IL TEMPO DELLE CONTRORIFORME: UNO STIMOLANTE CONTRONTO SUL TEMA

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Renato Costanzo Gatti:

Mi sto leggendo le 25 pagine del decreto 1° maggio e Silvano mi aiuta a districarmi in un lavoro interpretativo non semplice.

Renato Costanzo Gatti:

Però con Silvano mi urge affrontare due temi: il riformismo e la concertazione. Sul primo punto mi sembra venir meno la linea di Turati per cui le piccole e grandi riforme acquisite nel tempo si trasformano poi in valanghe che scendono a valle e riformare il sistema. Mi pare invece che dopo i trenta socialdemocratici alle riforme seguano le controriforme che sciolgono la valanga. Il secondo punto più lombardiano o se vogliamo risalire alla critica del programma di Gotha, su cui ho scritto recentemente, riguarda il come vivere questa fase della lotta di classe. Se cioè si può puntare tutto sulla redistribuzione senza rendersi conto che a monte c’è il modo di produzione. Finchè il modo di produzione sarà capitalistico, la lotta di classe è vinta dal capitale come giustamente fa notare Warren Buffet. Mi fermo e attendo una risposta di Silvano Veronese.

Silvano Veronese:

Caro Renato, Ti rispondo volentieri, mi devi spiegare frattanto 2/3 cose che non mi sono chiare :

1) il “venir meno alla linea di Turati”, penso di riferisca al mio scritto : dove, però? e per he cosa?

2) ” I trenta socialdemocratici” cosa sono ?

3) La concertazione da me proposta (non è una novità per il sindacato italiano), secondo Te non rappresenta elementi di progressismo per la classe lavoratrice, in particolare quando la rivendicazione antagonista non riesce a spostare di un grammo gli equilibri di reddito e di potere tra le classi o i ceti sociali?

Grazie per un Tua chiarificazione, a risentirci (o rileggerci), Ciao Silvano.

Renato Costanzo Gatti:

1) quando parli di contro-riforme indichi che il riformismo, quando non intacca la struttura può essere fermato se non cancellato; i meravigliosi trenta vanno dal dopoguerra agli anni 1970 quando è finita la fase “socialdemocratica” a causa del fallimento dell’esperimento comunista e della inconvertibilità del dollaro. La concertazione va bene, ma dobbiamo renderci conto che una cosa è concertare nell’esistente altro è concertare dopo che si sono fatte le riforme di struttura ovvero quando si parla di redistribuzione, ma con un diverso modo di produzione. Ho scritto pochi giorni fa, e lo trovi sul sito “A proposito di salario minimo” in cui mi soffermo a riconsiderare la Critica al programma di Gotha di K.Marx. Forse te lo sei perso, mi piacerebbe se lo leggessi.

Silvano Veronese:

Caro Renato, avevo letto il Tuo articolo sul “salario minimo” in cui Ti soffermi positivamente su quanto scriveva Marx di critica al programma Gotha in polemica con la posizione teorica del partito socialdemocratico tedesco verso la fine dell’800, in cui il grande filosofo di Treviri delinea la società socialista che Lui auspica (che evidentemente penso non intravveda nelle posizioni del partito socialdemocratico). Se non erro, Marx non esclude in via teorica la transizione verso il socialismo attraverso la democrazia e forme non rivoluzionarie.

In realtà,  Marx ha fatto poi proprie certe posizioni di un giovane Engels che affermavano che la democrazia non è in grado di produrre soluzioni egualitarie e perciò socialiste perché “la lotta dei poveri contro i ricchi” non puo’ essere praticata attraverso la via democratica e politica. Sottolinei – o mi sbaglio ? – in rapporto a ciò che una soluzione salariale positiva o accettabile si puo’ solo realizzarsi con la “sparizione” del capitalismo e del suo modello produttivo?

Lascerei Marx alla cultura e al suo tempo e verrei più concretamente e pragmaticamente all’oggi. Noi viviamo in una Repubblica che si è dotata di una Costituzione fra le migliori del mondo e che non prefigura affatto una società socialista nella concezione tradizionale marxista e nemmeno una soluzione da “socialismo reale” che abbiamo ben conosciuto e che – a partire dall’URSS – è crollato in quasi tutti i Paesi dove esisteva.

