PRESIDENZA, PARTITI E OPINIONE PUBBLICA. TRATTO DA SANDRO PERTINI: DAL FRONTE POPOLARE ALLA PDR

di Fabio Amiranda

(..) Già a partire dagli anni ’80, alcune scuole sociologiche denunciarono la divaricazione tra paese legale e paese reale, con il primo schiacciato in riti autoreferenziali finalizzati alla riproduzione del ceto politico, e il secondo composto da quei segmenti sociali che si abituarono presto a trovare da soli la strada della sopravvivenza.

Il consenso pubblico del presidente avrebbe perciò avuto un retroterra sociale: il rancore che si era accumulato tra masse ed élites; la radicalizzazione dei sentimenti popolari contro lo Stato e il ceto politico in generale.

Suggestioni antipolitiche, quelle dell’opinione pubblica, che sarebbero esplose poi negli anni ’90.
Occorre, su questo terreno scivoloso, evitare ogni fraintendimento, e sottolineare un’ovvietà: Pertini fu uno strenuo difensore della Repubblica, del ruolo dei partiti, della democrazia rappresentativa.(…)

L’irritualità dei comportamenti di Pertini deve perciò leggersi, non come delegittimazione della politica ma, al contrario, come persuasione autorevole per una politica più alta, più attenta alla legalità, più consapevole delle istituzioni.

Una politica fondata sull’etica della responsabilità, mossa da un fondamento metapolitico: l’ideale, una necessità interiore capace di trasfigurare l’uomo e di rappresentarne eroicamente il dramma (..)

Pertini non ha avuto il tempo di assistere allo sfascio del sistema politico, con la liquidazione del pentapartito avvenuta attraverso una rivoluzione mediatico-giudiziaria senza precedenti nella storia dei sistemi politici occidentali.

A posteriori, precisando che si tratta di un mero esercizio di fantasia, viene da chiedersi se gli appelli costanti alla moralizzazione della vita pubblica, le denuncie ripetute della corruzione, additata a nemica della democrazia in ogni occasione, non debbano essere reinterpretate alla luce di quello che poi è accaduto come monito responsabile che il presidente avrebbe voluto indirizzare ai partiti per indurli ad operare un ricambio dei quadri dirigenti e risparmiare, forse in questo modo, alla società dei partiti ed alla stessa comunità nazionale, un trapasso così traumatico verso i nuovi equilibri politici segnati dal populismo giustizialista e dalla subordinazione mortificante ai grandi gruppi della finanza e dell’editoria (…)