IL DISCORSO POLITICO CONTEMPORANEO: SCELTE RETORICHE E STILISTICHE (II capitolo – 3.)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO”

CHIETI – PESCARA

DIPARTIMENTO DI LETTERE, ARTI E SCIENZE SOCIALI

CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA, LINGUISTICA E TRADIZIONI LETTERARIE

L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA

RELATORE CORRELATORE

Chiar.mo Prof. Emiliano Picchiorri Chiar.ma Prof.ssa Maria Teresa Giusti

LAUREANDO

Dario Lorè

Matricola n. 3171312

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

 

Come già visto nei paragrafi precedenti, alcuni fenomeni linguistici particolarmente ricorrenti durante la Prima Repubblica sono presenti in maniera costante anche a partire dal 1993-1994. I cambiamenti non sono stati radicali ma graduali e hanno permesso che gli studi sul linguaggio della politica potessero seguire un percorso scandito dettagliatamente anno dopo anno.

In questo paragrafo saranno affrontate tutte le peculiarità del linguaggio dei politici dopo Tangentopoli, in special modo dal punto di vista retorico e stilistico. Per fare ciò vengono utilizzati dei materiali che costituiscono il corpus a cui Dell’Anna e Lala hanno fatto riferimento: tre tipologie testuali differenti (interviste a giornali, relazioni congressuali e interventi parlamentari) di sei esponenti politici ampiamente influenti nel periodo storico di riferimento (Berlusconi, Bertinotti, Bossi, Fassino, Fini e Rutelli).[1]

Uno dei fenomeni che continua a essere attuale e a cui nessuno rinuncia è l’anafora, universale retorico sempre buono per ripetere, ribandendolo, uno stesso concetto o per collegare tra loro argomenti disparati:

BERLUSCONI (Relazione conclusiva del I Congresso Nazionale di Forza Italia, Milano, 18/04/1998): <<Vi voglio bene perché siete quella parte dell’Italia che non ha piegato e non piegherà mai la schiena di fronte all’arroganza del potere; vi voglio bene perché nei vostri occhi brilla l’orgoglio di far parte di Forza Italia (…); vi voglio bene perché nel vostro sguardo brilla la luce di un Paese serio, operoso (…)>>;

(Intervento al Senato della Repubblica, seduta del 18/06/2001): <<Vorrei, invece, (…) cogliere il senso complessivo di questa svolta necessaria (…) Vorrei parteciparvi lo spirito che ci muove e che ci guiderà nell’azione di Governo. Vorrei, anzi voglio, assumere qui davanti a voi (…) l’impegno ad essere il Presidente del Consiglio di tutti gli italiani>>.

BOSSI (Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 3/02/2000): <<C’è il declino dei parlamentari o addirittura la loro sterilizzazione (…). C’è il despotismo illuminato, ci sono le authority proliferanti; c’è la mistica della sovranità di mercato (…)>>;

(Intervento al Senato della Repubblica, seduta del 27/11/2002): <<Venti sanità, venti organizzazioni scolastiche, venti polizie locali: un dramma>>.

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Pesaro, 18/11/2001): <<Noi vogliamo batterci per una globalizzazione che si appunto opportunità e occasioni per ogni donna e ogni uomo che viva su questo pianeta, noi vogliamo batterci per una globalizzazione che non sia la globalizzazione soltanto dell’economia e dei mercati ma anche la globalizzazione dei diritti, noi vogliamo batterci per una civilizzazione della globalizzazione (…)>>.

RUTELLI (“La Repubblica”, 11/05/2001): <<Abbiamo fatto un investimento per vincere oggi (…). Abbiamo fatto un investimento in una situazione (…). Abbiamo creato le condizioni strutturali (…)

(Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma 20/04/2001): <<Era successo che contro tutti i pronostici – proprio come è oggi – contro avversari agguerriti ed aggressivi – proprio come è oggi – contro una terribile sproporzione (…)>>.

Molto diffusa anche l’anadiplosi, frequente nel discorso comune, parlato e scritto, che può aiutare a ritrovare il filo del discorso in lunghi enunciati e che nel linguaggio politico serve soprattutto a ottenere l’effetto argomentativo di imprimere con insistenza nelle menti dei destinatari un’idea già formulata:

BERTINOTTI (Intervento alla Camera dei Deputa, seduta del 28/04/2000): <<Signori Presidenti, signore e signori deputati, noi abbiamo dato un giudizio molto severo su questa crisi così scarsamente comprensibile, una crisi che, alla luce delle parole del Presidente del Consiglio, continua a essere largamente comprensibile (…)>>.

BOSSI (Intervento al Senato della Repubblica, seduta del 27/11/2002): <<È vero che la necessità del federalismo l’ha sentita prima il Nord, non è una colpa, per motivi in parte storici, in parte socio-economici; motivi che sono ingranati tra di loro>>.

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Pesaro, 18/11/2001): <<Per questo il nostro partito si impegna a sollecitare in Parlamento e nel paese un’azione dell’Italia affinché si dispieghi un’efficace azione volta a dare soluzione ai conflitti locali, e soprattutto vi sia una forte azione italiana, forte in sede europea e sul piano bilaterale perché al medio oriente si dia finalmente una soluzione di pace. Una soluzione di pace capace di riconoscere i due diritti che lì coesistono>>.

FINI (Relazione di apertura della Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<…oggi abbiamo rapporti con altre forze europee che credono nell’Europa delle patrie, un’Europa dove ogni Stato (…)>>.

È generale anche l’uso del tricolon o discorso triadico, adoperato nel linguaggio oratorio per dare enfasi al discorso e realizzato il più delle volte tramite un’aggettivazione tanto ricca quanto puramente esornativa:

BERLUSCONI (“Liberal”, 20/10/2003): <<Alla fine della legislatura l’Italia sarà molto cambiata: e chiederemo di nuovo la fiducia degli italiani perché cinque anni non bastano a rimettere in piedi ciò che era stato per lungo tempo trascurato per incuria, per inettitudine, per arroganza della sinistra>>;

(Relazione al Consiglio Nazionale di Forza Italia, Roma, 22/02/2002): <<Non rievochiamo quelle vicende per autocelebrarci, ma innanzitutto per rendere onore al popolo italiano, che ha dimostrato di essere un grande popolo: libero, vivo, forte; amante della sua indipendenza morale, geloso della sua sovranità, capace di tener testa agli indottrinatori>>.

BERTINOTTI (Relazione di apertura del Comitato Politico Nazionale, Roma, 25/10/2003): <<Credo che siamo chiamati ad una scelta tra tre alternative: (…); la terza, sviluppare la linea che abbiamo adottato, fornendolo l’appoggio più convinto, più diffuso, più partecipato>>.

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n°14/2001): <<Tutto questo ha convinto la Casa delle Libertà a travolgere ogni oscurantismo, menzogna, e strumentalizzazione per gettare copiosamente il seme del federalismo in questa legislatura>>.

RUTELLI (Relazione di apertura all’Assemblea Nazionale della Margherita): <<Voteremo domani in modo consapevole, libero e convinto>>;

(Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 03/07/2002): <<Troppe idee opposte tra loro, troppe promesse, troppi interessi particolari da difendere; un Governo che aveva venduto sogni sta porta l’Italia alla paralisi!>>.

Tra le figure di ripetizione rientra anche il poliptoto, spesso ricorrente sotto forma di poliptoto temporale, forse non a caso: la ripetizione dello stesso in forme temporali diverse consente al destinatario di cogliere un senso di continuità e di coerenza nel tempo e nelle intenzioni dell’emittente:

BERTINOTTI (Relazione di apertura al Comitato Politico Nazionale, Roma, 25/10/2003): <<Ho spesso sostenuto e lo sostengo ancora che anche la ritualità ha un suo ruolo (…)>>; <<Siamo stati e siamo dentro al conflitto sociale, dalle questioni del lavoro a quelle delle pensioni>>.

BOSSI (Relazione al Congresso Ordinario della Lega Nord, Assago, 01/03/2002): <<Faccio notare che le principali cause del dissesto sono quelle che noi stiamo cambiando. Dipendevano e dipendono dall’esistenza di uno Stato centralizzato (…)>>.

FINI (Relazione di apertura della Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<E allora militanti, simpatizzanti, dobbiamo vincere, vinceremo: per il nostro popolo, per la nostra Patria, per la nostra Italia>>;

(Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 19/05/1999): <<Questa guerra era ed è una guerra giusta, pur nei limiti (…)>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma, 20/04/2001): <<Giuliano Amato le ha ricordate, io le ripeto da questo palco e le ripeterò quando avrò responsabilità di governo (…)>>.

L’esemplificazione sopra riportata dimostra quanto le figure retoriche di ripetizioni (alle quale si possono aggiungere quelle analoghe dell’accumulazione, dell’iperbole, dell’enumerazione) siano abbondantemente utilizzate nel linguaggio politico contemporaneo, che in ciò sembra non sfuggire alle tecniche manipolative proprie del politichese tradizionale. Le ripetizioni servono a tenere alta l’attenzione del destinatario, facilitando anche la comprensione del messaggio.

Tuttavia anafora, anadiplosi, tricolon, poliptoto temporale servono anche a ornare il discorso, a esprimere con forza la passione e la veemenza proprie dei dibattiti politici, contribuendo all’efficacia dell’argomentazione e al prestigio estetico del discorso stesso.

Tipici del discorso politico sono poi due argomenti che hanno grossa presa sui cittadini, quindi posso catalizzare il consenso. Si tratta dei “luoghi della quantità” e dei “luoghi della qualità” così definiti da Perelman e Olbrechts Tyteca nel loro saggio sull’argomentazione: <<intendiamo per luoghi della quantità i luoghi comuni che affermano che una cosa vale più di un’altra per ragioni quantitative>>; <<i luoghi della qualità compaiono nell’argomentazione, e si possono cogliere nel modo migliore quando si contesta la virtù del numero>>.[2]

Di seguito alcuni esempi dai testi analizzati da Dell’Anna e Lala:

BERLUSCONI (“Il Corriere della Sera”, 10/05/2001): <<So che avrò difficoltà, ma la domanda finale è sempre quella: chi se non noi?>>;

(Relazione Conclusiva del I Congresso Nazionale di Forza Italia, Milano, 18/04/1998): <<Ecco perché non abbiamo voluto ripetere, stancamente, i riti abituali dei vecchi partiti, perché noi siamo e ci sentiamo diversi, perché Forza Italia è diversa: è una forza di libertà, la forza del popolo della libertà>>.

