PER L’IMPEGNO SOCIALISTA, AMBIENTALISTA, CIVICO

di Mauro Scarpellini – Resp. Amm.vo Socialismo XXI |

Presentazione

Questa nota è un contributo personale intorno al tema della necessità di una nuova entità politica organizzata che si ispiri a valori e idealità del socialismo quale cultura e proposta di libertà, di emancipazione, di pace, di sviluppo e di progresso, di normalità nelle relazioni e nei ruoli di genere e senza discriminazioni, di visione e gestione laica della società, di eguaglianza nelle condizioni di partenza di tutti i cittadini, di giustizia sociale e giuridica, di diritto di rappresentanza democratica nelle istituzioni per tutti i cittadini, di lavoro, di tutela dell’ambiente terraqueo e di tutti gli altri principi della Costituzione italiana e della Dichiarazione universale dei diritti umani.

IL LIBERISMO HA COLPITO DURO

La progressiva espansione nel mondo delle teorie e delle politiche liberiste nei trascorsi quaranta anni non ha lasciato indenne l’Europa e l’Italia da un contagio e da mutazioni che hanno riguardato i partiti politici che si riferivano alla socialdemocrazia, al laburismo e al comunismo post Unione Sovietica.

Nella loro maggioranza i partiti che a quelle identità si riferivano hanno subìto o scelto in vario modo o adattato la loro linea di politica economica e sociale influenzata in maggiore o media misura da politiche liberiste, limitatrici di diritti sociali, di giustizia sociale, indifferenti alle diseguaglianze.

Con la caduta del comunismo al potere in vari paesi europei si è prodotta l’espansione delle democrazie partecipate ma anche l’espansione commerciale, finanziaria e politica dei poteri forti già presenti nei paesi non comunisti. Le politiche liberiste hanno avuto spazio di affermazione e hanno condizionato tutti i partiti politici, compresi quelli non liberisti che hanno diffusamente ceduto al ruolo di gestori di politiche liberiste a scapito di una coerenza storica di difesa delle loro società dallo strapotere di potenti attori agenti nei mercati finanziario ed economico.

In Italia nel nuovo partito nato dall’accordo tra politici di cultura democristiana e comunista ha visto affermarsi una scelta nuova rispetto alle tradizioni politiche sia della sinistra democristiana, filo sindacale e sociale, che del partito comunista, insediato nei ceti operai e impiegatizi e non solo e a difesa dei deboli. Le altre componenti di pensiero confluite nel nuovo partito, ancorché numericamente residuali, non hanno apportato caratterizzazioni e ben presto si è estinto il significato della loro presenza e di qualsivoglia apporto culturale.

Quel nuovo partito è nato sulla scia delle ricerche di una “terza via” di cui parlo dopo.

Leggi di deregolamentazione del mercato del lavoro sono state introdotte nel tempo da varie personalità di governo nel mondo intero che cito senza dare ulteriori dettagli dato che sono chiari i contenuti di riferimento sottintesi se la memoria non difetta. Indico a tal proposito Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Tony Blair, Gerard Schröder e gli italiani Romano Prodi e Matteo Renzi. L’arco temporale ricoperto è pluridecennale.

Contemporaneamente ha proceduto la nascita e diffusione della globalizzazione economica. Perché e come essa nacque va ricordato per avere più chiara la conoscenza della strategia dei poteri forti esistenti nell’economia.

LA GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA

John Maynard Keynes, economista britannico e capo scuola liberale, aveva elaborato tre progetti: la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Internazionale del Commercio. Le prime due strutture erano viste con speranza di contributo, di spinta alla ripresa economica dopo la seconda guerra mondiale, anche con fiducia, perché assegnatarie di un ruolo di progresso e sviluppo da parte degli Stati del mondo. Il terzo progetto fu solo da lui ispirato e preparato perché Keynes mancò nel 1946. Se ne occuparono vari governi e altri economisti.

A Cuba fu convocata una conferenza internazionale nel 1947-1948 nella quale 56 paesi firmarono la Carta dell’Avana che conteneva gli statuti dell’Organizzazione Internazionale del Commercio. Gli Stati Uniti non ratificarono la Carta.