Personalmente, ritengo che la Costituzione italiana prefigura uno Stato democratico che in termini di diritti, di tutela della condizione economica e della dignità di tutti i cittadini, in particolare dei lavoratori e dei piu’ umili, non ha niente da invidiare a soluzioni teoriche di società socialiste, cioè con la sparizione del capitalismo.

Da anni in vari Paesi d’Europa, partiti socialisti o socialdemocratici hanno conquistato democraticamente  il Governo del loro Paese, hanno realizzato importanti riforme e avanzamenti sociali (da poter dire che hanno realizzato “pezzi” di socialismo), ma non hanno abolito il capitalismo. 

Come tutte le Costituzioni, anche la nostra  deve essere attuata e rispettata attraverso soluzioni legislative ordinarie e attraverso la dialettica ed il rapporto negoziale tra le forze sociali della produzione e del lavoro, un rapporto tutelato dalla stessa Costituzione.

La Suprema  Carta non abolisce affatto  la proprietà privata e la libera iniziativa privata e perciò affermare che per realizzare conquiste sociali strutturali bisogna abbattere il capitalismo non solo mi sembra irrealistico ma persino negato implicitamente dalla stessa Costituzione.

Si possono realizzare riforme strutturali, anzi è auspicabile per non ricominciare sempre da capo il cammino del progresso sociale e civile e per rendere possibilmente definitive determinate conquiste in materia di riforme economiche, sociali e civili ma in una società democratica e libera, gli orientamenti elettorali della popolazione possono anche favorire le forze politiche conservatrici, reazionarie, illiberali ed antisociali le quali possono mettere in discussione riforme realizzate e consolidate. In parte è ciò che è avvenuto anche con Governi a guida non propriamente o dichiaratamente di destra conservatrice o reazionaria.

Sta alla sinistra ed alle forze del movimento dei lavoratori – in queste situazioni – lottare democraticamente senza tregua per impedire regressi e cancellazioni di riforme socialmente avanzate.

Non è vero – come Tu dici –  che dalla fine della seconda guerra mondiale abbiamo vissuto trenta “meravigliosi” anni di realizzazioni ed avanzamenti sociali rilevanti. Fino al 1960, fino alla famosa lotta degli elettromeccanici con il Natale in piazza del Duomo a Milano dove lavoratori e le loro famiglie furono salutati e benedetti dal card. Arcivescovo Montini, una lotta che praticamente anticipo’ l’autunno caldo del ’69 ed apri’ una fase significativa di conquiste  contrattuali e legislative avanzate, per molti anni prima  la condizione dei lavoratori sotto il profilo dell’occupazione, della condizione economica e dei diritti, della condizione extra aziendale era pessima, densa di costrizioni e di carenza di tutele.

Certo la “rivoluzione giovannea” nella Chiesa Cattolica che influì sui comportamenti del Partito cattolico al governo e del Padronato, la scissione e la autonomia sindacale  delle aziende a PP.SS. dalla reazionaria Confindustria di allora, l’avvento del centrosinistra con la partecipazione dei socialisti al governo del Paese determinarono un cambiamento di clima politico e culturale, ed in particolare sul piano sociale ma furono soprattutto l’ampiezza e la qualità delle lotte del movimento dei lavoratori che determinarono  una svolta riformatrice che non si era mai  manifestata prima.

Ciò che è mancato in fasi successive alla fine degli anni ’70, salvo con i grandi accordi sociali di concertazione del 1984, del 1993 e con il Governo D’Alema nel 1998.

Non sono d’accordo che accordi triangolari di concertazione sociale possano essere affrontati e conclusi solo in epoche marcate dalla presenza di “governi amici” (è una idea sbagliata di certa sinistra e di pezzi del sindacato) perché proprio una situazione in cui i “rapporti di forza” non sono favorevoli ai lavoratori che una politica di concertazione puo’ permettere la realizzazione di risultati diversamente non ottenibili (come insegna la storia, vedi i motivi del basso livello dei salari per le lunghe “vacanze” contrattuali)

Non sono d’accordo che un patto sociale di concertazione è circoscritto alla sola redistribuzione tra le parti sociali della ricchezza prodotta (profitti/salari e fiscalità). Anzi, le poche esperienze di accordi di concertazione hanno avuto come elementi centrali le politiche di sviluppo settoriale e territoriale, il welfare, il mercato del lavoro, il controllo dell’inflazione e delle politiche di bilancio, assegnando alle parti sociali un potere di partecipazione alle grandi scelte del Paese. Non a caso, questa esperienza politica venne chiamata da studiosi la “codecisione all’italiana” per distinguerla da quella in atto in azienda o nei settori tra le parti sociali scandinave.