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Pesaro, 18/11/2001): <<E allora il problema è come costruire una politica che non parli – uso questa espressione per capirci – solo ai tuoi, ma parli anche agli altri e sia capace di dimostrare agli altri che noi siamo più credibili e più convincenti nel governare questo Paese. Questo volevo dire quando ho detto “attenzione, noi non siamo loro, ma dobbiamo anche dimostrare di essere meglio di loro. Non ho detto “noi non siamo loro, perché noi siamo meglio di loro”, non ho questa presunzione. Io ho detto “noi non siamo loro”, e questo va sempre reso visibile e percepibile come elemento di distinzione>>.

FINI (Relazione di apertura al II Congresso Nazionale di Alleanza Nazionale, Bologna, 04/04/2002): <<Spero che la mia relazione lo abbia dimostrato: oggi al governo come ieri all’opposizione, il fine ultimo di Alleanza Nazionale resta l’Italia. La sua crescita economica, il suo benessere sociale, il suo ruolo internazionale, la sua identità culturale. Sappiamo di non essere i soli ad avere questa nobile aspirazione. Pensiamo di essere i più tenaci e i più convinti per poterla realizzare>>.

RUTELLI (“La Repubblica”, 25/08/2003): <<Io penso a una grande e autorevole lista in cui partecipano possibilmente tutti gli altri partiti dell’alleanza, ma che raccolga comunque anche grandi personalità, dando rappresentanza compiuta al valore aggiunto espresso dal meglio della società italiana: esponenti della cultura, dell’impresa, dell’associazionismo. Qui non servono solo i numeri, serve anche qualità>>;

(Relazione di apertura all’Assemblea Nazionale della Margherita, 14/11/2003): <<Tocca a noi dell’Ulivo farlo, perché nessun altro lo farà davvero. Tocca a noi dell’Ulivo farlo, perché l’onore non può essere restituito all’Italia neanche da quegli europeisti che, in minoranza nel centrodestra, hanno accettato il giogo del comando di Berlusconi. Le due cose stanno in una contraddizione insanabile, e politicamente scandalosa>>.

Il linguaggio politico ricorre non solo a figure retoriche basate sulla manipolazione delle parole o delle strutture propriamente linguistiche, ma anche a “figure di pensiero”, relative all’organizzazione e alla forma del contenuto.[3]

Frequente il ricorso alle interrogative retoriche con cui il leader politico sembra rivolgersi direttamente al destinatario per chiamarlo in causa. Le domande retoriche equivalgono a vere e proprie affermazioni, analoghe perciò a enunciati assertivi nella loro forza di atti linguistici indiretti: la domanda è fatta non per chiedere, ma per affermare o negare qualcosa; l’attenzione verte sul senso e sul valore dell’enunciato. Le interrogative retoriche appaiono di solito in corrispondenza dei momenti più caldi del discorso, quando il tono della polemica tende a innalzarsi:

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Pesaro, 18/11/ 2001): <<E allora il vero problema è come far sì che gli stati accettino di cominciare a trasferire, progressivamente e gradualmente, quote di sovranità. È un processo complicatissimo di passaggio di sovranità dagli stati a qualcosa che sta sopra, per governare i processi che hanno dimensione più larga di loro. D’altra parte non è quello che stiamo facendo in Europa? Che cosa stiamo facendo in Europa se non costruire una sovranità europea sovraordinata alle sovranità nazionali? Non abbiamo in questi 40 anni costruito nel nostro continente esattamente questo processo?>>.

FINI (Relazione di apertura della Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<Chi si chiede più, ad esempio, quale ruolo abbia oggi AN in Europa? E chi può chiedere più se AN potrà mettere la sua firma in calce alla riforma della Costituzione quando anche noi abbiamo contribuito all’elezione del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi? Chi potrà chiedersi ancora se e quando la Destra sarà in grado di vincere con i propri uomini dopo le affermazioni di Giovanni Pace in Abruzzo e Francesco Storace nel Lazio e chi può domandarsi ancora se le nostre proposte abbiano o meno legittimità dopo che Mirko Tremaglia ha vinto la sua quarantennale battaglia in favore degli italiani all’estero che ha inserito nella Costituzione il diritto di voto per i nostri connazionali?>>.

Alcune tecniche retoriche sono delle vere e proprie “fallacie” argomentative, così chiamate poiché non seguono le regole della corretta argomentazione, ma consistono in argomentazioni sleali e non attinenti alle tesi messe in discussione.[4] <<Si potrebbe affermare che la degenerazione della retorica prenda ora due strade nuove rispetto al passato, abbandonando la paralizzante abbondanza di oscuri nessi ossimorici (come il proverbiale “convergenza delle parallele” di Aldo Moro) per ricorrere soprattutto ad alcuni generi di fallacies>>[5]. Alcuni di tali falsi argomenti sono stati elencati e classificati già dalla retorica antica.[6]

Una delle fallacie argomentative più in voga è il ricorso agli endoxa, cioè il richiamo ai valori più largamente condivisi, alle opinioni comuni più diffuse e difficilmente criticabili:

BERLUSCONI (Relazione conclusiva del I Congresso Nazionale di Forza Italia): <<Crediamo nei valori della nostra tradizione cristiana, nei valori irrinunciabili della vita, del bene comune, della libertà di educazione e di apprendimento, della pace, della solidarietà, della giustizia, della tolleranza verso tutti, a cominciare dagli avversari. E crediamo soprattutto nel rispetto e nell’amore verso chi è più debole, primi tra tutti i malati, i bambini, gli anziani e gli emarginati. Desideriamo vivere in un paese moderno dove siano valori sentiti e condivisi la generosità, l’altruismo, la dedizione, la passione per il lavoro, e al tempo stesso – da liberisti – crediamo negli effetti positivi per tutti della competizione e della concorrenza>>.

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n. 14/2001). <<Noi riteniamo la famiglia come punto-base della società. E non l’individuo. L’idea di società ha bisogno del bene comune, della responsabilità verso gli altri, di una giustizia sociale venute meno in tempi di gretto individualismo>>.

RUTELLI (“La Repubblica, 11/05/2001): <<Noi stiamo con la maggioranza delle donne e degli uomini di questo paese. Con chi ha bisogno. Con chi chiede sicurezza, certezza per il domani. Con chi ha una famiglia da tirare su, un futuro da costruire per i propri figli, anziani o malati da assistere con amore. Con i bambini che bisogna proteggere da ogni violenza. Con i nostri ragazzi e le nostre ragazze, che vogliono studiare ma soprattutto vogliono una prospettiva all’altezza delle proprie aspirazioni>>; <<Allora voglio ripetere anche qui, anche a voi, che noi dobbiamo essere molto attenti all’allarme sull’insicurezza diffusa nelle nostre grandi e piccole città, all’indignazione di molte famiglie italiane, per una criminalità troppo spesso impunita>>;

(Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 21/06/2001): <<Promuoveremo, in Parlamento, gli obiettivi di innovazione e di coesione sociale che la grande parte degli italiani condivide; terremo un atteggiamento costante di amore per l’Italia e di rispetto delle istituzioni>>; <<L’opposizione avrà molto lavoro da fare. Vogliamo difendere e migliorare i servizi pubblici, la scuola, la sanità (…); vogliamo che la necessaria flessibilità nell’ingresso al lavoro non scaraventi milioni di persone nella precarietà e nella sfiducia; vogliamo continuare a modernizzare il paese e renderlo ancora più competitivo>>.

Nei loro discorsi i leader politici assicurano al destinatario la trasparenza del proprio operato e la legalità, garantiscono alla Nazione e alle famiglie maggiore sviluppo, ammodernamento, efficienza degli apparati burocratici, miglioramento delle condizioni di vita, diminuzione delle tasse, lotta alla disoccupazione, e altri tematiche sociali di interesse comune. Come potrebbe il destinatario criticare tali argomenti? Come potrebbe accorgersi che sono solo semplici promesse, come spesso capita, e non illudersi che diventino autentiche conquiste? Di fronte ai problemi sociali, la retorica e la lingua puntano sull’emotività del pubblico e forse anche sulla sua buona fede.

Sempre presenti nei testi del corpus sono l’argumentum ad personam e l’argumentum ad verecundiam.[7]

L’argumentum ad personam consiste nel tentativo di conquistare il consenso altrui non attraverso l’argomentazione della tesi in discussione, bensì minando la credibilità dell’avversario con l’offesa, la battuta velenosa, l’insinuazione:

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n°14/2001): <<[Un ministero della famiglia] c’era già nel Governo Berlusconi. Poi quando sono arrivate le sinistre l’han subito tirato via, perché la parola famiglia gli faceva venire i brividi>>.

FASSINO (Relazione all’Assemblea Nazionale della Margherita, Bologna, 14/11/2003): <<Ancora più ignorato, da parte della Casa delle Libertà, è il secondo principio costitutivo di un sistema che voglia definirsi di democrazia liberale: la divisione del potere nella società. Un principio che implica la netta demarcazione tra il potere politico e gli altri poteri reali, mentre il centrodestra ha costruito in questi anni la sua forza e per certi versi la sua stessa identità su un’abnorme concentrazione di potere, perfino fisica, nelle mani del Presidente del Consiglio: una concentrazione di potere – insieme politico, economico e mediatico – immensa, sconosciuta in questa misura in qualunque altro Paese democratico. (…). L’esasperazione personalizzazione è stato il tratto saliente anche della linea di politica internazionale seguita in questi due anni e mezzo dal Governo Berlusconi. Non si è trattato solo dell’ennesimo riflesso politico di un dato caratteriale. Si è trattato anche e soprattutto del ricorso obbligato all’unica risorsa – l’immagine del leader – che poteva surrogare la mancanza, nella Casa delle Libertà, di una comune visione di politica internazionale>>.

