IL PRAGMATISMO DI RICCARDO LOMBARDI: QUANDO LE PAROLE NON SERVONO, MA URGONO I FATTI

di Christian Vannozzi |

Un uomo del fare e non un filosofo, o peggio un sofista, questo era Riccardo Lombardi, che alla retorica preferiva l’agire concreto, perché parlare di socialismo è facile, ed è anche piacevole, lo facciamo tutti, ma se resta lettera morta il sole non si vedrà mai, e per questo motivo occorre non solo parlare, scrivere sui vari social e sui gruppi whatsapp, ma agire concretamente iniziando dai territori, dai municipi, dal più piccolo grado di sussidiarietà che hanno i cittadini, in modo da colmare quell’abisso creato dai partiti odierni, che hanno perso da tempo il loro contatto con la società.

Siciliano di nascita, ma milanese di adozione, Lombardi ha saputo unire l’idealismo tipico della terra ellenica con il pragmatismo tipico della società milanese, passando dal partito d’azione, che ormai con la sconfitta del nazifascismo aveva terminato la sua funzione storico-sociale, al partito socialista, dove confluì gran parte del vecchio partito mazziniano, dando al socialismo italiano quella forza nell’agire tipica di un partito che faceva dell’azione il suo nome. In Italia e a Milano soprattutto, letteralmente devastata dalla Guerra, serviva infatti azione, e non parole, da ingegnere quale era iniziò, da funzionario locale del capoluogo lombardo, la ricostruzione fisica, civile e morale di Milano, riportandola in auge e restituendogli quel dinamismo che ancora distingue la civiltà milanese, che non deve, come si pensa, il suo fare alla Lega:

A me sembra che una politica intelligente e che si preoccupi dell’avvenire della classe operaia si deve soprattutto preoccupare di salvare l’efficienza economica dell’apparato industriale; che questo apparato resti di proprietà privata o passi in proprietà collettiva, il problema non muta.

Nel 1945, le parole di Riccardo Lombardi furono queste, dimostrandosi fin da subito lungimirante e pratico, più di quanto non lo siano i politici odierni che per tamponare la crisi economica elargiscono sussidi e bonus di qualsiasi genere, fondi che non raggiungono però tutti, distribuiti a macchia di leopardo e in tempi abbastanza lunghi e senza alcuna prospettiva di recupero e ripartenza. Quello che serviva a Milano era infatti la ripartenza, in qualsiasi modo, dell’economia, delle imprese, del lavoro, in modo che tutti si sentissero parte di una ricostruzione a vari livelli, in modo da creare incoraggiamento e di far rialzare a tutti la testa. Il capitale può essere privato o statale, non è importante, quello che è importante è la tutela dei lavoratori, delle classi più deboli, di chi ha poco, ed è questa la missione pratica del socialismo.

Oggigiorno si pensa alla new economy, al neoliberismo, spiegando che questo rappresenta l’unica via di ripresa economica, mostrando le bellezze degli Stati Uniti u po’ come i traghettatori del mediterraneo dipingono l’Italia agli sventurati che pagano i risparmi di una vita per arrivare forse da vivi in un paese che non è quello che gli viene descritto, e dove non trovano quasi nulla se non lavori dove vengono sfruttati per pochi soldi, prostituzione e manovalanza nella criminalità organizzata. Sarebbe ora che si aprissero gli occhi si e si guardasse seriamente al benessere economico e sociale, senza fantasticare su cose che non esistono, o su sistemi economici idilliaci scesi dal cielo un po’ come le tavole della legge date da Dio a Mosè, perché i regali del cielo non ci sono, o almeno sono molto rari, e se si vuole qualcosa ci si rimbocca le maniche e si agisce.

Per omaggiare Riccardo Lombardi ritengo doveroso citare le parole di Giovanni Scirocco:

Che cosa ci manca di Lombardi? Ci manca, a mio parere, il segno della sua contraddizione, la scommessa fallita ma tenacemente indicata di tenere insieme la democrazia coi suoi limiti e l’idea di un socialismo radicale.

Perché la democrazia e il socialismo possono e devono coesistere, come si può vedere in alcuni Stati che sistematicamente in Italia vengono ignorati, e che sono tra i più importanti membri dell’Unione Europea, un’Unione che va trasformata in Federazione, non combattuta in nome di assurdi sovranismi, perché se si vuole combattere il populismo e si vuole svegliare il popolo italiano, occorre tendere la mano, e mostrare e fare quello che si può fare, non parlare di filosofia come facevano gli oratori romani ai tempi di Cicerone.