UN 2 GIUGNO PER LA DEMOCRAZIA REPUBBLICANA

Immagine di copertina fonte Quirinale.it

di Franco Astengo |

La democrazia repubblicana nata dalla Resistenza e inverata dalla Costituzione si trova sotto attacco:  succede ancora una volta com’è capitato anche in tempi recenti.

La minaccia di oggi è molto pesante, alimentata da pulsioni razziste di natura di vera e propria destra estrema e dall’idea che dall’”antipolitica” potesse sorgere un nuovo sistema nel quale le grandi contraddizioni sociali fossero cancellate e sarebbe stato possibile governare “per il popolo” saltando quelle intermediazioni politiche e sociali che rappresentano, invece, un’assoluta necessità della democrazia.

Di nuovo allora, proprio in quest’occasione, è il caso di entrare nel merito del significato profondo di ciò che accadde il 2 giugno 1946, snodo decisivo della nostra vita democratica: punto conclusivo della Resistenza e di principio per il progetto della Costituzione.

La nascita della Repubblica Italiana ha rappresentato un evento preciso e datato, e occorre studiarlo valorizzando il fatto che si trattò di una scelta affidata direttamente alle elettrici e agli elettori, dopo lunghi anni in cui gli uomini non avevano esercitato il diritto di voto e le donne non erano mai state chiamate alle urne.

La valutazione circa il valore della scelta referendaria va quindi inserita, oggi a oltre settant’anni di distanza, in un contesto ampio dando maggior rilievo di quanto non ne sia stato dato in precedenza agli aspetti istituzionali legati allo strumento usato del referendum.

In quel voto furono investite, da entrambe le parti quella repubblicana come quella monarchica, grandi cariche emotive popolari la cui presenza non può essere trascurata nel tentativo di comprensione storica del fatto.

E’ cresciuta nel corso degli anni l’attenzione al vissuto degli italiani negli anni della nascita della Repubblica, alle loro condizioni di vita sociale ed economica ed è cresciuta anche l’attenzione verso i “vinti” (spesso nella deteriore dimensione del “revisionismo storico” che pure va analizzato come fenomeno sociale e culturale).

Accenniamo, anzitutto, agli aspetti istituzionali della scelta del 2 giugno 1946, perché fu proprio che attraverso la scelta del Referendum l’Italia voltò pagina davvero senza alcuna possibilità di una sorta di “ripresa di continuità” con l’Italia dei notabili liberali pre-fascisti.

La Repubblica è dunque nata in Italia a seguito di un referendum, con uno strumento per sua natura bipolare.

Forse la predominante attenzione, in molte ricostruzioni riferite agli anni successivi, alla “consociazione tramite la partitocrazia” come elemento caratterizzante del sistema politico italiano, ha reso meno sensibili storici e analisti politici al momento fortemente bipolare rappresentato dal referendum istituzionale.

Ma, paradossalmente, quella scelta bipolare, in cui una parte perse e l’altra ha vinse senza possibilità di compromessi, è stata il frutto di un compromesso dell’Italia Repubblicana con l’Italia monarchica.

Lo strumento referendario, per sua natura bipolare e non consociativo e nel caso specifico di tipo propositivo, servì essenzialmente alla difficile saldatura tra l’Italia repubblicana che stava nascendo e l’Italia monarchica, garantendo il consenso popolare al nuovo ordinamento.

Una risposta necessaria alla realtà di allora, una realtà nella quale c’erano tante cose e tanti vissuti contraddittori difficilmente compatibili: c’erano le forti appartenenze popolari che mobilitavano il Paese, più che in ogni altro momento della sua storia, ma lo dividevano anche in profondità; c’era l’esperienza della Resistenza, con i suoi eroismi e le sue crudeltà; c’era la frattura creata dalla Repubblica sociale.

Tornando alla valutazione relativa alla realtà istituzionale rappresentata, in quel momento, dal referendum si può dunque affermare che, forse più dell’elezione dell’Assemblea Costituente, proprio il referendum servì a realizzare una nuova saldatura, a creare le condizioni per una nuova cittadinanza per tutti gli italiani.

La conferma di ciò ci deriva anche da un’analisi riguardante la campagna elettorale per l’Assemblea Costituente; nella stessa scelta dei candidati, da parte dei partiti, dove prevalse il criterio più propriamente “politico“.

La scelta istituzionale divenne così per i partiti che la sostennero con accanimento, quelli della sinistra comunista, socialista, laica un’occasione per porre i problemi di contenuto e non una mera scelta di bandiera.

Emerge, così, un’ulteriore linea di ricerca: quella del ruolo dei partiti come fattori di educazione politica, e di riflesso, della condizione del cittadino italiano nell’esercizio della sovranità popolare e più concretamente del diritto di voto: il problema della sua informazione, della sua educazione alla politica, dei condizionamenti sulle sue scelte e quindi della libertà di voto.

Nelle contraddizioni di quella fase si può parlare del ruolo dei partiti come di un fattore fondamentale del recupero di un senso della cittadinanza, dell’adesione ai partiti come forma personale di appartenenza alla collettività politica nazionale: si determinò così il modo di essere cittadino dalle origini della Repubblica almeno per tutto il quarantennio successivo.

Una memoria da non disperdere e un monito per l’oggi nel momento in cui si tende a spezzare quel dato costitutivo di una cittadinanza politicamente attiva per ridurla a un servizio passivo di semplice indiscriminata raccolta del consenso ed emarginare, politicamente e socialmente, quanti intendono opporsi a questo progetto: creando così una rottura profonda nella realtà della vita civile del Paese.

Per questo motivo vale la pena ricordare il 2 Giugno al di fuori della ripetitività delle celebrazioni ufficiali, facendo della memoria il punto fondamentale di opposizione a un progetto di svolta autoritaria che sta ponendo in forte discussione le fondamenta della nostra convivenza politica e sociale.