FINI (Relazione di apertura alla Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<An non si rifugia nel melenso buonismo di chi è pronto ad accettare il relativismo morale, di chi è sempre pronto ad attribuire la colpa di comportamenti inaccettabili alla società corruttrice. Questo lo lasciamo fare alla Sinistra>>.

RUTELLI (“La Repubblica”, 11/05/2001): <<Berlusconi è nervosissimo! Non ha passato il test psico-attitudinale da primo ministro: è stizzoso, oscillante, fa marcia avanti e marcia indietro (…). Oggi si ritrova appeso, per sperare di vincere, ai deputati e ai senatori di Bossi. È un dramma, per lui>>;

(“La Repubblica”, 25/08/2003): <<Berlusconi è un disco rotto. Ha perso qualunque autorevolezza tra gli altri italiani: ormai ha paura persino a passeggiare per le strade o a parlare davanti a una platea non addomesticata. Ma ha perso anche qualunque autorità all’interno della sua maggioranza: siamo andati in vacanza sentendolo parlare prima di cabina di regia per l’economia, e ora nessuno ne sa più niente, e poi della grazia a Sofri, ed è bastata la parola di un suo ministro per bloccare tutto>>.

L’argumentum ad verecundiam è un modo di contrastare l’opinione dell’avversario o di trattare attorno alla propria non attraverso ragionamenti che abbiano diretta attinenza con la tesi discussa, da attaccare o difendere, ma ricorrendo a citazioni autorevoli, fondando l’argomentazione sull’autorità di una fonte:

BERLUSCONI (“Liberal”, 20/10/2003): <<Contrapponendoci al pacifismo assoluto e unilaterale abbiamo giustamente detto che “non c’è pace senza libertà”. Ma è altrettanto vero che “non c’è pace senza sviluppo”. Ricordo le parole di Paolo VI: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Per noi la lotta per ridurre le diseguaglianze economiche tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri del pianeta non è solo doverosa dal punto di vista etico e sociale: essa è anche la più grande chance di aprire una nuova era di benessere e di sicurezza per tutti>>.

BERTINOTTI (Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 07/02/2003): <<È stato detto autorevolmente, nei giorni scorsi, che la sola guerra ammissibile nel mondo di oggi è quella alla fame. Luis Ignacio da Silva, il popolare Lula, che guida il Brasile ha detto, a Porto Alegre come a Davos: verrà il giorno in cui tutti avranno un piatto in cui cibarsi ogni giorno>>.

FINI (Relazione di apertura al II Congresso di Alleanza Nazionale, Bologna, 04/04/2002): <<Solo ritrovando i tratti comuni e quelli distintivi di una lunga storia è possibile acquisire coscienza di una cittadinanza europea. Alla fine del 18° secolo il conservatore Edmund Burke inneggiò ai valori della civiltà europea, “quel sistema di vita e di educazione più o meno uguale in tutta questa parte del mondo, che crea somiglianza di consuetudini sociali e di forme di vita e per cui nessun europeo potrebbe essere completamente esule in alcuna parte d’Europa”. L’Europa è anche l’occidente, perché ha portato una parte importante di se stessa oltre l’oceano. Russel Kirk definiva l’America “la proiezione di Gerusalemme, Atene, Roma e Londra”. Il valore dell’occidentalismo e il particolare legame con l’America è l’altra grande verità che ci deve accompagnare nel prossimo futuro. È il concetto di Magna Europa caro all’europeista Henri Brugman, ripreso da George Bush in un discorso pronunciato a Varsavia nel quale il Presidente americano rendeva tributo all’eredità europea>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma, 20/04/2001): <<Lo voglio dire con le parole di tre persone che stanno a cuore a noi riuniti qui dentro. “Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto ovunque si annidi (…)”. Enrico Berlinguer, anno 1981. “Il senso della solidarietà sociale non può venire che dall’esercizio dei diritti individuali (…)”. Piero Gobetti, anno 1924. C’è essenziale bisogno di riaffermare e difendere la nostra Carta Costituzionale, soprattutto nei diritti inviolabili della persona. (…)”. Questo è Oscar Luigi Scalfaro, in un messaggio che mi manda oggi (…)>>.

Le citazioni e le frasi d’autorità, soprattutto se riferite a esponenti di spicco del quadro storico-politico del passato, italiano o straniero che sia, conferiscono valore a quanto affermato dai leader. Lo stesso discorso politico diventa più autorevole, quasi obiettivo e razionalmente inconfutabile.

Se la frequenza di figure retoriche costituisce un evidente tratto di continuità tra il linguaggio politico del passato e quello contemporaneo e se altri espedienti retorici, pur più evidenti nel linguaggio politico degli ultimi anni, hanno una lunga tradizione nel linguaggio politico e nel discorso argomentativo in generale, altri fatti retorici e stilistici sembrano connotarsi come propri della lingua politica più recente.

Un fattore indispensabile per la comunicazione politica attuale è la ricerca dell’obiettività, del dato sicuro e oggettivo. I politici mirano a dare consistenza e validità alle proprie affermazioni facendo ricorso ai numeri, poiché cifre e numeri danno l’impressione dell’obiettività e della concretezza; il loro prestigio sembra derivare infatti non più solo da una certa bravura retorica di sapore umanistico, ma dalla capacità di usare abilmente cifre e statistiche e di misurarsi in prima persona con conoscenze e problemi di tipo economico.[8]

Il carattere di tecnificazione economica e di corredo numerico ha acquisito ultimamente una portata generale, costituendo un elemento di novità nelle scelte espressive dei nostri politici. Non si tratta, a dire il vero, di un fenomeno assolutamente nuovo, ma della sensibile accelerazione di un processo in atto da qualche decennio[9], favorita anche dalla frequenza di governi tecnici e di politici economisti. Il dato oggi più rilevante, sicuro elemento di novità, è che l’accostamento al tecnicismo si riscontra non solo nelle scelte espressive degli esponenti della sinistra, tradizionalmente più vicine al sottocodice dell’economia e del linguaggio sindacale, ma anche in quelle della destra, ad esempio di Forza Italia (e in qualche misura della Lega Nord, rappresentante degli interessi dei piccoli imprenditori del Nord), che ha fatto leva sulla provenienza aziendale e non squisitamente politica dei propri esponenti. Si vedano alcuni esempi:

BERLUSCONI (“Il Corriere della Sera”, 10/05/2001): <<Noi riteniamo che intervenendo nei primi cento giorni con una sferzata all’economia – tipo[10] la riedizione della legge Tremonti, la riduzione graduale delle aliquote Irpef e l’abolizione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni – gli introiti dell’erario diminuiranno di circa 70 mila miliardi>>.

BOSSI (Relazione all’Assemblea Federale Nord Padania, Milano, 09/11/2003): <<Dopo l’11 settembre c’è stata la rottura geopolitica del mondo ed il mondo è entrato in una grave incertezza. Due guerre, la crisi della Borsa più pesante di quella del 1929, stiamo forse uscendone adesso, il WTO che ha fatto partire un commercio senza frontiere e senza regole; l’Euro che senza la moneta unitaria di riferimento di carta, ha fatto perdere coscienza del giusto rapporto tra moneta e merci ed ha permesso ai soliti furbacchioni di arrotondare con i costi i loro guadagni; l’aumento dell’inflazione. Il cambio che non abbiamo più e che è finito in USA e Cina. La politica di bilancio che non possiamo più fare perché c’è il patto di stabilità con l’Europa. Le crisi locali, Fiat, Cirio, per dirne alcune, da mancato controllo della Consob e degli altri che dovevano controllare tutti assieme tanti fattori negativi, nessuno li aveva mai visti. Eppure nessuno ha fatto una politica migliore del nostro Governo, tranne gli USA, ma loro hanno l’Impero. Fanno il deficit e lo fanno pagare agli altri. Noi dobbiamo pagarcelo: il deficit alla fine dell’anno diventa debito pubblico e non possiamo andare avanti in quella direzione, già ostruita dal vecchio debito pubblico. Eppure non abbiamo messo le mani nelle tasche dei cittadini. Abbiamo resistito, anche con questa Finanziaria, non solo alla polemica strumentale dell’opposizione ma anche a chi, all’interno del Governo, proponeva la guida collegiale dell’Economia e la chiusura, da subito, delle pensioni logicamente di anzianità, che all’80% sono al Nord, evidentemente per prendere i soldi. Oltre che sul versante economico, questo Governo ha fatto numerose altre riforme nel campo reale (pensioni, infrastrutture, scuola)>>.

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Pesaro, 18/11/2001): <<Perché l’ONU è una società per azioni, di cui gli azionisti sono gli Stati nazionali, e se gli azionisti non capitalizzano, l’amministratore delegato di quella società, cioè il segretario generale dell’ONU, non investe>>.[11]

RUTELLI (Relazione di apertura all’Assemblea Nazionale della Margherita, Bologna, 14/11/ 2003): <<Nel paradiso promesso da Berlusconi scopriamo che il paese è precipitato dal 26esimo al 41esimo posto nella graduatoria della competitività stilata dal World Economic Forum: 15 posizioni perse nei due anni successivi all’ultimo governo dell’Ulivo>>; <<Nel paradiso promesso da Berlusconi scopriamo un calo del 4,3 per cento in meno nel potere d’acquisto dei salari dei lavoratori italiani, dal 2002 al 2003>>; <<L’avanzo primario, cioè l’avanzo del bilancio dello Stato al netto della spesa per gli interessi è inferiore al 2 per cento, quando l’Ulivo l’aveva lasciato al 6,7 per cento>>; <<Nel paradiso promesso da Berlusconi scopriamo poi 18 miliardi di euro di gettito fiscale in meno rispetto alle previsioni del 2003>>; <<Nel paradiso promesso da Berlusconi scopriamo infine un dato veramente amaro, che ci riporta alle notizie di attualità: quel taglio di oltre 110 miliardi di euro dal fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica, un terzo secco in meno di quanto era disponibile solo lo scorso anno>>.