Della Carta dell’Avana, dopo anni, rimase in vita solo il capitolo riferito al Gatt. Il Gatt (General Agreement on Tarifs and Trade) era l’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio concluso a Ginevra nell’ottobre del 1947 da 23 paesi partecipanti alla commissione preparatoria della Conferenza internazionale per il commercio e l’occupazione. L’applicazione dell’accordo Gatt aveva funzionato per ridurre i diritti doganali tra gli Stati, favorendo in tal modo i commerci internazionali, riuscendo nell’intento in un arco di tempo pluridecennale con riferimento alle merci, escluse quelle tessili, ma non includendo i servizi e la proprietà intellettuale.

Passati anni, le società transnazionali hanno pensato di convincere i governi a creare un organismo che includesse le precedenti aree d’intervento del Gatt ed anche i servizi e le proprietà intellettuali; quindi più di cento paesi, esatti 112, Italia inclusa (governo di Lamberto Dini), il 15 aprile 1995 a Marrakech, hanno firmato e creato la W.T.O. (World Trade Organization), in italiano nota come Organizzazione internazionale del commercio, del tutto asservita agli interessi delle politiche globalizzatrici delle società transnazionali statunitensi, così come riferito dai rapporti ufficiali che – con linguaggio meno crudo di questo – informano della stabile, organica, ascoltata collaborazione suggeritrice delle rappresentanze societarie in parola nella elaborazione delle decisioni finali che furono assunte a Marrakech.

LA DEREGOLAMENTAZIONE FINANZIARIA

Negli anni finali del secolo ventesimo fu avviata, inoltre, anche la deregolamentazione dei controlli delle attività finanziarie e la creazione di prodotti cosiddetti derivati preposti soprattutto alla poco trasparente attività di speculazione finanziaria basata su titoli che non rappresentavano la ricchezza reale ma solo nominale, cartacea, quindi finta.

Perché e come nacque la deregolamentazione finanziaria va ricordato per avere più chiara la conoscenza della strategia dei poteri forti esistenti nella finanza.

Nel 1999 il Presidente della Commissione Banche del Senato USA era il Senatore texano repubblicano Phil Gramm, consigliere economico di John McCain e, in caso di vittoria di questi alle elezioni presidenziali del novembre 2008 alle quali si presentò candidato, possibile Ministro del Tesoro (l’indicazione fu data da McCain stesso).

Il senatore Gramm si batté anche nel 1999 perché il sistema finanziario USA fosse il meno regolato possibile. Le banche, grate, gli dettero 4,6 milioni di dollari di contributo elettorale in una logica – lecita negli USA – di protezione di interessi di lobby anche a scapito di interessi generali.

Il 12 novembre 1999 fu ratificato dal Senato degli Stati Uniti d’America il Gramm-Leach-Bliley Act, riforma bancaria di deregolazione radicale e di ridimensionamento dei controlli sulle banche d’investimento e sugli istituti di credito ipotecari. Il Gramm-Leach-Bliley Act è nato come legge di “modernizzazione” per consentire nuovamente agli istituti di credito di fare sia la normale attività bancaria che quella di banche d’affari senza una responsabile pesatura dei rischi finanziari che si determinano quando la stessa banca fa da intermediaria del credito, cioè raccoglie risparmi e concede prestiti, e contemporaneamente investe in proprio in titoli di società che operano sul libero mercato, che sono, quindi e per definizione, attività a rischio, e crea titoli finanziari strumentali per ulteriori operazioni.

Quella “modernizzazione” ripristinava precedenti leggi e modalità che avevano causato disastri negli U.S.A. e nel mondo. Infatti i tre senatori furono gli artefici del Financial Services Modernization Act (1999), che abrogò parti

fondamentali del Glass-Steagall Act. Quest’ultima legge fu approvata nel 1933 durante la depressione seguita alla crisi del 1929 – che fu drammatica per gli Stati Uniti d’America e trasferì deleteri effetti in tutto il mondo – per prevenire che le condizioni che l’avevano concausata si ripetessero in futuro. Il Glass- Steagall Act, infatti, aveva proibito alle banche commerciali e a società da esse controllate di sottoscrivere, detenere, vendere o comprare titoli emessi da imprese private; quindi quella legge aveva mantenuto in un ambito di maggiore prudenza la normale attività bancaria ed ebbe effetti positivi e fu copiata in tutto il mondo; anche in Italia la legge bancaria del 1936 ne tenne conto e stabilì la separazione tra la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito a breve termine – gestiti dalle aziende di credito ordinario – e la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito a medio-lungo termine – gestiti dagli istituti di credito speciali. Rappresentanti delle banche non potevano entrare nei Consigli di amministrazione delle società, le attività di assicurazione e bancarie non potevano essere svolte dalla stessa società e furono inserite altre limitazioni e regole che erano la traduzione italiana delle scelte della Glass-Steagall Act a protezione dell’autonomia del sistema di risparmio da quello speculativo al fine di non rendere ripetibile quanto avvenuto nel 1929.