Renato Costanzo Gatti:

Ringrazio Silvano per il suo commento al mio pezzo sul salario minimo e al mio rimando alla critica al programma di Gotha.

Vorrei anzitutto premettere che non ho nessuna nostalgia rivoluzionaria bolscevica (cui Silvano pare spendere tante parole, ricordandomi, come se non la conoscessi, la Costituzione italiana) che considero con Gramsci una rivoluzione contro IL CAPITALE e di irripetibile stampo ottocentesco.

Quello che volevo sottolineare è il seguente concetto espresso da Marx:

 l socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e a sua volta da lui una parte della democrazia), l’abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il socialismo come qualcosa che si aggiri principalmente attorno alla distribuzione.

Quando quindi io parlo di “modo di produzione” penso semplicemente a quanto tentato, e malauguratamente non appoggiato dal PCI, negli inizi degli anni ’60 dal neonato centro sinistra sul territorio della programmazione; ecco il differente modo di produzione cui penso; non penso di espropriare il capitale privato ma come da tempo vado ripetendo insisto che tutti i fondi “regalati al capitale” con aiuti di stato, incentivi 4.0, PNRR etc. che ammontano a montagne di miliardi (altro che il reddito di cittadinanza) invece di essere regalati vengano conferiti sotto forma di partecipazioni azionarie di un fondo collettivo (non mi prefiguro per ora i dettagli).

Quanto dico è perfettamente in linea con la Costituzione (vuoi che ti ricordi gli articoli?), ma è anche in linea con le regole liberistiche; infatti qualunque investitore in una impresa ha diritto ad essere socio dell’impresa, da avere partecipazioni, di partecipare, avendone i numeri, alla gestione delle imprese, di avere tutti i diritti di qualsiasi investitore, ma non si capisce perché i soldi versati dai lavoratori con l’Irpef vadano al capitale senza nessun riconoscimento. Senza contare che poi i maggiori utili prodotti dagli incentivi non rimangono in impresa ma vanno redistribuiti al capitale, mentre se l’incentivo fosse un apporto azionario entrerebbero nel capitale sociale e non lascerebbero l’impresa.

Su questo fronte abbiamo fatto passi enormi indietro, nel 2019 poi abbiamo cancellato la programmazione dal DPEF e l’abbiamo trasformato in DEF che peraltro non è altro che propaganda se da una parte si proclama la strutturazione del cuneo fiscale e dall’altra nel DEF non ci sono i 14 miliardi richiesti e dall’altra ancora la nuova legge di stabilità renderà sterili la revisione delle pensioni, il cuneo fiscale, la riduzione delle imposte, il rinnovo dei contratti della PA.

Quanto poi ai “trenta anni socialdemocratici” non sono una invenzione mia, ma è un termine comunemente usato negli articoli pubblicati.

Per finire, mi sta bene la concertazione (anche se quella fatta con Ciampi non ha dato risultati così splendidi specie per la contrattazione a secondo livello e ha prodotto una diminuzione dei salari italiani), ma il punto rimane quello che sollevò Marx nella frase che ho riportato all’inizio.

Infine mi pare poter dire che la linea da me auspicata che consiste ad un ritorno (?) alla programmazione (il nuovo modo di produzione) si riscontri in quello che nella letteratura anglosassone come “developmental state” (vedi su wikipedia) o meglio ancora nei testi di Mariana Mazzucato (ignorata dai nostri politici che hanno curato il PNRR).

Ritengo che di fronte alla rivoluzione industriale in atto: robotizzazione, intelligenza artificiale e rivoluzione quantistica, l’attenzione al “modo di produzione”, alle funzioni dello stato, al ruolo del mondo del lavoro, al lavoro dei sindacati e del nostro movimento di Socialismo XXI sia di deciso e preminente interesse e responsabilità.

L’altro giorno uno sviluppatore di I.A. ha costruito un direttore amministrativo finanziario per aziende; oggi su L’Economia appare un articolo “I lavori che stanno scomparendo: dai cassieri agli scrittori, chi rischia il posto con l’intelligenza artificiale.

Aggiungo, per finire, che sto elaborando un nuovo articolo il cui titolo è promettente: “IL SOCIALISMO QUANTISTICO”.