Gli esempi confermano una tendenza generale del linguaggio politico contemporaneo, quella alla fusione con altri linguaggi settoriali da cui prelevare nuclei lessicali e semantici. Si spiega in questa direzione anche un altro espediente retorico del linguaggio politico: il ricorso a figure retoriche, soprattutto metafore, tratte dal settore militare e medico. Anche qui, nessuna novità: <<il settore bellico, medico-farmaceutico e gastronomico sono stati gli spazi di sconfinamento metaforico più frequentemente visitati dai protagonisti della scena politica italiana, per oltre un secolo, fin dai primi anni postunitari, quando si cominciarono a compilare i primi dizionari specializzati di questo lessico tecnico>>.[12] Già nel 1888 d’altronde, il grammatico Raffaello Fornaciari metteva in evidenza l’eccessiva frequenza di metafore e traslati militari, medico-scientifici e gastronomici nel linguaggio politico e giornalistico.[13] Questo stesso repertorio metaforico è stato poi largamente sfruttato dalla lingua di Mussolini e del fascismo.[14]

Nel corpus analizzato da Dell’Anna e Lala l’apparato metaforico bellico e medico-scientifico è evidente in larga misura negli interventi di Bossi[15], adattandosi bene ai suoi toni di lotta e generalmente provocatori, ma non manca affatto nei testi di altri esponenti politici:

BERTINOTTI (Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 28/04/2000): <<Una piattaforma delle destre richiederebbe alle sinistre una battaglia aperta per sconfiggere questa operazione. Noi ci impegneremo in questo senso e lo facciamo anche chiedendo la non partecipazione al voto per far fallire questa operazione francamente antidemocratica: ma l’altra sinistra dove sta[16]? Sta nella stessa prigione che ha dato luogo a questo vostro Governo>>.

BOSSI (“Il Corriere della Sera”, 5/11/2003): <<Punto primo: il Governo Berlusconi non è il governo degli affari. Dunque se qualcuno ha nostalgia o rimpiange un Palazzo Chigi invaso da faccendieri, avventurieri e farabutti di ogni risma lì a bivaccare per difendere il loro portamonete o le loro brame di potere (…)>>

FINI (“Il Corriere della Sera”, 11/07/2003): <<Berlusconi lo metta in riga, è fuori da ogni logica che con il tre per cento dei voti pretenda di imporre le scelte>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma, 20/04/2001): <<Avete visto qual è l’argomento ricorrente della campagna del mio avversario. Io ho messo in riga la Lega Nord, ho reso docile Bossi. O meglio, diceva di averli messi in riga[17]. In questi giorni mi pare che il bastone del comando lo abbia preso qualcun altro>>.

Accanto alle metafore belliche abbondano quelle sportive che, già note al linguaggio politico[18], hanno conosciuto una notevole crescita in termini quantitativi a partire dalle elezioni del 1994, quasi catalizzate dall’immagine della nota “discesa in campo” di Berlusconi. Il suo passaggio dall’imprenditoria alla politica ha portato a un’utilizzazione massiccia del lessico sportivo, e calcistico in particolare, nella lingua della politica.[19] Anche in questo caso, come per l’apertura al lessico dell’economia, non si tratta di un’assoluta novità, perché metafore come corsa a ostacoli, abbassare la guardia, serie B, a tutto campo, dare forfait, stare in panchina sono entrate da tempo nel linguaggio dei politici, cui si accorda bene la terminologia agonistica tipica della competizione sportiva (difesa, attacco, schieramento). Le scelte di Berlusconi hanno piuttosto consolidato un uso già attestato, dandogli nuovo vigore. Il leader di Forza Italia, a partire dalla scelta stessa del nome del movimento cui ha dato vita, sin dall’inizio ha giocato pesantemente e con scaltrezza su un’emozione che non poteva e non può non essere di tutti, il tifo per la nazionale di calcio; nei mesi della sua prima candidatura e vittoria in politica erano infatti imminenti i campionati mondiali del 1994.

Nel corpus preso in considerazione le metafore sportive ricorrono però non solo nei testi Berlusconi, ma anche in quelli dei vari leader studiati, verso i quali Berlusconi aveva agito da riattivatore di abitudini linguistiche già fatte proprie dalla retorica politica. La compresenza di linguaggio politico e linguaggio sportivo è poi un modo per risultare comprensibili a un pubblico più ampio e per avvicinare la propria lingua a quella quotidiana, anch’essa ormai infarcita di lessico e modi dire sportivi e calcistici. Si vedano gli esempi seguenti, tratti in gran parte da testi relativi alla campagna elettorale della primavera 2001, in periodo di aperta e più che mai accesa sfida tra “squadre”:

BERLUSCONI (Intervento al Senato della Repubblica, seduta del 18/06/2001): <<…vengono messe in campo nuove occasioni di sviluppo, potenzialità immense di conoscenza e di ricerca>>; <<Nel nuovo millennio la frontiera dell’uguaglianza, della giustizia sociale e della libertà si gioca e si giocherà in gran parte sul terreno della cultura e della formazione>>; <<Siamo convinti invece che sarebbe dannoso interrompere in corsa la riforma universitaria detta delle “lauree brevi”>>.

FASSINO (“L’Unità, 14/12/2003): <<Nel momento di crisi che l’Europa attraversa, tocca al centrosinistra italiano e europeo rimettere in campo una strategia europeista forte>>; <<Dobbiamo essere generosi, soprattutto con tutti quei cittadini che ci chiedono una proposta che sia in grado di battere Berlusconi. A questi dobbiamo rispondere. Per farlo dobbiamo mettere in campo due scelte che sono tra loro collegate>>.

FINI (Relazione di apertura alla Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<Oggi è infatti il Meridione ad avere nelle mani le sorti dell’Italia, perché al Nord Rutelli sa che con l’alleanza tra Polo e Lega la partita è chiusa per lui>>.

RUTELLI (“La Repubblica, 11/05/2001): <<Ma sul versante della squadra, come classe dirigente il centrosinistra batte il centrodestra 10 a 0>>; <<La partita si gioca sul filo di poche migliaia e talvolta centinaia di voti>>.

Le metafore belliche e sportive dimostrano, ancora una volta, che le scelte linguistiche e stilistiche dei politici mirano a effetti fatico-emozionali e non alla persuasione ragionevole. A tale esigenza e a quella di vicinanza alla lingua quotidiana rispondono anche le metafore e i traslati tratti dal settore medico-scientifico (con il ricorso a termini della medicina e della scienza largamente penetrati nel linguaggio di ogni giorno e noti al parlante comune), gastronomico e motoristico e le metafore spaziali e del movimento:

BERLUSCONI (“Il Corriere della Sera”, 10/05/2001): <<…non possiamo permetterci un presidente che invece di spingere per il cambiamento, adopera il freno>>; <<Governare è scegliere le priorità: noi prevediamo di agire muovendoci in cinque direzione di marcia, che chiamiamo le cinque missioni (…)>>.

BERTINOTTI (“La Repubblica”, 17/06/2003): <<E con il disegno di legge delega 848bis che contempla, sia pure in modo parziale, le modifiche dell’art. 18, come si fa a fermare il rullo compressore di Berlusconi?>>; <<Il dialogo con l’Ulivo è un sentiero molto stretto. Andare a una ricerca programmatica sarà complesso e non dovrà essere un dialogo a due ma tra molti, con i movimenti, le articolazioni del sindacato>>.

FINI (Relazione di apertura della Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<L’unica cosa che conta per loro è che il partito vada al potere, a costo di portare avanti questo accanimento terapeutico nei confronti (…)>>; <<La Democrazia europea di D’Antoni fa discendere una terapia del tutto sbagliata, a meno che dietro non vi sia l’obiettivo dei due forni di Andreotti>>.

RUTELLI (“La Repubblica”, 11/05/2001): <<Berlusconi è nervosissimo, altro che tranquillo! Non ha passato il test psico-attitudinale da primo ministro: è stizzoso, oscillante, fa marcia avanti e marcia indietro (…)>>.

Tra le metafore spaziali e del movimento risultano ben attestate quelle della nave e del viaggio in mare o della tempesta e del vento, che richiamano immagini analoghe:

BERLUSCONI (Intervento al Senato della Repubblica, 26/06/2003): <<Se abbiamo realizzato molto in una situazione difficile, controcorrente, resa cupa dal terrorismo internazionale e dai venti freddi che soffiano sull’economia e sui mercati finanziari, sui consumi e sulla fiducia della gente nel futuro>>; <<Abbiamo avuto per due anni un Governo stabile e una rotta sicura nella tempesta internazionale>>.

BERTINOTTI (Relazione di apertura al Comitato Politico Nazionale, Roma, 25/10/2003): <<L’apertura di relazione, la caduta di muri e ostacoli, la nostra apertura mentale che ci consentono, se la realizziamo, di muoverci in mare aperto, nel quale anche il movimento nel suo complesso può crescere>>.

BOSSI (Relazione all’Assemblea Federale Nord Padania, Milano, 09/11/2003): <<Non dobbiamo diventare strateghi del nulla. Noi non fabbrichiamo i velieri nella bottiglia. (…). I salotti buoni e decrepiti che tracciano la rotta per i velieri in bottiglia, i Palazzi del potere centralista (…) vorrebbero ancora vivere alle spalle del Nord che lavora, del Sud che vuole crescere>>.

