quello linguistico. La difesa del Dio Minore, sempre e a tutti i costi. Il nuovo Marxismo del XXI secolo non può che essere l’unica fonte di risorse ideologiche e politiche al neo-sovranismo e neo-populismo.

Fonti

Ferrara A. Sinistra Dis-Facta, luglio 2008

Ferrara A. Europa a 40 velocità, Frontiere.eu, 18 novembre 2017

Ferrara A. Votare o Vuotare la democrazia, Glistatigenerali.com, 21 maggio 2019