Questa separazione venne decisa negli U.S.A. dopo che un comitato d’inchiesta (noto come Pecora Committee) – promosso dal Senato americano in seguito ai numerosi fallimenti frutto della crisi del 1929 – verificò che importanti banche avevano collocato presso i propri clienti titoli emessi da imprese loro affidate e che queste imprese avevano successivamente utilizzato i fondi così raccolti dai risparmiatori col collocamento di quei titoli per rimborsare i prestiti precedentemente concessi dalla banche stesse alle stesse imprese affidate emettitrici dei titoli. In sostanza, le banche avrebbero trasformato potenziali sofferenze a proprio danno per crediti di difficile recupero in emissioni di titoli delle società delle quali avevano acquisito partecipazione, titoli (azioni e/o obbligazioni) collocati presso i propri clienti trasferendo il fortissimo rischio di inadempimento ad essi e incassando il credito che avevano per gli importi dei fidi concessi. L’operazione di trasferimento del rischio dalle banche ai risparmiatori ed agli investitori – tecnicamente chiamata cartolarizzazione – si realizzerà di nuovo, settanta anni dopo la crisi del 1929, dopo l’operazione legislativa ora ricordata di Gramm, Leach e Bliley. Quindi, man mano, dopo il 1999 con la cartolarizzazione dei crediti sui mutui subprime si ripete consapevolmente la creazione di titoli societari che vengono offerti al pubblico, sottoscritti, e che diventeranno spazzatura. La storia statunitense, quindi, negli anni duemila già ben conosceva l’operazione ma nessuna autorità di governo e di controllo obiettò.

Nel 2000 il Senato statunitense approvò il Commodity Futures Modernization Act. Il New York Times riferì come la Commodity Futures Trading Commission (un’Agenzia governativa creata nel 1975 e consapevole della pericolosità di ciò che stava avvenendo) volesse creare una qualche modesta autorità regolatrice sui derivati. Si opposero all’idea il Ministro del Tesoro Robert Rubin, facente parte dell’Amministrazione del Presidente Bill Clinton, e il Presidente della banca federale Alan Greenspan, che in tale posizione era stato nominato dal precedente Presidente Ronald Reagan.

Sottolineo che Bill Clinton era democratico e insieme al britannico Tony Blair provò presto a proporre una cosiddetta “terza via”, mediana tra sistemi liberisti e socialdemocratici, coinvolgendo nell’adesione anche politici italiani tra i quali Massimo D’Alema, allora Presidente del Consiglio italiano. L’opposizione della Amministrazione Clinton alla creazione di un’autorità di controllo non era certo il segnale di voler intraprendere una “terza via”, ovviamente mitigatrice – per come illusoriamente sembrava che si volesse impostare – degli eccessi del liberismo e mi domando come non lo capissero gli aderenti a quell’idea di “terza via”. Ne parlo oltre.

Il Senatore Phil Gramm aiutò a guidare il processo di abolizione dei controlli con la Commodities Futures Modernization Act che liberalizzò il mercato dei derivati e quale Presidente della Commissione Finanze del Senato propose e fece introdurre disposizioni che deregolamentarono completamente il mercato azionario rendendo possibili i dark market, i mercati bui, così sono chiamati e la loro denominazione non ha bisogno di ulteriori dettagli esplicativi. Le nuove disposizioni di legge furono integrate su proposta di Gramm con una clausola di ben 262 pagine aggiuntiva al decreto generale per gli stanziamenti lungo già 11.000 pagine che deregolamentava i derivati, soprattutto i C.D.S. (Credit Default Swap, una specie di assicurazione impiegata in modo abbondantemente speculativo).