FASSINO (Relazione all’Assemblea Nazionale della Margherita, Bologna, 14/11/2003): <<Governo e maggioranza, che non possono negare l’evidenza, danno la colpa alla difficile congiuntura internazionale. E in effetti, non c’è alcun dubbio che la stagnazione non sia un fatto solo italiano e che tutta l’Europa navighi in acque difficili. (…) E invece, proprio quando Berlusconi e Tremonti, giunti sulla plancia di comando, hanno dato ordine di issare le vele, è caduto il vento. E in piena bonaccia, si sono resi conto di aver lasciato a terra i remi. Non si erano chiesti, prima di vincere le elezioni, che cosa avrebbero fatto in caso di arresto della crescita. Da allora sono passate tre manovre finanziarie e di bilancio, tutte e tre di attesa, nella speranza che l’economia riprenda a camminare. Nel frattempo la nave è ferma, ma l’equipaggio ha usato alberi e pennoni, vele e corde per ripararsi dal caldo e dal freddo, per cucinare e per vestirsi. E non è affatto sicuro che quando il vento tornerà a spirare, la nave sarà in grado di riprendere il mare>>.

Alcuni procedimenti discorsivi ricorrenti nella retorica politica non sono propriamente figure retoriche. A proposito della distinzione dei discorsi politici in polemici e didattici, si sono individuate come proprie dei discorsi polemici le procedure testuali che si manifestano tipicamente nel ricorso a deittici e nell’uso della forma personale nelle frasi. È il caso del lessico dell’affettività spesso frequenti nei discorsi di Berlusconi: partito dell’amore, vi amo, vi abbraccio, ecc. Questi sono soltanto alcuni dei procedimenti più ricorrenti nel linguaggio politico, volti a rafforzare il legame tra emittente e destinatario contestualizzando il messaggio nella concreta situazione comunicativa:

BERLUSCONI (Relazione conclusiva al I Congresso Nazionale di Forza Italia, Milano 18/04/1998): <<Il mio grazie forte, affettuoso, per essere venuti così in tanti, in trecentomila, da tutte le regioni d’Italia, a portare qui, a questo corteo della libertà, a questa festa della libertà, la vostra speranza, la vostra fiducia, il vostro entusiasmo. Siete venuti qui da ogni parte del Paese a rappresentare l’Italia che lavora, l’Italia che produce, l’Italia che risparmia (…). Siete qui, siamo qui, tutti insieme, a confermare la nostra grande speranza, (…). Siete qui, siamo qui, Forza Italia è qui, come baluardo insormontabile della democrazia e della libertà>>.

BERTINOTTI (Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 07/02/2003): <<Signori Presidenti, deputate e deputati, mi rivolgo ad ognuno di loro perché penso che il fatto che questa seduta non si concluda con un voto costituisca una menomazione della sovranità del Parlamento>>; <<Basterebbe contro questa guerra una ragione etica>>; <<Gli Usa hanno usato sostanzialmente per questa guerra due argomenti già falsificati dalla realtà>>; <<Oggi Colin Powell dice una cosa su cui dovreste riflettere. Dice che è difficilmente comprensibile, per le persone normali, capire le ragioni per cui si può accedere a questa guerra. Signori del Governo, la democrazia è l’esercizio delle persone normali. Se le persone normali capire le ragioni della guerra, la democrazia chiederebbe che non venisse fatta. In realtà, questa guerra gli Stati Uniti d’America l’avevano decisa da tempo, per ragioni inconfessabili>>; <<Se il Consiglio di sicurezza dell’Onu desse via libera a questa guerra, la guerra, per ciò stesso, non diventerebbe più accettabile: sarebbe l’Onu che diventerebbe più lontana dai popoli, dai bisogni di questo mondo, e diventerebbe, sostanzialmente, prigioniera della potenza nordamericana e screditata>>; <<E se non bastano le ragioni etiche e quelle politiche, allora – lo dico a voi, che tante volte avete usato questo argomento -, c’è il tema della sicurezza. Avete spesso usato questo argomento per una costruzione di legge e di ordine, per negare e limitare dei diritti, ed oggi sembrate non vedere cosa mette a rischio questa guerra. Non c’è nel mondo un conflitto di civiltà, ma questa guerra può costringere il mondo nella strettoia di un conflitto che può diventare di civiltà. Il terrorismo è nemico dell’umanità, ma voi, con questa guerra, invece che contrastarlo e combatterlo, lo alimentate>>.[20]

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Pesaro, 18/11/2001): <<Io voglio qui ringraziare, come ho fatto in apertura, non per una ragione formale ma proprio in relazione a come si è sviluppato il dibattito in questi tre giorni, Giovanni Berlinguer, Enrico Morando e tutti i compagni del gruppo dirigente; ciascuno a questa tribuna è venuto a parlare liberamente perché siamo un partito libero, di donne e di uomini liberi. Ciascuno ha sottolineato le tesi e le opinioni che riteneva essenziali e utili per il buon esito della nostra linea. E allo stesso tempo ciascuno si è sforzato qui di lanciare da questa tribuna un messaggio di unità, che parlasse a chi era in sala, ma anche al Partito e al Paese, dando il segno di un Partito, appunto, che da questo congresso trae alimento per rilanciarsi come una grande forza che vuole avere una funzione nazionale e che, in primo luogo, si mette al servizio dell’Italia>>.

FINI (Relazione di apertura alla Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<Cari amici di Napoli, (…) grazie di cuore per l’accoglienza e per il calore che mi avete riservato. Voglio rivolgere anche un ringraziamento alle decine e decine di ragazzi e ragazze, di militanti, che con il loro impegno volontario hanno consentito che questa seconda conferenza programmatica si realizzasse e hanno dimostrato ancora una volta che la politica si fa con la passione>>; <<Abbiamo scelto Napoli come sede della seconda conferenza programmatica di An perché Napoli non solo è la capitale del mezzogiorno, ma anche la città dove l’inganno della Sinistra emerge con maggiore evidenza. Qui bisogna far ritrovare fiducia alla gente (…)>>.

L’insistenza su avverbi spaziali e temporali (qui, oggi), l’uso frequente di aggettivi possessivi e dimostrativi e di pronomi personali che definiscono i partecipanti alla comunicazione (vostro, vostra, questa, noi, ecc.) consentono l’emittente politico di produrre un forte coinvolgimento del destinatario, calando il messaggio nell’ego della comunicazione. Ciò si verifica soprattutto se il destinatario è un ascoltatore: nei discorsi pronunciati in congressi e manifestazioni di piazza o nell’aula parlamentare, tanto più se trasmessi dal canale televisivo, la contestualizzazione e il coinvolgimento del destinatario sono favoriti anche dalle strategie paralinguistiche messe in atto dagli oratori.

Interessanti risultano le parti iniziali dei discorsi congressuali (si pensi tra l’altro a come, in tali contesti, le scelte discorsive e gli espedienti testuali siano accompagnati da opportune e accattivanti intonazioni della voce e da mirati atteggiamenti mimetici del volto e del corpo):

BERLUSCONI (Relazione conclusiva al I Congresso Nazionale di Forza Italia, Milano, 18/04/1998): <<Care amiche, cari amici, care azzurre, cari azzurri, vi saluto, vi ringrazio e vi abbraccio tutti>>.

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Pesaro, 18/11/2001): <<Care compagne e cari compagni, cari amici, cari ospiti. Desidero anch’io ringraziare i compagni di Pesaro che hanno avuto l’onore (…)>>.

FINI (Relazione di apertura alla Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<Cari amici di Napoli, (…), cari amici delle forze politiche della Casa delle Libertà, cari amici delle delegazioni straniere, grazie di cuore per l’accoglienza e per il calore che mi avete riservato>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma, 20/04/2001): <<Care amiche, cari amici, grazie di essere qui, oggi>>.

Oltre che per la presenza di deittici che delimitano le circostanze spazio-temporali, le parti iniziali di tali discorsi si caratterizzano per la ricorrenza dell’allocuzione con cui il parlante politico si rivolge al destinatario, che viene chiamato in causa in prima persona. Non si tratta ovviamente di un elemento innovativo, poiché l’allocuzione è un atto linguistico della retorica di tutti i tempi e come tale appartiene da sempre al linguaggio politico.[21] Ciò che più interessa è come dall’incipit di un discorso politico si possa riconoscere il tipo di destinatario e il linguaggio concettuale e stilistico da lui privilegiato: riguardo agli esempi riportati, un destinatario molto ben ideologicamente delimitato fin dall’inizio nei  <<care azzurre, cari azzurri>> di Berlusconi e <<care compagne, cari compagni>> di Fassino, generico nei <<care amiche, cari amici>> di Rutelli, appena determinato per i <<cari amici delle forze politiche della Casa delle Libertà>> in Fini. Le distinzioni tra un tipo e l’altro di allocuzione risiedono in considerazioni di carattere storico, come nel caso di Fassino, o di carattere emotivo, come in Berlusconi, o in semplici considerazioni pratiche, di opportunità o convenienza comunicativa, come in Fini o in Rutelli.

I <<cari compagni>> di Fassino implicano un riconoscimento immediato del destinatario, poiché “compagno” appartiene da sempre alla storia linguistica e comunicativa della sinistra italiana. Non è dunque semplice espediente fatico, che serva a dare avvio alla comunicazione, ma specifica subito il contesto in cui il messaggio politico viene prodotto, anticipandone le peculiarità semantiche e retoriche. L’allocuzione stessa finisce per diventare parte integrante e imprescindibile del messaggio, non solo formula introduttiva.

Un carattere simile, anche se ideologicamente diverso e non poggiato su radici storiche, presenta l’allocuzione di Berlusconi, in cui “azzurri” permette una pronta collocazione politica del destinatario, per l’immediato richiamo alla simbologia evocata dal colore azzurro e la facile ed emotivamente efficace relazione che così si stabilisce tra l’allocutivo e il nome del movimento cui lo stesso destinatario appartiene.

La scelta, infine, del generico “amici” da parte di Fini e di Rutelli è probabilmente dettata dalla mancanza di allocutivi che siano al tempo stesso evocativi della sfera politica dei movimenti di cui essi sono a capo e semanticamente trasparenti.

