TURATI PRIGIONIERO A PALLANZA FU ELETTO DEPUTATO PER PROTESTA

A margine delle commemorazioni ufficiali, abbiamo un saggio di dichiarazioni turatiane su temi ancora oggi di attualità.

In tutta Italia si commemora Filippo Turati nel cinquantenario della sua morte. Ognuno, come succede in questi casi, cerca di tirarselo dalla sua parte e di accaparrarne la grande carica ideologica e umana.
La commemorazione ufficiale sarà tenuta da Craxi che aveva chiesto per questo addirittura il «Teatro della Scala». Per le opposizioni soprattutto comuniste, la cerimonia si svolgerà a Canzo (Como) paese natale del grande socialista riformista nato il 26 novembre 1857 e morto in esilio a Parigi il 29 marzo 1932. Il «curriculum» politico di Turati fu eccezionale: dal giugno 1895 fu eletto continuativamente alla Camera nel V° Collegio di Milano per nove legislature fino alle elezioni del 24 maggio 1924. È per i fatti del 1898 che Turati ha rapporti con la nostra terra: dal Parlamento passò infatti al carcere giudiziario di Milano e poi al Reclusorio di Pallanza dove rimase per 14 mesi fino all'amnistia del giugno 1899. Durante la prigionia di Pallanza Turati venne dichiarato decaduto dalla Camera il 9 luglio 1898 - ma nelle elezioni del 25 marzo 1899 il detenuto, con una candidatura - protesta, veniva rieletto con 4342 voti contro i 669 del Repubblicano Federci. Furono di quegli anni i contrasti fra socialisti massimalisti capeggiati da Enrico FERRI e i socialisti riformisti seguaci di Turati e di Bissolati. E da allora, per alterne vicende, di cui fa parte anche la scissione di Livorno, le due anime del socialismo, quella rivoluzionaria e quella riformista, sono state la «croce e delizia» della nostra democrazia. Ci pare utile offrire ai nostri lettori, come testo per una commemorazione di Turati da parte di una periferia come quella novarese che del socialismo sperimentò fino in fondo lotte, ideali e delusioni, alcuni brani di una franca e illuminante intervista concessa al «Popolo» (giornale dei «popolari») il 1° luglio 1924.


Una intervista storica

Abbiamo chiesto all’On. Turati se avesse letto la risposta del direttorio fascista alla dichiarazione delle opposizioni e che cosa pensasse della frase che accenna ad una futura «socialdemocrazia popolare ed unitaria».

«Penso» ci ha risposto iI deputato unitario «che il direttorio fascista probabilmente qui vede giusto. Non vi è sventura che non abbia un lato benefico «Le vie di Dio sono molte» come voi direste e come scrisse Manzoni, l’estremo male ha in sé rimedi migliori. Sarebbe ingiusto negare al fascismo questo merito esso ha avvicinato milioni di cuori e di intelligenze che si ignoravano o si credevano nemiche, ha dissigillato milioni di pupille, ha spezzato la durezza delle formule intransigenti e settarie e ha rivelato anche ai più refrattari che, di fronte al ritorno alla barbarie, e sinchè l’educazione politica e morale in Italia – massime nei ceti dirigenti – non sia molto più sviluppata, vi sarà un terreno comune non soltanto di difesa, ma anche di azione costruttiva, fra tutte le energie di redenzione democratica veramente sincere e che siano fedeli a se stesse. É notevole che gli stessi massimalisti, la cui nota differenziale fu sempre l’intransigenza -à tout rompre – sono ora cordialmente con noi. Noi potremo dunque fare del cammino assieme, senza perdere nè le nostre caratteristiche fisionomiche nè le nostre peculiari impronte … digitali. Se, almeno, non avremmo al nostro fianco dei pusilli o dei traditori.