Raccontarono allora i cronisti parlamentari che l’integrazione fu fatta quando il Congresso stava sospendendo le sedute per le vacanze di Natale, non ci furono relazioni in aula da parte della Commissione presieduta da Gramm e nessuno seppe in verità cosa la clausola aggiuntiva contenesse. Così i Repubblicani, i poteri finanziari e tutti i liberisti ovunque collocati ottennero ciò che sognavano da anni: un mercato finanziario deregolamentato senza alcuna supervisione. Gli speculatori fecero un buon Natale. Uno dei tanti effetti di questa legislazione fu il rendere possibile – nel 2001 – la cosiddetta “scappatoia Enron” il cui fallimento rovinò azionisti e soprattutto i dipendenti dell’azienda petrolifera che persero tutto, cioè la retribuzione, il lavoro ed il fondo pensioni perché gestito dall’azienda ed investito in azioni della società medesima. Enron fu un’impresa petrolifera texana che, grazie all’assenza di controlli, poté manipolare i propri guadagni, i conti, tutto ciò che servì per portarla dal novantaquattresimo al settimo posto nella graduatoria delle imprese statunitensi, gonfiando più del doppio il valore di borsa, poi sprofondando in un fallimento che causò oltre ventimila disoccupati e milioni di dollari scomparsi dal fondo pensioni gestito aziendalmente. Non si può certo dire che il normale funzionamento del mercato possa essere questo.

Per supplemento d’informazione su Phil Gramm va riferito che egli era entrato a far parte del Consiglio di Direzione della Enron nel 1993 e sua moglie Wendy Lee, Presidente della Commissione per il commercio dei contratti a termine sulle merci durante la presidenza di Ronald Reagan, aveva fatto escludere i derivati riguardanti i prodotti energetici; la Enron si occupava proprio di petrolio. Phil Gramm era noto anche per la personale disinvoltura negli investimenti propri. Nel 1996 era stato travolto da uno scandalo per suoi investimenti nelle attività pornografiche; il New York Post lo soprannominò “Porno Gramm”.

Tra i prodotti derivati creati risplendono i C.D.S., acronimo che significa <credit default swap>; sono polizze per proteggersi in caso di insolvenza di emittenti di obbligazioni emesse proprio da società non in grado di reggere il rischio esistente che stava sempre più crescendo grazie alla crescita dei derivati in circolazione.

Per fare un esempio non identico ma equivalente sotto il profilo dell’irresponsabilità nella deregolazione a tappeto senza garanzie di cui sto parlando é come se in Italia le compagnie di assicurazione fossero esonerate dall’obbligo delle riserve in bilancio per coprire i rischi possibili e probabili e potessero assumere rischi a piacere, senza limiti e senza garanzie per i sinistrati e, conclusivamente, creare così un falso sistema assicurativo; e considerare ciò legale e normale.

Dunque, finalmente i derivati erano senza controllo negli Stati Uniti d’America e poi dovunque, realizzando la globalizzazione finanziaria contro la quale le culture socialdemocratica, laburista e comunista post Unione Sovietica non sono state in grado di proporre e – laddove al governo – legiferare nel senso contrario o di efficace contenimento. Anzi, gli esponenti politici di quelle culture hanno, in molti paesi, pensato di gestire il nuovo funzionamento della finanza considerandolo un’evoluzione; e, effettivamente, tale era ma nel senso della esasperazione delle possibilità positive per i gestori finanziari più spregiudicati e delle negatività per il resto dei cittadini, delle imprese e per le stesse economie degli Stati.

Le presunte tutele dei cittadini si sono palesate con la creazione di moduli di presa di conoscenza dei rischi da parte dei cittadini investitori dei loro risparmi; la giustificazione è stato l’assolvimento dell’obbligo di far conoscere agli investitori ciò che stanno autorizzando affinché siano consapevoli ma la sostanza è che in caso di perdite finanziarie l’investitore non potrà rivalersi perché, avendo sottoscritto il modulo, gli sarà obiettato che era consapevole del rischio. Nell’Unione europea la direttiva sul questionario Mifid ha questo scopo.

La crisi finanziaria mondiale del 2008 fu frutto di questa globalizzazione finanziaria. La causa prima, quella riferita ai mutui subprime non fu la causa della crisi, come tentarono di farci credere, ma le società immobiliari esplosero perché la causa era il sistema finanziario complessivo creato e all’interno del quale quei mutui giunsero solo prima di altri strumenti a rivelare la balordaggine del sistema stesso. Il seguente paragone è calzante. Se una stanza chiusa piena di gas esplode perché è stato acceso all’interno di essa un accendino la causa del disastro non è l’accendino ma l’aver riempito di gas la stanza chiusa.

