A 100 ANNI DA ROSA LUXEMBURG

di Nicolino Corrado |

Il 15 gennaio 1919, vittima di un’esecuzione sommaria, si spegneva l’ardente esistenza di Rosa Luxemburg.

Ebrea nata in Polonia, militò dal 1898 nella socialdemocrazia tedesca, che lasciò nel 1915, in polemica con la decisione di appoggiare l’entrata della Germania nella prima guerra mondiale, per fondare con Karl Liebknecht la “Spartakusbund” (Lega di Spartaco).

L’elaborazione teorica

Fu la più originale e profonda tra i teorici del marxismo “dopo Marx”. La sua analisi è concentrata sulle nuove forme che ha assunto il capitalismo con il passaggio di secolo. E’ l’epoca dell’imperialismo, dell’espansione coloniale e della formazione dei monopoli.  Secondo la Luxemburg, questa è la fase più matura del capitalismo, quella che lo porterà al suo crollo: l’imperialismo conquista sempre nuovi mercati nei paesi che non sono ancora arrivati al capitalismo, ma questa espansione giunge inevitabilmente a un limite invalicabile; ciò crea le condizioni della crisi definitiva del capitalismo e la transizione, non necessaria ma possibile, dal capitalismo al socialismo, che può avvenire non attraverso la via parlamentare, ma solo con la rivoluzione proletaria (“L’accumulazione del capitale”, 1913).

Il marxismo di Rosa Luxemburg si contrappone sia a quello di Karl Kautsky (detto per la sua autorevolezza dottrinaria “il papa rosso”) sia a quello revisionistico di Eduard Bernstein.

Rispetto a Kautsky, pur ritenendo inevitabile il crollo del capitalismo, non crede nell’inevitabilità del socialismo, che rimane una delle possibilità oggettive della storia; quando il capitalismo sarà crollato, la scelta sarà tra socialismo e distruzione della civiltà; quindi, l’alternativa sarà “socialismo o barbarie”, secondo la sua celebre parola d’ordine (“Juniusbroschure”, 1915). Kautsky è accusato di considerare il rapporto tra le riforme e la rivoluzione in modo meccanico, con la conseguenza che la meta finale del socialismo resta disgiunta dall’azione politica di tutti i giorni della classe operaia. Se il fine del socialismo viene collocato in un futuro indeterminato, la classe operaia non lotterà per far cadere il capitalismo e rimarrà rinchiusa in una visione fatalista e attendista della transizione alla società socialista.

La Luxemburg respinge decisamente anche le tesi di Bernstein, qualificandole come “opportunismo”: le riforme non sono da respingere “a priori”, rappresentando “un pezzo di socialismo” ed anche una “scuola di socialismo”, se non viene spezzato il rapporto dialettico che deve legarle alla “meta finale”, la rivoluzione, che il revisionismo ha cancellato, elaborando una dottrina socialista adatta ai ceti piccolo-borghesi.

Nella Germania post-bellica

Dopo aver trascorso per la maggior parte in carcere gli anni della prima guerra mondiale a causa della sua propaganda pacifista, Rosa Luxemburg viene liberata nell’ottobre del 1918 con la sconfitta tedesca e riprende l’attività politica nella “Spartakusbund”, nella nuova realtà della Germania post-bellica.

La Germania sconfitta è in preda al caos. Moti insurrezionali di soldati e operai esplodono in molte città; unità militari ancora in armi, fedeli solo ai loro comandanti, scorrazzano per il paese.

Il potere legale, dopo l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II il 9 novembre 1918 era stato consegnato dall’ultimo cancelliere imperiale, Von Baden, nelle mani del socialdemocratico Friedrich Ebert, presidente del Consiglio dei commissari del popolo, composto esclusivamente da socialisti. E’ il periodo della cosiddetta “rivoluzione di novembre”. Ma nelle città il potere reale era in mano ai consigli degli operai e dei soldati, che occupavano industrie e operavano requisizioni di cibo da distribuire alla popolazione affamata; mancava, invece, il sostegno delle masse contadine, che rimasero in maggioranza ostili ai movimenti rivoluzionari delle città.

