PONTE MORANDI EVITATE IL PANTANO

di Giuseppe Scanni

A quaranta giorni dalla tragedia le soluzioni possibili per la martoriata Genova sembrano più lontane e confuse. In un mio articolo spiego come e perché ci stiamo complicando la vita. Lo Stato senza tecnici, opportunamente racchiusi in “riserve” che attutiscono le responsabilità del potere, brancola tra le interpretazioni del Diritto amministrativo e le opportunità della politica; pessimi amministratori continuano a danneggiare il Paese. Non v’è dubbio che i comportamenti incoerenti o, addirittura, scorretti troveranno le adeguate sanzioni. Il Parlamento si sveglia pian piano dal suo lungo sonno ed anche oggi una nuova interrogazione accentra l’attenzione politica e della magistratura su Vittorio Armani e su alcuni suoi collaboratori. La questione, però, non è rappresentata dalle sanzioni, piuttosto dal conformismo di una parte rilevante del gruppo dirigente della nazione che accentua la crisi etica ed economica che traversa la nostra democrazia. Fortunatamente l’aria stagnante garantita del consueto anticiclone ci ha liberati ed aria fresca, nuova, comincia ad allontanare lo smog.

Il parto di decreti legge in Italia è stato spesso travagliato. Così, nessuna meraviglia se l’andamento dell’iter approvativo del Decreto ‘ponte’, poi divenuto ‘Genova’, poi allargatosi arditamente nello scivoloso terreno delle concessioni autostradali e del potere del Governo di revocarle se non sospenderle, non si è ancora concluso. Il testo forse oggi arriverà al Quirinale, ma non c’è esperto (sia in scienze giuridiche che delle costruzioni) che sia molto ottimista sulla effettiva capacità della legge di risolvere problemi separati e diversi in un unico decreto.

La questione autostrade

La Commissione Ue non ha potuto dare al Governo un preventivo via libera ad inserire, nella norma che dovrebbe contenere misure di sostegno per Genova, un’affermazione esplicita, ed una autorizzazione implicita, a revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi). Se è vero che il Governo ha concordato con la Regione Liguria ed il Comune di Genova le misure per il sostegno a imprese, trasporto pubblico e portualità, Palazzo Chigi e Porta Pia non riescono a risolvere il dilemma costruito da loro stessi con l’espressa necessità di estromettere Aspi come costruttore, ma non come solo finanziatore dell’opera. Aspi insiste a voler ricostruire, possibilmente da sola, il ponte, sia per motivazioni giuridiche (rendere leggera la presumibile costituzione come parte civile degli enti locali e delle vittime), sia per una strategia tesa a difendere nel tempo futuro la concessione di quel ramo di autostrada oggi in discussione. Non aderisce alla tesi di divenire anticipatrice delle spese a fronte del rimborso del danno futuro perché, al limite, è pronta a dichiararsi come creditrice dello Stato concedente per il lavoro di ricostruzione urgente e necessario di un’opera pubblica a lei affidata in gestione.

La questione ‘straordinarietà’ della ricostruzione

La parola ‘deroga’, a seconda delle simpatie politiche, ha diverse interpretazioni ma significa indubbiamente che le leggi esistenti non prevedono i casi straordinari. Come se il legislatore, nella sua auto dichiarata onnipotenza, abbia escluso per principio che il Bel Paese possa essere turbato da catastrofi naturali o procurate dalla mano dell’uomo. Significa anche che, nella vita accidentata dei viventi, esistono comunque due categorie delle quali tener conto: quelle sottoposte a legislazione ordinaria e quelle ‘in deroga’. La cultura della deroga ha colpito negli anni tutti, per un verso o per il contrario. Stigmatizzata l’eccezionalità per Berlusconi ricostruttore di disastrati territori terremotati, e accusata la Legge Obiettivo di perseguire tempi veloci nell’esecuzione delle opere, lasciando così l’ombra di affidamenti di lavori troppo celeri per non destare sospetti, gli stessi corrucciati difensori della normalità giuridica amministrativa del sistema appaltistico dichiararono prima “criminogena” la legge Obiettivo; poi esaltarono le virtù operative grazie all’eccezionalità garantita al commissario Sala nella costruzione della nuova Fiera e nella realizzazione dell’Expo; tacquero, o per lo meno negarono di aver partecipato in qualsiasi veste alla redazione della nuova legge sugli appalti (che è finita senza padri, persino l’ex vice ministro Nencini vagheggia quando se ne parla) ed anzi nelle ultime settimane i corrucciati difensori della normalità iniziano a criticarla.