“LA TERZA VIA”

Chi si imbarcò nella “terza via” di Blair e di Clinton non ha lasciato effetti positivi nelle società occidentali ma ha contribuito alla diffusione di politiche che hanno danneggiato i ceti meno abbienti, i ceti cosiddetti medi e perfino massacrato popoli e paesi. Attribuisco a costoro visioni e ricerche improvvisate o comportamenti politici opportunistici e i pentimenti postumi di alcuni sostenitori (Massimo D’Alema, ad esempio, nel 2014) non servono. E pensare che l’entusiasmo li portò ad ospitare in Italia, a Firenze, l’incontro di fondazione; ci furono Bill Clinton, Presidente degli U.S.A. con la consorte Hillary, Tony Blair, Primo Ministro britannico, Massimo D’Alema, Primo ministro italiano, Gerhard Schroeder, Cancelliere tedesco, Lionel Jospin, Primo Ministro francese, Fernando Cardoso, Presidente brasiliano, Romano Prodi, Presidente della Commissione europea.

“La terza via” era la ricerca di una via tra liberalismo e socialdemocrazia, costruita sulla notorietà dei politici proponenti – tutti al momento del loro potere politico più forte – e sul protagonismo nuovista degli aderenti, ma priva di una base di studio filosofica, economica, sociologica. Essa è diventata, evanescendo, solo la ruota di scorta della macchina liberista e ha contribuito all’affermazione senza freni di quest’ultima. Si è persa la validità della proposta perché velleitaria e inconsistente.

Il filone dei provvedimenti legislativi italiani in chiave deregolamentatrice seguì la logica politica della “terza via”, con l’introduzione di modificare l’organizzazione dei rapporti di lavoro su basi innovative attribuendo al legislatore la possibilità di decidere alcuni aggiustamenti lenitivi (la medicazione dopo la ferita, per intenderci con un esempio) per i lavoratori colpiti da cause dipese dal funzionamento del mercato libero e da comportamenti di imprenditori che avessero applicato le nuove leggi abolitrici o ridimensionatrici di diritti. L’innovazione consisteva nel modellare i rapporti al servizio del mercato, comunque funzionasse, facendo vincere i valori del noto detto che le società umane sono al servizio dei mercati e non che i mercati devono essere al servizio delle società umane. Il cosiddetto jobs act è stato tra gli ultimi atti più significativi di tale legificazione.

Un corollario a queste ultime informazioni e considerazioni autorizza a dire che l’essere sostenitore di tal modo di funzionamento dell’economia e dei diritti porta ad essere dalla parte opposta a quella di coloro che per nulla le condividono e a coloro che pur avendo condiviso “la terza via” si sono poi resi conto dell’errore. I sostenitori del funzionamento liberista si ripartiscono in posizionamenti partitici variamente denominati, conservatori, destre, liberali, liberisti, centristi, riformisti, democratici, europeisti, o non denominati con qualifiche politiche ma di altro genere con sostantivi indicanti movimento o aggettivi qualificativi o altro ancora. Il fattore comune che li collega è chiaro, l’accettazione del sistema; i distinguo sono solo sui particolari.

Dalla parte opposta sono coloro che hanno la visione che si denomina socialista, socialdemocratica, socialista liberale (non liberalsocialista, ma non ne parlo in questo contesto per non divagare) e costoro sono effettivamente dalla parte opposta se i contenuti delle politiche proposte e praticate sono coerenti, altrimenti ci sarebbe una mistificazione o, a ben volere, un cedimento, e ciò è accaduto nell’Europa occidentale negli ultimi quaranta anni a molti partiti di tali ispirazioni.

In tal contesto il conflitto sociale è diventato un ingombro perché al massimo le forze di governo – anche quelle di orientamento socialdemocratico, laburista e comunista post Unione sovietica – hanno strutturato e organizzato, a volte male, provvidenze di risarcimento (quelle che ho definito lenitive) a ceti che gli effetti delle politiche neoliberiste deregolementatrici hanno messo ai margini con le varie forme di disoccupazione, precariato, parziale occupazione, perfino emarginazione e povertà. Anche povertà; sono noti i preoccupanti dati italiani.

Quando la strutturazione dei provvedimenti lenitivi e la legislazione conseguente sono state fatte da forze di governo populiste i provvedimenti – approssimativi, spesso – si voleva che apparissero come un successo identitario di parte, mancando in quei movimenti la consapevolezza del processo macroeconomico, macrofinanziario e sociale attraversato dal paese e dalle economie occidentali che avrebbe richiesto ben altra qualificata elaborazione politica e proposta programmatica.