Al di là dei motivi che portano alla scelta dell’allocutivo, è interessante notare che l’allocutivo secco e diretto (“compagni”, “amici”, “azzurri”) è sempre evitato a favore della formula più leggere e più morbida aperta da “care”, “cari”. Tale tipo di allocuzione ha la funzione retorica di impostare la comunicazione su un rapporto di familiarità e vicinanza ideologica e umana, rapporto già dato per certo dall’emittente, anzi proprio in ciò risiede buona parte della sua forza retorica: ulteriore segnale del passaggio dal paradigma della superiorità al paradigma del rispecchiamento.

L’allocazione iniziale è semanticamente presente anche nei discorsi parlamentari, in cui, tuttavia, essa perde la sua carica enfatica e retorica per ridursi a semplice formula, espressione obbligatoria e cristallizzata (<<Signor Presidente, onorevoli colleghi>>, <<Signor Presidente, onorevoli senatori…>>, <<Signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi…>>, ecc.).

Per quanto concerne il parlato in senso stretto è interessante notare come nelle interviste i politici tendano alla mimesi del discorso orale, cioè l’imitazione, il tentativo di riproduzione e non riproduzione fedele del parlato, a causa degli inevitabili e spesso volutamente ricercati processi di normalizzazione che la trascrizione del parlato comporta.

La relazione congressuale è invece una tipologia testuale a metà strada tra scritto e parlato. Nasce infatti come testo scritto, pianificato almeno nei suoi tratti essenziale e nella successione dei contenuti da esporre, ma è pensata subito come testo orale, come discorso parlato, pronunciato in diretta a un destinatario ascoltatore-osservatore.

Nei testi analizzati emerge che l’italiano dell’uso medio è presente in larga misura nella tipologia dell’intervista, senza rilevanti e significative distinzioni riguardo all’intervistato e alla sua provenienza partitico-ideologica. Con minore frequenza, ma significativa anche in considerazione dell’ampiezza dei testi, esso ricorre nelle relazioni congressuali; in questo caso, tuttavia, si possono riscontrare alcune differenze: se nelle relazioni di alcuni leader i tratti dell’italiano dell’uso medio sono numerosi, in quelle di altri esponenti sono sporadici. Tali differenze sono riconducibili in gran parte, oltre che allo stile comunicativo e alle abitudini linguistiche di ogni politico, all’impostazione generale che ciascuno dà ai propri congressi e al tipo di rapporto comunicativo instaurato col destinatario, fattori che decidono nel grado di formalità anche linguistica della comunicazione.[22]

Per cominciare con i tratti morfologici, tra questi ricorre frequentemente l’uso dei pronomi dimostrativi maschili questo e quello con valore neutro in sostituzione di ciò:

BERTINOTTI (“La Repubblica, 17/06/2003): <<Quella dei DS è stata una scelta avventurista perché non ha calcolato quel che sta accadendo con il decreto sul mercato del lavoro (…)>>.

BOSSI (Relazione al Congresso Ordinario della Lega Nord, Milano, 09/11/2003): <<Io penso che debba iniziare il mio resoconto di quattro anni con la sintesi di un tempo più lungo perché quello che abbiamo vissuto possa servire a capire meglio (…)>>.

FINI (Relazione di apertura alla Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<E se questo è vero, va riconosciuto il giusto merito alla classe dirigente di AN>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma, 20/04/2001): <<Una cosa è certa: l’Ulivo può essere orgoglioso di quello che ha fatto per l’Italia>>; <<È quello che ha fatto il centrosinistra in questi anni per la nostra Patria>>; <<Questo ci farà vincere il 13 maggio>>.

Non molto numerosi sono gli esempi di uso dei pronomi personali obliqui lui, lei, loro in funzione di soggetto al posto di egli, ella, essa, essi, esse, tratto morfologico che costituisce ormai la norma in ogni tipo di parlato, anche formale, e nelle scritture che rispecchiano atti comunicativi reali.[23] Si vedano alcuni esempi rintracciati:

FINI (“Il Corriere della Sera”, 19/02/2001), parlando di Rutelli, dice che: <<lui è candidato della coalizione e basta>>.

RUTELLI (Relazione di apertura all’Assemblea Nazionale della Margherita, Bologna, 14/11/2003): <<Loro, i cittadini dell’Ulivo, possono infatti portare a questa unità freschezza e impegno>>; <<Ha ragione Piero Fassino quando dice che loro, i DS, i nostri più stretti alleati, non possono sentirsi “figli di un dio minore”>>.

La scarsa presenza di lui, lei, loro con funzione di soggetto non vuol dire che i politici in questione preferiscano usare la forma tradizionale (egli, ella…), attestata nel corpus soltanto in un esempio[24], ma significa semplicemente che di rado essi fanno ricorso ai pronomi personali di terza persona, preferendo usare direttamente il nome della persona cui si riferiscono. Il ricordo a lui, lei, loro con funzione di soggetto si spiega se si tiene conto del fatto che i discorsi tenuti durante interviste o interventi a conferenze e congressi sono pensati e di fatto prodotti come discorsi diretti, in cui vigono le regole della comunicazione faccia a faccia, nella quale si fa grande uso di pronomi personali con funzione deittica e scarso uso di quelli con funzione anaforica tipici, semmai, del discorso indiretto e referenziale.[25]

La forma pronominale gli – di larghissimo utilizzo nell’italiano parlato e scritto di media formalità con il significato di “a lui”, “a lei”, “a loro” – ricorre nei testi del corpus con il valore di “a lui” e di “a loro” e non di “a lei”, evidentemente perché tale ultimo uso è sentito come meno grammaticale, ma soprattutto perché è mancato un referente donna o comunque di genere femminile singolare a cui la forma gli potesse eventualmente ed erroneamente riferirsi, come appare confermato dal fatto che i lei o le (= “a lei”) riscontrati nel corpus non sono pronomi personali femminili, ma semplici pronomi di cortesia rivolti a destinatari maschili: è forse un segno, pur nella limitatezza del campione, che la partita politica continua a essere giocata prevalentemente dal sesso maschile:

BERTINOTTI (“La Repubblica”, 21/01/2001): <<Certo, [le classi subalterne] non ce l’hanno fatta a raggiungere la terra promessa, o perché erano immature o perché gli errori della soggettività politica gli hanno impedito di realizzarla>>.

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n° 14/2001): <<C’era già [sogg. = un ministero della famiglia] nel Governo Berlusconi. Poi quando sono arrivate le sinistre lo han subito portato via, perché la parola famiglia gli faceva venire i brividi.

I tratti che più connotano la lingua politica come lingua vicina ai modi del parlato e poco formale non sono quelli morfologici, ma, almeno a tener conto della frequenza con cui ricorrono, quelli sintattici, relativi alla struttura e all’organizzazione della frase. Numerosi, ad esempio, fenomeni come la “frase segmentata” e la “frase scissa”.[26] Questi tratti sono attestati ampiamente nei testi analizzati, senza significative distinzione tra le diverse tipologie testuali e di soggetto politico enunciante.

Si vedano alcuni esempi di frase segmentata, nelle forme consuete della “dislocazione a sinistra” e della “dislocazione a destra”[27]:

BERLUSCONI (“Liberal”, 20/10/2003): <<Se un convegno lo fa la sinistra giù fiumi di inchiostro. Per noi no>>.

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n° 14/2001): <<Tre anni fa in Parlamento la sinistra cercò di far passare la fecondazione eterologa assistita. Quella legge la fermò la lega>>.

FASSINO (Relazione conclusiva al II Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, Rimini, 18/11/2001): <<Lo stesso metodo, un metodo cioè che si pone il problema soprattutto di come si dà sbocco ai processi e di chi li guida – perché questo è il compito della politica – noi lo dobbiamo applicare anche alla situazione italiana>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma 20/04/2001): <<Grazie innanzi tutto a Carlo Azeglio Ciampi. (…). A Romano Prodi, che l’Ulivo lo ha fondato>>; <<In questi giorni mi pare che il bastone del comando lo abbia preso qualcun altro>>.

Altro fenomeno di focalizzazione è la frase scissa, costruzione molto frequente nell’italiano parlato e alla quale i politici ricorrono per la sua evidente natura enfatica ed espressiva. Le frasi scisse reperite nel corpus sono molto numerose, se ne riportano alcuni esempi:

BERLUSCONI (“Il Corriere della Sera”, 10/05/2001): <<Ma io non ho mai avuto una “liaison” con D’Alema, siete voi che avete inventato l’inciucio>>.

BERTINOTTI (“La Repubblica”, 21/01/2001): <<Il centrosinistra non è più capace di creare consenso nella società: è questo che lo spinge alla sconfitta>>.

FASSINO (“La Repubblica”, 12/03/2001): <<Vincere. Questa è la priorità. Ed è questo che Rutelli ed io a nostra volta chiediamo ai leader dei partiti di centrosinistra>>.

FINI (“Il Corriere della Sera”, 11/07/2003): <<Ritengo indispensabile il rilancio del governo Berlusconi. È il chiarimento con la Lega ad essere urgente ed indispensabile (…)>>.

È attestata, ma con frequenza minore rispetto agli altri tratti, la presenza del pronome clitico:

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n° 14/2001): <<… i lavoratori del Nord pagano il 30-40 per cento di reddito e lo devono dare al Sud>>.

RUTELLI (“La Repubblica”, 11/05/2001): <<Tuttavia abbiamo un’alleanza per il governo coerente e questo ci può dare credibilità. Sull’altro fronte, i partiti della destra non sono separati ma uniti con Bossi, e questo li può aiutare a conquistare più collegi al Nord>>.

Propria dell’italiano dell’uso medio è poi la tendenza a usare l’indicativo in luogo del congiuntivo in una serie di costrutti (interrogative indirette, proposizioni rette da verbi opinione o da verbi di “sapere” e “dire” al negativo). Le indicazioni offerte non mostrano sensibili differenze quantitative tra un leader e l’altro:

BERLUSCONI (“Il Corriere della Sera”, 10/05/2001): <<Non so con precisione cosa è avvenuto>>.

