A PROPOSITO DI SALARIO MINIMO


di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Si parla spesso, in questi mesi, di salario minimo in quanto, osservando il mondo del lavoro, vengono segnalate condizioni salariali e contrattuali tali da far riemergere, con pressante vigore, il concetto di sfruttamento.

Ritengo utile, anche per memoria storica, riandare a quanto scriveva Marx a proposito di “giusta ripartizione del frutto del lavoro” nella sua critica al programma di Gotha. Emergono due osservazioni che ritengo utili alla nostra riflessione:

● La “giustezza del salario” è conseguenza del modo di produzione;

● In una società socialista in cui la programmazione è il trionfo della razionalità nella collocazione delle risorse, razionalità che si contrappone al selvaggio criterio del profitto, il salario è elemento della programmazione.

La giusta ripartizione del frutto del lavoro

Nel commentare il punto 3 del programma di Gotha, Marx, esamina con maggior attenzione il concetto di “giusta ripartizione del frutto del lavoro”, e si chiede quanto segue:

Che cosa è “giusta ripartizione”? Non affermano i borghesi che l’odierna ripartizione è “giusta”? E non è essa in realtà l’unica ripartizione “giusta” sulla base dell’odierno modo di produzione? Sono i rapporti economici regolati da concetti giuridici oppure non sgorgano, al contrario, i rapporti giuridici da quelli economici?

La giusta ripartizione è quindi conseguenza del modo di produzione, divenendo quindi quest’ultimo l’elemento primario cui porre attenzione. Per dirla con parole semplici, con il modo di produzione capitalisticola questione salariale sarà sempre condizionata dalla proprietà dei mezzi di produzione da parte del capitale, si potrà lottare, come è stato fatto nel “trentennio glorioso” del dopoguerra per la costruzione di uno stato sociale che allargasse i diritti dei subordinati, ma non si è mai messa in discussione la proprietà dei mezzi di produzione. Dopo gli anni 70, dopo il crollo del comunismo e la inconvertibilità del dollaro in oro, i diritti acquisiti con il welfare state sono stati, se non cancellati, bloccati o comunque si è instaurato un clima che riafferma un carattere egemonico al potere del capitale. Non saremmo qui a discutere di “salario minimo”, di contratti di lavoro pirateschi, di precarietà, di cancellazione della indicazione di una causa per assumere a tempo determinato, cancellazione prevista nel decreto 1° maggio del governo Meloni.

Scrive Marx: 

La ripartizione dei mezzi di consumo è in ogni caso soltanto conseguenza della ripartizione dei mezzi di produzione. Ma quest’ultima ripartizione è un carattere del modo stesso di produzione. Il modo di produzione capitalistico, per esempio, poggia sul fatto che le condizioni materiali della produzione sono a disposizione dei non operai sotto forma di proprietà del capitale e proprietà della terra, mentre la massa è soltanto proprietaria della condizione personale della produzione, della forza-lavoro. Essendo gli elementi della produzione così ripartiti, ne deriva da sé l’odierna ripartizione dei mezzi di consumo. Se i mezzi di produzione materiali sono proprietà collettiva degli operai, ne deriva ugualmente una ripartizione dei mezzi di consumo diversa dall’attuale. Il socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e a sua volta da lui una parte della democrazia), l’abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il socialismo come qualcosa che si aggiri principalmente attorno alla distribuzione.

Il salario come elemento della programmazione

Sul secondo punto Marx ci avverte che la ripartizione del prodotto del lavoro va subordinata alla programmazione delle politiche generali che un paese socialista vuol attuare per raggiungere i suoi obiettivi:

Se prendiamo la parola “frutto del lavoro” nel senso del prodotto del lavoro, il frutto del lavoro sociale è il prodotto sociale complessivo.

Ma da questo si deve detrarre:

Primo: quel che occorre per reintegrare i mezzi di produzione consumati.

Secondo: una parte supplementare per l’estensione della produzione.

Terzo: un fondo di riserva o di assicurazioni contro infortuni, danni causati da avvenimenti naturali, ecc. Queste detrazioni dal “frutto integrale del lavoro” sono una necessità economica, e la loro entità deve essere determinata in parte con un calcolo di probabilità in base ai mezzi e alle forze presenti, ma non si possono in alcun modo calcolare in base alla giustizia.

Rimane l’altra parte del prodotto complessivo, destinata a servire come mezzo di consumo.

Prima di venire alla ripartizione individuale, anche qui bisogna detrarre:

Primo: le spese d’amministrazione generale che non rientrano nella produzione.

Secondo: ciò che è destinato alla soddisfazione di bisogni sociali, come scuole, istituzioni sanitarie, ecc.

Terzo: un fondo per gli inabili al lavoro, ecc., in breve, ciò che oggi appartiene alla cosiddetta assistenza ufficiale dei poveri

Se ne conclude che, una volta realizzata la socializzazione dei mezzi di produzione, la classe fino ad allora subalterna deve farsi carico delle decisioni politiche di investimento e ripartizione del prodotto del lavoro; le politiche salariali saranno quindi conseguenti alla programmazione generale che, giunti a quel punto, non sarà più gestita dal capitale escludendo la classe subalterna (ecco la vera natura dello sfruttamento) ma diverrà il campo in cui si dimostrerà il passaggio da classe subalterna a classe dirigente.