Solo come esempio ricordo la strutturazione iniziale del reddito di cittadinanza e la tardiva e inefficiente organizzazione del collocamento al lavoro connesso direttamente a detto istituto. Questo istituto è un tipico provvedimento lenitivo proposto da chi non aveva la minima idea – al di là delle parole di rito – di come si é trasformata la società italiana e per ciò ha indicato che i provvedimenti e le posizioni politiche non dovevano essere di destra né di sinistra, menando vanto di questa non conoscenza dell’analisi della società, come se provvedimenti tecnici e assistenziali potessero sostituirsi alla visone politica.

Ho citato il reddito di cittadinanza e chiarisco che gli aiuti a chi ha bisogno vanno dati, comunque, ma in tal caso il movimento politico proponente attribuiva a questo istituto un carattere identitario, strategico, non capendo che esso non era un capitolo palingenetico delle politiche sociali ma solo un diverso tassello lenitivo che per nulla scalfiva la struttura economica liberista. Penosamente ridicola fu l’affermazione che il reddito di cittadinanza avesse eliminato la povertà!

In questo quadro economico e sociale si sono inseriti tentativi, alcuni falliti ma altri riusciti, di normalizzare l’Italia portandola verso nuove norme costituzionali e modifiche istituzionali per poter gestire con maggiore scioltezza il potere governativo nel nuovo contesto deregolamentato.

Si ascrivono a questi tentativi la cosiddetta riforma costituzionale bocciata dal referendum del 2016, le leggi elettorali succedutesi dal “porcellum” al “rosatellum”, l’abolizione delle elezioni per le amministrazioni provinciali, la riduzione dei consiglieri comunali e regionali, la riduzione del numero dei deputati e dei senatori.

In particolare per le elezioni dei parlamentari il sistema vigente svuota il contenuto della parola democrazia riferita alla obbligata non scelta degli eletti, notoriamente predestinati dai segretari dei partiti in competizione.

Non sono finiti i tentativi di peggioramento sociale e di aumento delle diseguaglianze. La tassa piatta (flat tax) è concettualmente chiara e – per usare un modo di dire – farebbe pagare ai meno abbienti il conto dei più abbienti, con riduzione di servizi pubblici importanti quali la sanità, l’istruzione, la giustizia, i trasporti, e introducendo iniquità fiscale in contrasto netto con la progressività prevista dalla Costituzione.

Altrettanto chiara è la proposta di autonomia differenziata regionale basata sulla spesa storica e su altri tecnicismi a favore di chi già è in posizione di vantaggio. La secessione istituzionale che non riuscì al leghismo bossiano sarebbe sostituita dalla divisione sociale tra regioni. Le forze politiche che seguirono la “terza via” hanno la responsabilità di aver dato l’avvio ad un processo di revisionale costituzionale nel 2001 con la modifica del titolo quinto della Costituzione, preliminare alla tempesta che seguirà.

SCOMPARSI

Dalla scena politica governativa sono scomparse le entità politiche che si riferivano alla socialdemocrazia, al laburismo e al comunismo post Unione Sovietica; ne sono rimaste testimonianze ridotte che appaiono finalizzate alla sopravvivenza dei ridottissimi gruppi dirigenti o testimonianze ancora ideologizzate non pronte ad un’azione di revisione storica in grado di confrontarsi con la realtà descritta, più legate ad un nostalgico metodo di denuncia peraltro improduttivo di consensi e di risultati utili.

La riduzione della capacità di incidere sulle scelte da parte dei cittadini fa registrare la riduzione di iscritti ai partiti, la impressionante riduzione di partecipazione alle elezioni e la diffusa critica ai partiti in quanto organizzazioni piuttosto che alle loro politiche, come sarebbe corretto che fosse.

RUOLI MULTIPLI

Una foto non inappropriata la inserisco a questo punto e la considero connessa alla trasformazione planetaria alla quale sto facendo cenno. Essa riguarda la trasformazione del ruolo di molti politici e il ruolo primario di cosiddetti tecnici, frutto di una depoliticizzazione apparente della politica, nel senso che l’emergere di personalità cosiddette tecniche in ruoli politici non è una riduzione della politica, ma un cambio della politica; cioè alle scelte determinate dalle visioni di società che sono pensiero dei partiti politici si sostituiscono in tutto o in parte le scelte di visioni di società degli ambienti e consorzi culturali di provenienza delle personalità tecniche incaricate di responsabilità primarie della politica e del governo. Così avvenne con l’emergere di Lamberto Dini, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti, Mario Draghi, persone rispettabili ma interpreti di ruoli coerenti con le loro esperienze e formazioni culturali, professionali, ambientali, ideologiche.