BERTINOTTI (“La Repubblica”, 21/01/2001): <<…mi pare che Cossutta tiene il comunismo nel suo bagaglio>>.

FINI (Relazione di apertura della Conferenza programmatica di Alleanza Nazionale, Napoli, 24/02/2001): <<… nessuno più si domanda oggi se l’alleanza è strategica o meno>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma, 20/04/2001): <<Noi proseguiremo su quella strada, perché siamo convinti che su quella strada si ritrovano gli interessi dei lavoratori>>.

Sarebbe interessante capire se l’impiego dell’indicativo al posto del congiuntivo sia intenzionale o non ricada nella generale tendenza alla semplificazione dei costrutti e delle forme verbali. In ogni caso, ammesso che i politici in questione siano in grado di usare correttamente il congiuntivo, il fatto che in alcuni contesti non lo usino è di per sé rilevante, anche se non si trattasse di una scelta intenzionale, tanto più considerando che si tratta di persone adulte con un grado di istruzione medio-alto e non di parlanti di giovane età (per i quali la preferenza dell’indicativo è riconducibile alle caratteristiche proprie del linguaggio giovanile) o di estrazione socioculturale medio-bassa (per i quali, invece, il mancato uso del congiuntivo è dovuto all’incertezza o alla non conoscenza delle norme linguistiche).

Alcuni tratti morfosintattici, pur molto frequenti nell’italiano dell’uso medio, compaiono nel corpus solo poche volte: uso dell’avverbio allora non con valore temporale, ma consecutivo-correlativo o conclusivo (in tal caso con il significato di “insomma”, ecc.); concordanza a senso tra un nome collettivo e il verbo alla forma plurale; prevalenza di cosa su che cosa nelle frasi interrogative:

BERTINOTTI (Relazione di apertura al Comitato Politico Nazionale, Roma, 25/10/2003): <<Penso allora che bisogna collocare questo tema entro un’analisi della fase della società>>; <<Da cosa nasce questa nostra scelta?>>.

FINI (“Il Corriere della Sera”, 19/02/2001): <<E se vogliono parlare di trasparenza, allora vorrei capire perché da sinistra (…)>>.

In tutti i testi analizzati ricorre spesso l’impiego della congiunzione avversativa ma in posizione iniziale e analogamente l’uso della congiunzione e, anziché coordinare due proposizioni sintatticamente omogenee, segnalano l’inizio di una nuova porzione di testo. È attestato inoltre l’utilizzo dei connettivi dunque, perciò, quindi, tuttavia in posizione iniziale, spesso con funzione demarcativa e non consequenziale e avversativa tra due proposizioni. Si vedano alcuni esempi:

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n° 14/2001): <<Questo Papa non gode di buona stampa. Delle cose che dice, i giornali ripetono solo le cose che impediscono di capire a fondo. Ma la lega va valutata nel suo complesso. E qui bisogna tornare un attimo indietro>>.

FASSINO (Relazione all’Assemblea Nazionale della Margherita, Bologna, 14/11/2003): <<Ma non c’è solo un’impressionante sequenza di errori tattici. Alla base del disastro irakeno c’è soprattutto un errore strategico>>; <<E tuttavia, nel caso italiano, gli effetti della congiuntura sfavorevole sono aggravati, e non alleviati, dalla politica del Governo>>.

FINI (“Il Corriere della Sera”, 11/07/2003): <<Berlusconi è il Presidente del Consiglio ed è il leader della coalizione. E siccome io non credo (…)

RUTELLI (“La Repubblica”, 25/08/2003): <<È un dubbio legittimo. Ma attenzione, nessuno ha in mente (…)>>.

Una certa tendenza all’italiano dell’uso medio si registra anche a livello lessicale, poiché alcuni vocaboli e modi di dire si caratterizzano in assoluto per l’essere estratti da un repertorio di tono comuni: pigliare invece di prendere, arrabbiarsi invece di adirarsi, scocciare e seccare per annoiare e dare fastidio, e poi ancora rompiscatole, rottura di scatole, casino, incazzarsi, fifa, beccare, mollare, ecc.[28] Presenti in tutti i testi del corpus, questi tratti e altri simili si trovano con frequenza maggiore negli interventi di Bossi:

BOSSI (“Famiglia Cristiana”, n° 14/2001): <<Il lavoro se lo piglia sulla schiena chi è capace>>; <<Dobbiamo ritornare a quando la Lega fece cadere la Democrazia Cristiana, beccandola frontalmente>>; <<Tutte le domeniche dai pulpiti si legnava la Lega>>; <<Noi reggemmo. Però in certi momenti ci saltarono anche un po’ i nervi>>; <<È chiaro che il mondo è pieno di poveri, verrà qui una marea enorme di persone>>; <<Chi sgarra, fuori dalle scatole[29]>>; <<Poi abbiamo capito che quella roba lì era una roba un po’ strana>>; <<Quelli lì mi stan sulle scatole>>.

RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo): <<C’è anche questo, ma più che altro mi sa che qui c’è qualcuno che ha una fifa blu>>; <<Il mio avversario io non ce lo vedo proprio. Si crederà pure Napoleone, ma parlare chiaro ai grandi del mondo sulla difesa dell’ambiente – e su tutto il resto – proprio non ce lo vedo>>.

Dopo le interviste e le relazioni congressuali sono stati presi in considerazione i discorsi parlamentari che si configurano formalmente come testi orali. Essi non sono tuttavia classificabili semplicemente come esempi di lingua parlata, ma si inseriscono tra le realizzazioni intermedie della gamma compresa tra gli estremi del parlato informale e dello scritto formale. A essi si adatta bene la doppia distinzione parlato/scritto e formale/informale; hanno infatti dietro di sé testi scritti più o meno pianificati che già nella formulazione originaria tengono conto sia della destinazione orale, sia della loro natura di discorsi pubblici. Per la lingua di questi discorsi si adotta la definizione di <<parlato formale>> di Cortelazzo.[30]

La differenza tra discorsi parlamentari da un lato e interviste e relazioni congressuali dall’altro, anche se prodotti dagli stessi leader politici, è notevole. Nei primi i tratti dell’italiano dell’uso medio sono più spesso di natura sintattico-testuale che morfologica. Si vedano alcuni esempi di tratti morfologici:

BERLUSCONI (Intervento al Senato della Repubblica, seduta del 18/06/2001): <<Per creare lavoro non effimero occorrono capitali e la decisione di investirli secondo le convenienze di un mercato regolato, ma libero. Non lo insegna un’astratta filosofia liberista (…)>>.

RUTELLI (Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 21/06/2001): <<… esprimo con questa dichiarazione di voto l’orientamento dei deputati del centrosinistra; lo faccio utilizzando il tempo del gruppo a cui appartengo (…)>>.

Nei discorsi parlamentari analizzati si sono reperite con maggiore frequenza tematizzazioni, dislocazioni, frasi scisse e frasi segmentate, tutti fenomeni che, pur elencati tra quelli che caratterizzano l’italiano dell’uso medio perché comportano un ordine frasale diverso da quello normale, diventano pressoché inevitabili anche nel parlato formale, quando in un discorso si vuole mettere in evidenza e dare enfasi a un elemento piuttosto che a un altro:

BOSSI (Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 03/02/2000): <<La loro politica di espansione commerciale aggressiva non la fanno più chiudendo gli Stati (…)>>.

FASSINO (Intervento alla Camera dei Deputati, seduta del 14/01/2002): <<… tutto questo lei non lo può negare; lei invece lo sta mettendo a repentaglio (…)>>.

La scarsa frequenza di tratti tipici del parlato e dello scritto di media formalità nei discorsi parlamentari dipende dal connotarsi di questi ultimi come parlato formale, ma deriva anche da un altro fatto non trascurabile: i discorsi parlamentare utilizzati a vario titolo da studiosi e linguisti come fonti per lo studio del linguaggio politico sono, in realtà, resoconti stenografici, ossia trascrizioni di quanto è stato pronunciato oralmente in aula.

Con tutta evidenza, nel passaggio dal testo in aula al resoconto stenografico si verificano non poche modifiche linguistico-formali, volte soprattutto a eliminare o correggere tratti propri dell’esecuzione orale e non adatti a un testo scritto e a riequilibrare l’ordine dei costituenti frasali.[31]

Nei discorsi parlamentari del corpus preso in esame l’italiano dell’uso medio si caratterizza soprattutto, come detto, a livello sintattico-testuale e non morfologico. In mancanza di registrazioni dirette nel corpus, per spiegare la prevalenza di fenomeni sintattico-testuali su quelli morfologico sono sufficienti alcune osservazioni. La sostituzione dei tratti morfologici propri del parlato informale con quelli caratteristici del parlato e dello scritto formali, dunque più vicini allo standard, conferisce ai discorsi parlamentari maggior sostenutezza e un tono più consono alla loro natura ufficiale e alla sede istituzionale. La presenza, per contro, di alcuni tratti sintattico-testuali non propriamente formali (come tematizzazione, frasi scisse, segmentazioni, ecc.) risponde a naturali e inevitabili esigenze espressive ed enfatiche, da cui neanche i discorsi parlamentari linguisticamente e stilisticamente più controllati possono di fatto prescindere, per la loro natura di testi argomentativi con funzione persuasiva e conativa.[32]

 

 

[1] Il corpus preso in considerazione è il medesimo studiato e analizzato da Dell’Anna e Lala in M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., pp. 35-75.

[2] M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., p. 40. Cfr. C. Perelman, L. Olbrechts Tyteca, Trattato dell’argomentazione, Einaudi, Torino, 1966, pp.  91-98.

[3] B.Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, Milano, 1988, p. 186. Mortara Garavelli distingue tra “figure di parola, riguardanti l’espressione linguistica e appartenenti a pieno titolo all’elocutio, e “figure di pensiero”, riguardanti le idee e appartenenti all’ambito dell’inventio (benché tradizionalmente anche queste siano state trattate all’interno dell’elocutio).