Dopo la smobilitazione dell’esercito, la MSPD (socialdemocrazia maggioritaria) era l’unica grande forza organizzata presente in tutto il paese. I leaders socialdemocratici erano contrari a una rivoluzione di tipo sovietico, di cui era evidente la deriva terroristica e totalitaria (Ebert dichiarò che non voleva diventare “il Kerensky tedesco”) ed erano favorevoli a una democratizzazione del sistema politico nella cornice di istituzioni parlamentari. Si arrivò così a un compromesso fra i capi della MSPD e lo stato maggiore dell’esercito ex imperiale (guidato dai generali Hindenburg e Ludendorff), di tendenze conservatrici e allarmato per la situazione dell’ordine pubblico, che dichiarò la propria lealtà alla repubblica.

Friedrich Ebert, leader della MSPD, partito di maggioranza relativa, sa che la borghesia tedesca è molto tiepida verso il suo governo e che potenti forze reazionarie sono ostili alla repubblica. Perciò, vuole costituire al più presto un regime parlamentare aperto alle richieste socialiste.

Gli spartachisti, invece, si opponevano alla convocazione dell’Assemblea Costituente e si battevano per la Repubblica dei Consigli, visti come elementi di base di una nuova “democrazia socialista”.

Il movimento operaio é diviso: esistono due partiti socialdemocratici (quello maggioritario, la MSPD, e quello indipendente, l’USPD, la frazione di sinistra staccatasi dalla SPD nel 1917) e una galassia di gruppi radicali tra cui emerge la “Spartkusbund”.

Il 9 novembre 1918, in realtà, vengono proclamate due repubbliche tedesche. Una ufficiale, da una finestra del Reichstag, da parte di Philipp Scheidemann, deputato della MSPD e già ministro del governo Von Baden, che ha come modello lo Stato costituzionale e di diritto; l’altra, la “libera repubblica socialista di Germania”, è proclamata nella piazza del Castello di Berlino, dallo spartachista Karl Liebknecht: in essa i tre poteri esecutivo, legislativo e giudiziario sarebbero stati assorbiti, sul modello dei “soviet”, dai Consigli degli operai e dei soldati.

La scelta viene compiuta in occasione del Congresso nazionale dei Consigli degli operai e dei soldati, svoltosi a Berlino il 19 dicembre 1918, in cui i socialdemocratici sono in maggioranza, che indice le elezioni dell’Assemblea Costituente, respingendo con 344 voti contro 98 la proposta alternativa di costituire subito una repubblica socialista fondata sui Consigli. La data delle elezioni per l’Assemblea che si riunirà a Weimar è fissata al 19 gennaio1919.

La “Spartkusbund” il 30 dicembre 1918 si costituisce in Partito Comunista Tedesco (KPD). Il nuovo partito è deciso a boicottare le elezioni del 19 gennaio 1919, collocandosi in una prospettiva rivoluzionaria.

La situazione precipitò tra il 5 e il 6 gennaio 1919: centinaia di migliaia di berlinesi manifestarono contro la destituzione del capo della polizia della capitale, vicino ai gruppi radicali. Il gruppo dirigente comunista decise, a maggioranza, di cogliere l’occasione e di incitare, con scarso successo, i lavoratori a rovesciare il governo. Rosa Luxemburg era contraria all’Assemblea Costituente, ma non era favorevole alla sollevazione, ritenendo che il potere poteva essere preso solo “attraverso la chiara e inequivocabile volontà della grande maggioranza della massa proletaria della Germania” (“Programma del KPD”, 1918); tuttavia, si adeguò alla decisione del partito.

La risposta del governo socialdemocratico fu durissima. Il commissario alla Guerra, Gustav Noske, non facendo pieno affidamento sull’efficienza dell’esercito, reclutò per la repressione corpi di volontari (i cosiddetti “Freikorps”, ossia “corpi franchi”), composti da soldati smobilitati e diretti da ufficiali di orientamento nazionalista, che in pochi giorni stroncarono l’insurrezione, che si rivelò alla fine un maldestro tentativo di colpo di Stato, frutto di una scelta avventurista.

La fine

Rosa Luxemburg, coerente con il principio di unità tra teoria e prassi che aveva posto come bussola della propria attività politica, come Karl Liebknecht non volle fuggire da Berlino, nonostante la grossa taglia pendente sulla testa dei due leaders spartachisti. Si rifugiarono in un quartiere operaio di Berlino, dove la Luxemburg scrisse, il 14 di gennaio, il suo ultimo articolo per la “Rote Fahne” (Bandiera Rossa) intitolato “L’ordine regna a Berlino”.