Con la globalizzazione in atto si verificano senza scandalo passaggi dalla politica alla consulenza internazionale, dalla politica all’industria e alla finanza multinazionali e dalla finanza alla politica, così sottolineando che il processo di apparente depoliticizzazione della politica in verità è un processo di influenza discutibile tra ambiti che hanno ruoli diversi e, nel nuovo quadro, chi perde la propria caratterizzazione di ruolo è appunto solo la politica.

Così apprendiamo che José Manuel Durão Barroso, dal 2004 al 2014 Presidente della Commissione europea, già Ministro e Primo Ministro del Portogallo per il Partito Socialdemocratico Portoghese (a dispetto della denominazione non è un partito di sinistra ma il principale partito conservatore lusitano), dopo il suo altissimo incarico europeo è Presidente non esecutivo e Advisor della banca d’affari Goldman Sachs dall’8 luglio 2016. Partito da una militanza in un movimento maoista portoghese (il Movimento Riorganizzativo del Partito del Proletariato) e nel gruppo di guida della Federazione degli studenti marxisti-leninisti, finì come protagonista di ben altra prassi ideologica.

Così apprendiamo che Gerhard Fritz Kurt Schröder, già Ministro e Cancelliere tedesco, pochi mesi dopo la fine del suo mandato politico, è stato nominato da Gazprom – la multinazionale russa controllata dal governo della Federazione Russa – che si occupa di energia e miniere ed in special modo dell’estrazione e vendita di gas naturale – a capo del consorzio Nord Stream AG, che si è occupato della costruzione dell’omonimo gasdotto tra la costa russa nella regione di Vyborg e la costa tedesca nella regione di Greifswald, passando per il Mar Baltico. In seguito si è occupato della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 ed è stato nominato Presidente di Rosneft, società russa operante nel settore petrolifero e del gas naturale.

Così leggiamo che Matteo Renzi partecipa con una qualifica probabile di consulente ad attività del fondo finanziario della famiglia reale dell’Arabia Saudita con un compenso di ottantamila dollari annui da quando era anche Senatore italiano e Membro dal 14 dicembre 2021 della 3ª Commissione permanente del Senato italiano, competente per gli Affari esteri e l’ emigrazione.

Così apprendiamo che l’ex Primo Ministro britannico Tony Blair, cessati gli incarichi politici e di governo, ha cessato anche di interessarsi della classe lavoratrice britannica ed ha consulenze per finanziamenti e non solo con i governi di Kazakistan, Albania, Kosovo, Kuweit, Abu Dabi, Oman, Guinea, Ruanda, Liberia, Sierra Leone, Sud Sudan, Romania, Mongolia e Colombia. Egli è anche consulente di “Jp Morgan”, importante banca d’affari americana che gli paga due milioni e mezzo di sterline l’anno e del gruppo assicurativo svizzero, operante in tutto il mondo, “Zurich financial services”. A Pristina, in Kosovo, gli hanno già intitolato una piazza.

Con una battuta dico che Tony Blair ha trovato in questo modo la sua “terza via”.

Così leggiamo che Mario Draghi, Direttore Generale del Tesoro italiano dal 1999 al 2001, diventa Advisor, Managing Director e vice Presidente della banca Goldman Sachs dal 2002 al 2005, poi Governatore della Banca d’Italia, poi Presidente della Banca Centrale Europea dall’1 novembre 2011 al 31 ottobre 2019 e poi Presidente del Consiglio dei Ministri italiano. Così apprendiamo che Romano Prodi, già Ministro di un Governo con Andreotti, già Presidente del Consiglio italiano (1996-1998 e 2006-2008), nonché Presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, è stato consulente della banca Goldman Sachs nel periodo in cui era Presidente dell’IRI, sostenitore della “terza via” e cofondatore del Partito Democratico.