Il decreto non affronta la questione cruciale di quanto costerà il ponte

Il decreto non affronta un problema cruciale: quanto costerà il ponte? Uno dei migliori tecnici italiani mi ha, chiedendo come è suo diritto l’anonimato, sottolineato l’assurdità della presunta cessione pro solvendo di un credito fissato arbitrariamente dal commissario. Se è pro solvendo, chi garantisce l’eventuale mancato pagamento da parte di Aspi? Il commissario decide in autonomia su modalità di demolizione e sul tipo di progetto del nuovo ponte? È lo stesso fare un ponte strallato o sospeso o il ponte mausoleo di Piano, un ponte in cemento armato o in acciaio? Oppure, come suggerisce Enzo Siviero, unanimemente conosciuto come uno dei massimi esperti di ponti nel mondo, si può ricostruire solo il pezzo crollato, ripristinando una grande opera di ingegneria, invece di sostituirla: è possibile, sostiene Siviero, rimpiazzare il pilastro caduto al suolo con una sua replica rovesciata, una doppia ‘A’ che aprendo le braccia, a metà del viadotto spezzato, verso il cielo si tramuta in una doppia ‘V’.

Il problema è economico/finanziario, e di tempi di realizzazione (l’ipotesi Siviero si può edificare in un anno), ma anche ambientale. O si opera in deroga anche sulla normativa ambientale? Non sarebbe necessario prevedere la predisposizione di un piano da parte del commissario, per le modalità di demolizione, il progetto, le modalità per la scelta di demolitori, progettisti e costruttori del nuovo ponte? Un piano da far approvare a Regione, Comune, Governo e, perché no, anche ad Aspi/concessionario. Il commissario non dovrebbe presentare ogni 3 mesi una relazione sullo stato di realizzazione? Povero commissario se viene lasciato da solo davanti a problemi enormi ad alto rischio personale. La struttura assai farraginosa del commissario, che ha tutti i poteri ma è obbligato a scegliere i suoi collaboratori nell’ambito della pubblica amministrazione, è una sorta di mission impossible per centomila euro lordi annui, un po’ più della metà del salario che riceve Rocco Casolino. Con quali tempi? Ricordo nella mia attività professionale che il commissario per la viabilità in Sardegna, sconvolta dalle alluvioni, ebbe bisogno di diverse settimane per l’apertura della contabilità speciale. Il commissario per la viabilità era un commissario di protezione civile. A Genova, invece, la pratica dei due commissari, presidente della Regione e quello che nascerà dal decreto quasi certamente creerà complicazioni, visto che uno è un politico con idee ben chiare, ma diverse da quelle del Governo. In Sardegna una vasto territorio, ferito gravemente in più parti, fu sanato e ricostruito in meno di due anni. Molti tecnici, dinnanzi alla quasi certezza di contenziosi giuridici, disperano che per Genova due anni saranno un tempo sufficiente.

La questione del Commissario-Stato costruttore

Il povero super commissario che accetterà per amor di patria molte pene dovrebbe, secondo l’opinione largamente diffusa della maggioranza parlamentare, affidare l’appalto dei lavori (quali?) a due società sostanzialmente dipendenti dal Governo: la Fincantieri, ammi
nistrata da Giuseppe Bono, attraverso una sua minuscola società Infrastructure che ha messo in portafoglio l’anno scorso (quando è nata) la bellezza di quattrocentomila euro, cioè una somma irrisoria. Si dice che Infrastructure stia realizzando due ponti in Belgio. Che tipo di ponte si possa costruire con duecentomila euro non è dato sapere. Anche ItalFerr, storica azienda di progettazione e costruzioni ferroviarie del Gruppo Ferrovie dello Stato, è stata chiamata da una parte del Governo a partecipare al lavoro. È un fatto che Infrastructure non è titolare dei requisiti tecnici particolari ed indispensabili che vengono assegnati, secondo una direttiva europea, attraverso specifiche certificazioni, definite SOA, in ragione di precisi parametri che giustificano la realizzazioni di opere infrastrutturali diversificate per dimensioni e per funzionalità.

