di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

L’Inflation Reduction Act (Ira) è la legge adottata dal Congresso USA a metà agosto del 2022, che prevede forti agevolazioni in favore del Made in USA, agevolazioni preoccupanti perché spingono a spostare gli investimenti negli USA infrangendo le leggi internazionali sul libero commercio.

Gli incentivi saranno riservati a chi compra prodotti realizzati negli Stati Uniti, si stanno già verificando, infatti, delocalizzazioni di aziende europee o americane che hanno investito in Europa e che ora preferiscono produrre sul suolo americano per beneficiare di questi incentivi. Significativo è il caso INTEL che aveva in programma investimenti in Germania ed in Italia ma che sta riconsiderando tali progetti proprio per godere dei benefici promessi dal suo stato di origine.

Quasi 370 miliardi di dollari sono stati stanziati per finanziare in dieci anni misure volte a costruire un nuovo ecosistema industriale in settori strategici dell’energia pulita, per consentire agli Stati Uniti di raggiungere il loro obiettivo di ridurre del 50% le proprie emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto al 2005.

Grazie a questo piano, le famiglie americane possono beneficiare di un credito d’imposta di 7.500 dollari per l’acquisto di nuovi veicoli elettrici americani (4.000 dollari per quelli usati). Sono previsti anche aiuti per l’installazione di pannelli solari, nonché un incentivo alla ristrutturazione delle abitazioni in chiave di efficienza energetica. Dal lato delle imprese, il piano prevede crediti d’imposta per investimenti nel settore dei veicoli elettrici, dell’energia eolica e solare, dell’idrogeno verde, dei biocarburanti, delle batterie e di altre tecnologie pulite.

L’Europa rischia così un esodo verso gli Stati Uniti degli investimenti che oggi sono impegnati nello sviluppo di tecnologie pulite in Europa. “L’Inflation Reduction Act non corrisponde alle regole fissate dall’Organizzazione mondiale del commercio”, ha attaccato il ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, dopo un incontro con l’omologo francese Bruno Le Maire. La legge autorizza “incentivi molto forti con clausole di preferenza nazionale”, in chiara violazione delle regole internazionali sul libero commercio.

Ora gli europei vogliono adottare una normativa analoga per rimanere nella competizione globale, una sorta di ‘Buy European Act’ su cui sta spingendo da mesi soprattutto il presidente francese Emmanuel Macron. Parigi e Berlino hanno comunque già concordato di spingere l’acceleratore su diverse tecnologie pulite per migliorarne la competitività contro gli Stati Uniti, ma anche contro la Cina.

Questi progetti europei stanno, dopo l’esperienza del PNRR, modificando a fondo il modo di far economia in Europa, con indebitamento comune dell’istituto europeo e finanziamento ai vari progetti europei che progettano investimenti nei settori individuati dai piani europei. E’ ovvio, e lo riscontriamo nell’attività che stanno dimostrando Francia e Germania, che questi programmi sono destinati a favorire le iniziative dei due paesi, mettendo in difficoltà le imprese italiane malate di un insanabile nanismo e che comunque da trent’anni non sono capaci, nonostante i soldi regalati dai bonus Calenda, di aumentare il tasso di produttività e di conseguenza di alzare i salari.

Viene richiamato l’effetto della “frusta salariale” ovvero di un aumento dei salari che costringano le imprese ad aumentare gli investimenti in innovazione e tecnologia alfine di contrastare l’aumento di costi determinato dalla frusta.

 Il modello contrattuale protegge le imprese a da qualunque aumento dei salari reali che non sia coperto da aumenti di produttività, ma non da un progressivo esaurimento della domanda interna di beni di consumo. In altre parole, non c’è alcuno spazio per effetti di domanda aggregata o per la “frusta salariale” (che teorizzava Paolo Sylos Labini e ben prima i coniugi Webb): né come aumento autonomo derivante da un’offensiva sindacale, né come “effetto Ricardo”, ossia un aumento del costo del lavoro rispetto a quello del capitale sostitutivo del lavoro (o un deprezzamento di quest’ultimo), né come effetto CLUP reale, cioè un aumento del costo del lavoro per unità di prodotto rispetto al prezzo del prodotto stesso. La conseguenza di quanto precede è che la probabilità che il salario reale crescesse nella stessa misura della produttività, in accordo con la cosiddetta “regola d’oro” della politica salariale (si vedano, ad esempio, i lavori di Nicholas Kaldor e Paolo Leon) si è dimostrata del tutto improbabile (anche se teoricamente possibile).(da Leonello Tronti)

La situazione richiede una campagna di programmazione nazionale, richiede, a livello politico, un ritorno a un clima di razionalità socialista.