Libertà religiosa

«Eppure osservammo «non è da nascondere, che negli ambienti cattolici si dubita da parecchi che l’attuale collaborazione difensiva (demoliberale popolare, unitaria , ecc) possa avviarsi a divenire, al momento voluto, «una vera col laborazione di governo». Si dubita cioè dell’atteggiamento che, in tale ipotesi, assumerebbero i socialisti, di fronte ai problemi della politica ecclesiastica e religiosa. Fra gli stessi popolari è viva la preoccupazione di un ritorno a posizioni anticlericali vecchio stile delle masse e dei dirigenti socialisti. Ciò turba sinceramente molte coscienze pure e disinteressate, per le quali la libertà religiosa è una esigenza spirituale predominante. Con quale spirito i socialisti (almeno i dirigenti) crede Ella che si accosterebbero a tali problemi?

«Senza propormi» ha risposto l’onorevole Turati «di vendere la pelle di un orso che … non è, ancora catturato mi lasci dire che siffatte preoccupazioni – appunto perché l’orso vagola ancora lungi sulla montagna – mi sembrano perlomeno alquanto … premature. Il socialismo, nella sua espressione media e globale, non è nè «anticlericale vecchio stile» (tengo a ripetere testualmente la sua frase) e le ricordo la nostra separazione netta dai massoni – fra i quali pure si trovano, con parecchia zavorra, tanti spiriti nobili e sinceri – nè tanto meno è antireligioso. Certo, siamo ereticissimi del Dio fatto strumento di regno, del Dio messo in organico come generalissimo della «milizia nazionale». La diffidenza o la avversione verso la Chiesa non esiste nelle file socialiste, se non in quanto la Chiesa, qualunque Chiesa, possa erigersi a barbacane del conservatorismo e della plutocrazia, sul terreno della lotta delle classi, abbandonando e consegnando al nemico, in pura perdita anche sua, le masse popolari. La democrazia cristiana è ben altra cosa, e tutte le forze d’avvenire possono e debbono accostarsi e mutuamente aiutarsi, lasciando le dispute teologiche ai canonisti e la filosofia trascendente ai vari Gentile delle cattedre.

«Quando alla libertà religiosa, che è libertà assoluta di pensiero e di azione legale, tutte le libertà sono solidali; e ciascuna difende se stessa difendendo le altre».

Culto: scuola, famiglia

«Ma vi è l’inciampo dei problemi concreti libertà delle manifestazioni religiose e di culto e delle organizzazioni relative; la libertà di insegnamento (esame di ecc.); la integrità dei vincoli familiari (divorzio, ecc.)», «Francamente mi pare che Ella corra troppo le poste. Se non ci accoppano per riconciliarci definitivamente con la Nazione, potremo ritrovarcia discorrerne ancora. Ma sulla libertà, mi pareva di averle già esaurientemente risposto. E la prima delle libertà è quella dell’insegnamento, nel quale noi ripudiamo ogni coercizione o privilegio statale, e difenderemo “sempre (non negando allo Stato quello che è il suo primo dovere: assicurare per suo conto una larga istruzione fondamentale a tutti i cittadini) la libera iniziativa e la feconda concorrenza. Tutto il resto (esame di Stato ecc) è dettaglio tecnico secondario. Nessuno -nè voi nè noi – se vogliamo essere partiti di masse, ha interesse a fare di questi problemi delle paratoie che separino gli animi e le schiere e suscitino od acuiscano dissidi, che troveranno, anche al lume dell’esperienza, le loro soluzioni, graduali e ragionevoli. Lasciamo agli avvocati le troppe pregiudiziali, poichè essi – non noi -ne cavano il desinare! «Quanto allo spauracchio del divorzio, la questione non ha mai appassionato i socialisti, perchè è faccenda che riguarda essenzialmente le classi abbienti: questioni di patrimonio assai più, che di persone. ‘Noi vediamo anche il divorzio sotto l’angolo visuale della libertà; lo consideriamo come un fatto di semplice stato civile (stato con la esse minuscola) che non dovrebbe attentare alla libertà di coscienza di anima viva.

«Comunque Ella mi insegna che chaque jour sa tàche e al postutto – nei momenti dell’unione neces saria – le questioni che divdono si possono sempre accantonare. Dobbiamo pur lasciare qualche cosa da: fare, e su cui leticare, ai nostri figliuoli … chi ne han. E con questa boutade, l’onorevole Filippo Turati, ci lasciò, stringendoci la mano.