La sera del 15 di gennaio Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, grazie alle indicazioni di un delatore, furono arrestati da un reparto dei “Freikorps” e trasferiti immediatamente in un albergo, sede di un comando militare. Qui furono torturati e, dopo un breve interrogatorio, Karl Liebknecht fu condotto nel parco di Tiergarten e fucilato, mentre Rosa Luxemburg, fatta uscire dall’albergo, fu spinta con il calcio dei fucili dentro un’automobile e uccisa, all’età di quarantasette anni, a colpi di pistola; il suo corpo fu gettato in un canale e venne ritrovato solo alcuni mesi dopo.

La repressione della rivolta spartachista in Germania, ancor più delle vicende che in Russia avevano portato i bolscevichi al potere, segnò la rottura definitiva fra socialdemocrazia e comunismo. La profonda ostilità reciproca tra i due partiti sarebbe stata una delle cause fondamentali del fallimento della Repubblica di Weimar e della vittoria del nazismo. Per i comunisti, l’assassinio di Rosa Luxemburg divenne il simbolo della contrapposizione antropologica, prima che ideologica e politica, con i socialdemocratici, considerati traditori del proletariato, pronti a utilizzare l’esercito e i corpi franchi per difendere la loro politica di asservimento al capitalismo.

L’eredità di Rosa

La figura di Rosa Luxemburg rimane viva ancor oggi innanzitutto per la passione con cui abbracciò la causa della rivoluzione socialista; una passione totalizzante che assorbì tutte le sue energie, fino all’ultimo respiro di vita.

Il suo fascino nella storia del pensiero socialista deriva anche dalla sua critica del leninismo, sul piano della teoria del partito e di quella della democrazia. La Luxemburg accusa il regime bolscevico di essersi presto capovolto in una dittatura di tipo borghese, sull’esempio di quella dei giacobini durante la Rivoluzione francese, e di aver erroneamente inteso come termini incompatibili democrazia e dittatura: essi invece devono essere congiunti, realizzando una dittatura di classe caratterizzata dalla partecipazione delle masse popolari in una “democrazia senza limiti”:

“La libertà riservata ai partigiani del governo, ai soli membri di un unico partito, siano pure numerosi quanto si vuole, non è libertà. La libertà è sempre soltanto libertà di chi pensa diversamente” (“La rivoluzione russa”, 1918).

E ancora:

“… Lenin sbaglia completamente nella ricerca dei mezzi: decreti, potere dittatoriale degli ispettori di fabbrica, pene draconiane, terrorismo, sono solo dei palliativi. L’unica via che conduce alla rinascita è la scuola stessa della vita pubblica, la più larga e illimitata democrazia, l’opinione pubblica. Proprio il regno del terrore demoralizza. Tolto tutto questo, che rimane in realtà? Lenin e Trotsky hanno sostituito ai corpi rappresentativi eletti a suffragio universale i Soviet, come unica vera rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma soffocando la vita politica in tutto il paese, è fatale che la vita si paralizzi sempre più nei Soviet stessi. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata di stampa e di riunione, senza libera lotta di opinioni, la vita muore in ogni istituzione pubblica, diviene vita apparente ove la burocrazia rimane l’unico elemento attivo. La vita pubblica cade lentamente in letargo; qualche dozzina di capi di partito di energia instancabile e di illimitato idealismo dirigono e governano; tra loro guida in realtà una dozzina di menti superiori; e una élite della classe operaia viene convocata di quando in quando a delle riunioni per applaudire i discorsi dei capi e per votare all’unanimità le risoluzioni che le vengono proposte – è dunque in fondo un governo di cricca, una dittatura certamente, ma non la dittatura del proletariato, bensì la dittatura di un pugno di uomini politici, una dittatura nel significato borghese… C’è di più: una tale situazione porta necessariamente ad un inselvatichirsi della vita pubblica: attentati, fucilazioni di ostaggi, ecc. (“La rivoluzione russa”, 1918).

La grandezza di Rosa Luxemburg sta qui, nella sua intransigente difesa della democrazia politica e nella coscienza che senza di essa ogni conquista sociale è effimera e si trasforma inevitabilmente in privilegio e oppressione. Tutto ciò, però, in Rosa Luxemburg rimane una enunciazione generica, non articolata in una teoria organica: la dittatura di una classe, infatti, con quali forme economiche e istituzioni politiche può garantire una reale democrazia politica? O, piuttosto, non finisce per degenerare anch’essa in una dittatura “tout court”?