[4] V. Lo Cascio, Grammatica dell’argomentare. Strategie e strutture, La Nuova Italia, Firenze, 1991, pp. 358-360. Lo Cascio ha suggerito una specie di “codice stradale” della buona argomentazione, dieci regola per l’atto argomentativo concreto. Si elencano qui le regole sistematicamente infrante dalla retorica politica, riproponendo anche la stessa numerazione adottata dallo studioso: 3) Un attacco ad una argomentazione deve essere centrato sulla tesi che è stata veramente enunciata dall’antagonista, senza distorcere il discorso, senza fare apparire diversa la tesi e senza fare in modo che venga attribuita all’antagonista una tesi diversa da quella da lui sostenuta; 4) Una tesi deve essere difesa solo con argomenti correlati con essa e che non abbiano attinenza con altro; 5) Una persona deve accettare le conseguenze e l’esistenza delle premesse che lascia implicite e quindi deve accettare che venga attaccato sul terreno di esse; 6) Una tesi può essere considerata come adeguatamente difesa se si basa su argomenti appartenenti ad un punto di partenza comune; 7) Una tesi può essere considerata adeguatamente difesa se la difesa si svolge con l’uso di argomenti che rispecchiano e rispettano la prassi e lo schema argomentativo comunemente accettati; 10) La formulazione delle tesi, delle posizioni reciproche, e degli argomenti deve essere il più possibile chiara e interpretabile.

[5] G. Antonelli, Sull’italiano dei politici nella Seconda Repubblica, in AA. VV. 2000, pp. 211-234

[6] V. Lo Cascio, Grammatica dell’argomentare…, cit., pp. 353-358.

[7] M. V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., pp. 44-46.

[8] G. Antonelli, Sull’italiano dei politici nella Seconda Repubblica, cit., pp. 217-219.

[9] M. V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., p. 47. Cfr. G. Beccaria, Linguaggi settoriali e lingua comune, in G. Beccaria (a cura di), I linguaggi settoriali in Italia, Bompiani, Milano, 1973, pp. 22 e 28-29.  La progressiva osmosi tra linguaggio politico e linguaggio economico era già stata notata negli anni Settanta.

[10] L’uso di tipo in luogo di come è caratteristico del linguaggio giovanile. Al proposito cfr. Accademia degli Scrausi (a cura di), Versi Rock. La lingua nella canzone italiana degli anni ’80 e ’90, Rizzoli, Milano, 1998, p. 343.

[11] L’esempio, più che discorso economico in senso stretto, è un discorso figurato costruito mediante metafore ricavate dal lessico e dal linguaggio dell’economia.

[12] M. Catricalà, Nuovi “accenti” politici, in “Italiano & oltre”, XIII, 1998, pp. 20-25.

[13] M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., p. 49. Cfr. R. Fornaciari, Metafore di moda, in “Nuova Antologia”, 17, 1888, pp. 593-614.

[14] P. Desideri, Teoria e prassi del discorso politico…, cit., pp. 45-100.

[15] Nell’ultimo decennio il ricorso a metafore e traslati bellici sembra aver caratterizzato soprattutto la lingua di Bossi, fino a diventarne una prerogativa nelle elezioni politiche del 1996, in cui <<di truppe, di colonialismo, di cavalli di Troia e di crociate ha parlato solo Bossi e, come in altre occasioni, in maniera non del tutto coerente rispetto ad una serie di distinzioni storico-cronologiche tra fenomeni ed eventi molto lontani nel tempo e nello spazio>>. M. Catricalà, Nuovi “accenti” politici, cit., p. 20.

[16] Si rileva un inusuale stare in luogo di essere.

[17] Espressione ricorrente anche in Bossi e in Fini.

[18] M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., p. 50. Cfr. G. Beccaria, Linguaggi settoriali e lingua comune…, cit., pp. 29-30.

[19] Da M. Catricalà, Nuovi “accenti” politici, cit., p. 20, si ricava che nelle elezioni del 1994 e anche in quelle indette nel 1996 per il rinnovo di Camera e Senato <<le metafore sportive sono risultate nettamente superiori alle altre, sia sulle pagine dei giornali, che tra i flutti delle onde radiotelevisive; oltre il 50% delle figure retoriche registrate sono infatti da ascrivere al settore sportivo, mentre la maggior parte dell’altra metà è legata ad ambiti tradizionali di stampo bellico, medico-farmaceutico e gastronomico>>.

[20] L’intervento alla Camera dei Deputati da cui è tratto l’esempio verte attorno al problema dell’imminente guerra che gli Stati Uniti in quel periodo minacciavano di dichiarare al dittatore iracheno Saddam Hussein e che effettivamente sarebbe scoppiata in Iraq dopo circa due mesi (20 marzo 2003). Attraverso la ripetizione di <<questa guerra>> e con il continuo riferimento nel testo al tema dell’argomentazione grazie anche all’utilizzo di deittici, si rileva un tratto che nella pragmatica prende il nome di embrayage. Cfr. M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., pp. 54-55.

[21] Sull’allocuzione cfr. B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, cit., pp. 239 e 260-270. Classico esempio di allocuzione nel linguaggio politico del Novecento è quello di Mussolini, della cui prolungata pratica oratoria l’allocuzione è componente costitutiva.

[22] M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., p. 65.

[23] Ivi, p. 66. Cfr. F. Sabatini, “L’italiano dell’uso medio”: una realtà tra le varietà linguistiche italiane, in G. Holtus, E. Radtke, Gesprochenes italienisch in geschichte und gegenwart, Narr, Tubinga, 1985, p. 159.

[24] RUTELLI (Relazione di apertura alla Conferenza Nazionale dell’Ulivo, Roma, 20/04/2001): <<Ma il confronto delle idee egli lo deve agli italiani (…)>>.

[25] M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., p. 67. Cfr. F. Sabatini, “L’italiano dell’uso medio”…, cit., p. 159. <<L’uso di egli, ella, essi, esse è ristretto al parlato che possiamo dire “celebrativo” e alle scritture di tipo argomentativo e situazionale>>.

[26] Ivi, p. 68.

[27] Ibidem. Cfr. G. Berruto, Per una caratterizzazione del parlato: l’italiano parlato ha un’altra grammatica?, in G. Holtus, E. Radtke, Gesprochenes italienisch…, cit., p. 129.

[28] Ivi, p. 72. Cfr. F. Sabatini, “L’italiano dell’uso medio”…, cit., p. 170-171.

[29] Un tratto attenuato che si discosta dal linguaggio, nello specifico dal lessico, frequentemente utilizzato da Bossi: “balle”, “avere le palle”, “fare a pezzi”, ecc.

[30] M.V. Dell’Anna, P. Lala, Mi consenta un girotondo…, cit., p. 73. Cfr. M.A. Cortelazzo, Dal parlato al (tra)scritto: i resoconti stenografici dei discorsi parlamentari, in G. Holtus, E. Radtke, Gesprochenes italienisch…, cit., pp. 87-88. Secondo Cortelazzo <<allo scritto per la lettura appartengono alcuni – ma solo alcuni – discorsi parlamentari, in particolare quelli dei deputati più inesperti e/o insicuri (che non hanno il coraggio di scostarsi, tranne qualche minimo dettaglio, dal testo preparato in anticipo) oppure quelli dei ministri, le cui parole hanno sempre un alto grado di ufficialità (soprattutto quando esprimono un giudizio collettivo e concordato tra componenti dell’intero governo o tra le forze politiche che lo sostengono). […] La maggior parte dei discorsi parlamentari non si presenta, però, nella forma del testo scritto per essere letto; ma non ha neppure caratteristiche del parlato spontaneo del dialogo informale. Si tratta, infatti, di testi basati generalmente su una traccia scritta, più o meno dettagliata, che fornisce a questi discorsi una forte pianificazione (che manca, in tale forma, dialogo spontaneo); ma la traccia scritta, cosa ben diversa da una versione scritta, non impedisce una certa spontaneità all’oratore, osservabile, per motivi opposti, tanto nel parlamentare esperto, capace di improvvisazioni e variazioni rispetto alla scaletta preparata, tanto in quello inesperto, che si inceppa rispetto alla traccia che sott’occhio o che produce interferenze tra la scaletta scritta e le strategie di discorso che gli risultano più naturali ed immediate nell’interazione verbale>>.

[31] Ivi, p. 75. Cfr. . M.A. Cortelazzo, Dal parlato al (tra)scritto…, cit., pp. 87-88. Cortelazzo ha messo a confronto, per alcuni interventi parlamentari, le trascrizioni fedeli delle registrazioni e i rispettivi resoconti stenografici. Tra gli interventi più immediati, egli individue l’eliminazione di tutti gli errori di esecuzione: esitazioni, lapsus, autocorrezioni, ripetizioni, concordanze sbagliate dovute a suggestioni di tipo fonico, ecc. Altre modifiche riguardano l’espunzione dei connettivi testuali o pragmatici e comunque non logico-semantici: cancellazione delle congiunzioni e e ma aggiuntive e introduttive; cancellazione dei connettivi magari ed ecco e dei segnali di correzione come ripeto, diciamo, direi. In altri casi le variazioni non comportano espunzioni, ma mutamenti nell’ordine delle parole, come la collocazione dei connettivi logico-semantici quindi, dunque, perciò, tuttavia in posizione consequenziale e non iniziale. Oltre a quelle riguardanti i connettivi, modifiche frequenti consistono nell’espunzione dei pronomi (in particolare di prima persona, sia singolare che plurale, sia tonici che clitici) di cui il parlato è molto ricco, anche in contesti in cui il pronome è facoltativo. Nel campo della morfologia verbale è frequente la sostituzione dell’indicativo con il congiuntivo in quei costrutti in cui nel parlato e nello scritto informali o mediamente formali è ormai sempre più spesso l’indicativo a sostituire il congiuntivo.

[32] Ibidem.