XXIV CONGRESSO NAZIONALE DEL PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria). Firenze 11-17 apr. 1946. Nella foto si riconoscono da sinistra: Antonio Greppi (partigiano, primo sindaco socialista di Milano dopo la Liberazione), Sandro Pertini, Lelio Basso, Oreste Lizzadri, in piedi il regista Remigio Paone.
Per una valutazione sufficientemente esatta della forza organizzata delle strutture del Partito socialista italiano nei primi anni del dopoguerra, occorre risalire alla relazione organizzativa presentata al XXIV congresso (Firenze, aprile 1946) del PSIUP.
Dalla relazione al XXIV congresso, presentata da Rodolfo Morandi, risulta che, alla fine del 1945, il numero degli iscritti complessivi del partito “si aggirava sul 700.000”, ma nel corso dei primi due mesi dell’anno, secondo quanto asseriva Morandi, “l’incremento era stato assai forte in molte province e il complesso degli iscritti risulta in aumento continuo”.
I dati complessivi dei voti congressuali danno infatti 860.300 iscritti, con un incremento, quindi, di oltre 160.000 iscritti nei primi due mesi del 1946.
Da questi dati l’organizzazione del PSIUP si presenta, nei primi anni del dopoguerra, come l’organizzazione di un grande partito di massa. Osservava Morandi: “Il nostro partito si classifica in ogni caso fra i più grandi organismi del sistema politico italiano“.
Per quel che riguarda la distribuzione degli iscritti la relazione organizzativa ci offre alcuni interessanti elementi di valutazione. Fra le regioni che hanno il maggior numero di iscritti in cifre assolute è in testa la Lombardia, con oltre ben 160.000 iscritti, seguita dall’Emilia con 150.000 iscritti e quindi dalla Toscana.
Morandi riportava anche alcuni dati relativi al rapporto fra iscritti e popolazione, dai quali risulta sempre in testa la Lombardia, con rapporto percentuale di 2,76%, seguita dall’Umbria con 2,30%, dall’Emilia con 2,26% e dalla Toscana con 2%; le percentuali apparivano invece incredibilmente basse per la Sardegna con lo 0,62%, per la Sicilia con lo 0,68%, per le Puglie con lo 0,87%, per il Lazio con l’l% e per le Marche con lo 0,96%.
La distribuzione degli iscritti per federazione ci dà innanzi a tutte le federazioni quella di Milano con oltre 53.000 iscritti, seguita da quella di Torino con 30.000 iscritti, da quella di Brescia con 22.000 iscritti, da quella di Corno con 20.000 iscritti, di Belluno con 19.000 iscritti, di Napoli con 16.000, di Pesaro con 17.000.
Per quanto sommari ed incompleti siano i dati citati sulla distribuzione geografica delle forze del Partito, risulta peraltro un profondo squilibrio tra la forza delle regioni settentrionali e quella delle altre regioni, in particolare del Mezzogiorno e delle isole. I dati numerici sono infatti confermati anche dai dati riferiti dal Morandi sulle percentuali fra iscritti e popolazione, per i quali accanto alla Lombardia, che è la più forte regione anche come numero di iscritti, si collocano alcune regioni centrali come l’Umbria e la Toscana. Ben poco invece possiamo giudicare dai dati riportati, per quel che riguarda il numero degli iscritti alle federazioni.
Incompleti appaiono anche gli elementi di giudizio relativi alla composizione sociale degli iscritti. “Purtroppo – rileva Morandi – solo poche federazioni hanno fornito elementi in proposito e quindi i nostri calcoli sono mal sicuri nella generalizzazione che se ne fa”. Comunque da tali dati “risulterebbe che il nostro partito è composto per il 62% di operai, il 13,5% di contadini, e il 5% di impiegati, l’l% di professionisti e il 19% di donne e giovani”.
Se una scarsa importanza hanno questi dati per la loro evidente generalità, un elemento di più esatta valutazione è invece quello che riguarda la forza di attrazione del PSIUP sulle nuove generazioni.