Secondo le norme in vigore, le ingegnerie nautiche, ferroviarie e civili sono diverse fra loro ed infatti Fincantieri e Infrastructure sono abilitate con OG7 ad opere marittime e lavori di dragaggio; con OG11 agli impianti tecnologici; con OS18-A ai componenti strutturali in acciaio, ma non hanno abilitazione per ponti, strade, autostrade.

ItalFerr non risulta in elenco. Ora, c’è, naturalmente una possibilità, ove vi fosse una regolare gara, che Fincantieri si associasse con un’impresa che possa garantire con le SOA la necessaria assistenza durante tutto il lavoro assegnato dalla gara. Questo istituto giuridico si chiama ‘avvalimento’, deve essere dichiarato nei capitolati di gara prima dell’inizio dei lavori. È facile immaginare la marea di ricorsi ove, senza gara, venisse chiamata a realizzare un lavoro una società priva di SOA che, a posteriori, nomina, secondo necessità, una società terza per avvalimento. Nella stessa situazione, anche se per ragioni diverse, si trova ItalFerr. Secondo un noto cacciatore di informazioni, il giornalista Stefano Cingolani, la scelta governativa di Italferr e di Fincantieri avrebbe a che fare con la narrazione della grande campagna in corso di ri-nazionalizzazioni dell’impresa pubblica e che nella partita, che si svolgerà un po’ alla volta negli anni a venire, tutta una serie di aziende e capi azienda hanno indossato magliette dei partiti in maggioranza. Così Bono e Fincantieri sono accreditati, come Cassa depositi e prestiti, alla sfera di influenza del Movimento 5 Stelle; le Ferrovie e l’Anas alla Lega.

Gli umani non possono comprendere perché il ministro Toninelli farebbe finta di non capire gli sforzi dell’amministratore di Anas Armani, anzi auspica di rivoltare Anas come un calzino. E Armani, scavalcato nella sua azienda da un diretto collaboratore, dice Cingolani, si “è messo a disposizione” dei 5 Stelle. Mentre la Lega, tranquillamente divisa tra il molto ortodosso vice ministro Rixi e un sottosegretario aperto a nuove-vecchie liaisons, accetterebbe una candidatura espressa dal vertice euroitaliano di Forza Italia.

La questione anas

Quanto abbiamo scritto e raccontato in questi quaranta giorni invita chi può parlare ad ascoltare lo stridio dei fatti. Senza tecnici, ingegneri, esperti reali di strade e ponti, il Governo, cioè lo Stato, cioè noi, è indifeso. Più che a nazionalizzare secondo colori è bene che chi conosce le materie sia messo in condizione di difendere le regole ed i programmi che attraverso gli strumenti democratici della nazione sono proposti alla realizzazione. I danni provocati dall’allontanamento di Anas nel sistema di vigilanza e regolazione autostradale si è ben visto. Il tentativo di ridurre l’azienda delle strade a dispensatrice delle sue concessioni pubbliche a privati interessati è, oggi, un’ipotesi meno debole di qualche tempo fa. Si sono persi tre anni. I rischi che corriamo con decreti scritti da persone per bene, giuridicamente preparate ma non esperte della materia, può essere gravissima per il paese. La capacità di spesa di Anas, per esempio, in soli tre anni si è ridotta di due terzi. Una gestione che non è riuscita neanche a spendere i settecento milioni messi a disposizione dallo Stato per debiti e contenzioso, col rischio, diventato certezza, di fallimenti delle aziende. È venuto il momento di un cambio di passo e di un cambiamento all’Anas e quindi dell’Anas. Con tutto quello che ne consegue.

Fonte: Nuovo Corriere Nazionale