Afferma Morandi infatti che “un indice caratteristico della vitalita del partito è quello che misura la sua forza d’attrazione sui giovani. Le schiere dei giovani che seguono il partito sono numerose e ciò è di buon auspicio per il domani“.
E numero totale degli iscritti alla federazione giovanile ascenderebbe, “stando ai dati fornitici dalle singole federazioni, sugli 80-90.000 (la sola Lombardia dà una cifra di 25.000 iscritti)”.
Tale cifra tuttavia è da accogliere con beneficio d’inventario, poiché, essendo stata distribuita per il PSIUP una tessera unica per i giovani e gli adulti, un sicuro controllo sulla cifra dei giovani non si poteva avere. Un valore molto relativo e da attribuirsi anche ai dati forniti da Morandi sulla composizione sociale delle leve giovanili del partito, che dava il 40% di operai, il 30% di contadini, il 30% di studenti. Le cifre che riguardano il movimento femminile erano altrettanto insicure, ma già da esse si poteva rilevare la scarsa presenza di iscritte del Partito: infatti le aderenti al movimento femminile sommavano a non più di 40.000.
In conclusione il PSIUP si presentava nel suo complesso come un forte movimento politico di massa con una larga presa sugli strati operai e con una notevole forza d’attrazione sulle nuove leve giovanili, che venivano alla vita politica direttamente dalla esperienza fascista.
I problemi della struttura del partito
L’organizzazione di questo movimento di massa presenta sin da allora dei problemi di notevole difficoltà. Affermava Morandi che “l’organizzazione libera di masse così ingenti non aveva precedenti nella storia dei partiti… Nessuno poi pensa che un partito come il nostro, che organizza un milione di aderenti, possa sostenersi di comizi, né della vita di una unica sezione e di alcuni circoli di centro, che contano magari molte decine di migliaia di iscritti, ma richieda un’organizzazione molto più complessa e articolata“.
I più grossi problemi organizzativi che si presentarono al Partito socialista italiano di unità proletaria sorgevano peraltro proprio in relazione alla forte presa che il partito presentava nei confronti delle masse operaie, e che ne spostava l’equilibrio nella distribuzione geografica delle forze, tutto a favore delle regioni maggiormente industrializzate. L’organizzazione degli iscritti operai in gruppi aziendali appare, a quanto risulta dalla relazione Morandi, come un fatto tipico “di un assestamento spontaneo che il partito ha cercato in questo recente periodo. Alcune cifre ci possono dire quale vastità e importanza aveva assunto già l’organizzazione aziendale nel giro di alcuni mesi, e ci consentono di valutare i rapidissimi progressi a cui è destinata”.
Organizzazione aziendale
Passando ad elencare i dati dell’organizzazione aziendale, la relazione rivelava l’esistenza, nel complesso di 392 nuclei aziendali con 20.000 iscritti nella federazione milanese, alla quale facevano seguito quella di Brescia con 49 nuclei aziendali e 6:700 iscritti, quella di Firenze con 80 nuclei aziendali e 5.000 iscritti, quella di Venezia con 52 nuclei aziendali e 5.200 iscritti, quella di Bologna con 42 nuclei aziendali e 1.000 iscritti, quella di Roma con 70 nuclei aziendali e 3.000 iscritti.
Per le altre situazioni provinciali non vengono forniti dalla relazione dati precisi, ma una impressione generale che se ne ricava è quella di uno sviluppo crescente dell’organizzazione aziendale nelle imprese industriali, alla quale fa seguito la volontà politica della direzione “di estendere l’organizzazione dei nuclei alla campagna… la generalizzazione e l’attivazione razionali dell’organizzazione aziendale danno al nostro partito le più promettenti prospettive di sviluppo”.
La composizione sociale degli organizzati del partito era quindi, in quell’epoca, in diretta funzione dei tipi di organizzazione di massa, che il partito sviluppa tendenzialmente in forme spontanee e alle quali la direzione assicura la sua opera di stimolo.
La questione del rapporto fra spinta spontanea delle masse e volontà politica di assicurare a questa spinta la forma organizzativa e permanente di struttura di massa è risolta in una valutazione che è alla base della caratterizzazione del partito come espressione di una esperienza popolare di organizzazione nella società civile, e quindi non soltanto sul piano delle strutturazioni territoriali ma anche su quello dell’organizzazione sui luoghi di lavoro. Di qui deriva lo sviluppo rapido, sia del numero degli iscritti, sia delle forme organizzative tipiche: quelle dei nuclei aziendali, che erano in un certo senso sostitutive della organizzazione degli interessi di classe che, prima del fascismo, era stata la caratteristica propria dell’organizzazione socialista, e aveva preceduto l’organizzazione stessa del partito, essendosi manifestato in forme spontanee di strutturazione nelle leghe delle cooperative, dei sindacati, delle mutue. Il partito di massa che risorge dopo la parentesi del fascismo trova nella tendenza spontanea delle masse ad organizzarsi, la fonte di una nuova esperienza organizzativa nella formazione dei nuclei all’interno dell’impresa.
Dominato dalle lotte fra le fazioni, dall’antagonismo delle correnti, il PSIUP, dopo il congresso di Firenze, non era in grado di approfondire i risultati positivi, né di stabilire i limiti di tale esperienza. La lotta interna politica ha il sopravvento sulla valutazione delle esigenze oggettive dell’organizzazione di classe e il moto di espansione del partito nella società italiana subisce una battuta d’arresto che si riflette anche sulla presa elettorale del partito. Infatti al successo socialista nelle elezioni del 2 giugno del ’46, fece riscontro una sconfitta elettorale nelle elezioni amministrative del novembre dello stesso anno.
Le correnti
Al congresso del PSIUP dell’aprile del ’46 un elemento determinante è rappresentato dalla ripartizione degli iscritti nelle correnti nazionali presenti che in sede congressuale sono: la corrente detta di Base, capeggiata da Nenni, Basso, Cacciatore e Morandi; la corrente di Iniziativa socialista, guidata da Zagari, Vassalli e Bonfantini; la corrente Pertini-Silone; la corrente di Critica Sociale; e una mozione locale della federazione genovese.
La corrente di Base si presentava su posizioni unitarie. Le altre correnti erano correnti autonomiste. Il risultato finale al congresso segnò la prevalenza della concentrazione sulla mozione di Iniziativa e Pertini-Silone, che raccolsero 300.062 voti, insieme con la mozione di Critica Sociale con 83.781 voti, e la mozione della federazione genovese con 14.262 voti; complessivamente i voti delle correnti autonomiste sommavano a 388.105 voti. Alla corrente di Base andarono 338.346 voti. Non è possibile ricostruire i dati relativi ai congressi provinciali, in quanto i resoconti del partito, di quell’anno, risultano del tutto incompleti, anche perché vi fu un notevole numero di mozioni locali di accordo fra le varie correnti a livello provinciale.
Comunque le correnti autonomiste prevalsero ad Aosta, ad Asti, a Biella, a Bologna, a Genova, ad Imperia, a Savona, a Modena, a Reggio Emilia, a Roma, ad Ascoli Piceno, a Orvieto, a Bari, a Livorno, a Terni, a Frosinone, a Latina, ad Avellino, a Caserta, a Napoli, a Potenza, a Siracusa; mentre le posizioni unitarie, per i dati che è stato possibile rintracciare, ebbero la prevalenza a Novara, a Como, a Cremona, a Varese, a Bolzano, a Forli, a Firenze, a Lucca, a Pisa, a Siena, a Perugia, a Catanzaro.
Come rileva Maurizio Penzo, nel suo volume “Dalla liberazione a Palazzo Barberini”, il panorama che offriva il PSIUP era quello di un partito totalmente diviso “con una contrapposizione molto marcata, non solo di tesi politiche, ma di apparati di corrente, con accuse ricorrenti e reciproche di perseguire fini politici non dichiarati”.
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