E ancora Mario Monti, prima di essere Presidente del Consiglio italiano dal 2011 al 2013, era stato dal 1999 al 2004 Commissario europeo per la concorrenza nella Commissione europea – periodo coincidente con la Presidenza della Commissione europea di Romano Prodi – e poi divenuto International Advisor di Goldman Sachs dal 2005 al 2011. Ancora, apprendiamo che dopo essere stato per tre volte sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (1994-1995, 2001-2006 e 2008- 2011) sotto la Presidenza Berlusconi, Gianni Letta nel 2007 è entrato a far parte dell’Advisory Board della banca d’affari newyorkese Goldman Sachs.

E così leggiamo che Henry Paulson, Sottosegretario al Tesoro durante il periodo dell’Amministrazione del Presidente repubblicano Bush dal 2006 al 2009 fu l’artefice del salvataggio dei colossi bancari americani, per salvare i quali impose l’acquisto dei titoli da parte del Governo.

L’intero sistema bancario mondiale era in crisi e le banche statunitensi in particolare, dato che l’abolizione della Glass-Steagall Act aveva liberato le banche da ogni remora e prudenza per moltiplicare affari su affari, anche su quelli anomali. Tra le banche a rischio di crollo figurava pure la Goldman Sachs. Henry Paulson era stato l’Amministratore delegato di Goldman Sachs dal 2000 al 2006, fino al suo ingresso nel governo di Bush.

Va anche saputo che la Security and Exchange Commission aveva già multato la Goldman Sachs per frode proprio per un’operazione condotta da Paulson come Amministratore delegato di quella banca in seguito alla quale gli investitori avevano perduto circa 1 miliardo di dollari. Ciò non gli impedì l’incarico di governo.

Pochi anni prima, il governo del Presidente democratico Bill Clinton, aveva avuto dal 1995 al 1999 come Sottosegretario al Tesoro Robert Rubin dopo una di lui attività ventennale alla Goldman Sachs.

Phil Gramm, si dimise dal Senato prima della fine del mandato e assunse nel dicembre 2002 la carica di Vice Presidente della potentissima banca di investimento svizzera UBS, poi entrata in difficoltà anch’essa a causa degli effetti della deregolazione di cui fu padre e soccorsa finanziariamente dal governo svizzero perché il suo dissesto avrebbe avuto conseguenze inimmaginabili sull’economia e sulla finanza elvetiche.

POTERI FORTI

Chi dice che i poteri forti non esistano o non saprebbe individuare dove hanno le loro covate queste informazioni appena riferite sulle multinazionali e sulla finanza possono dare un aiuto di verità, non sono supposizioni o interpretazioni. E questi poteri forti vedono agire personalità di molte provenienze partitiche e anche di incoerenze clamorose tra le aspirazioni e i valori praticati durante la vita.

Cosa accomuna quelle personalità ? Credo che si possa dire che li accomuni la sostanziale accettazione del sistema che il liberismo ha costruito in termini di modalità di accumulazione e distribuzione. Si distinguono tra loro sostanzialmente e prevalentemente per un aspetto non secondario. Ci sono quelli che confidano che il liberismo sistemi automaticamente col mercato del lavoro i problemi sociali nel lungo termine – o così dicono anche se non lo pensano veramente – anche se molti di loro valutano che sia naturale una società stratificata con noncuranza degli ultimi e considerino di sistema una percentuale di disoccupati e di poveri; e, nella predetta distinzione, ci sono quelli che accettando il sistema liberista ritengono che occorra ridurre le pene sociali con provvedimenti lenitivi. Questi sono i buoni. In Italia i primi si autodefiniscono in genere liberali, comprendono anche i conservatori e taluni giungono a definirsi riformisti, usando un termine, quest’ultimo, che indica soltanto un metodo che è contrapposto al massimalismo rivoluzionario e non indica la sostanza di contenuti; i secondi si definiscono democratici o progressisti o riformisti ma hanno il giusto pudore di non definirsi socialisti o socialisti democratici o in modo simile perché abuserebbero del titolo.

I LAVORI, INIZATI DA TEMPO, PROSEGUONO

L’azione dei poteri forti, come visto da alcune date (1995 Marrakech, 1999 Senato degli Stati Uniti) è partita da tanto tempo, ma i lavori erano preparati ancora da prima. Riporto a tal riguardo due pezzi illuminanti, uno precedente e uno successivo le date ora ricordate, a conferma di una continuità dell’azione dei poteri forti in economia, in finanza e in politica. Aggiungo una testimonianza di uno dei pilastri del liberismo sfrenato, la ex Primo Ministro britannico Margaret Thatcher.

Il primo pezzo riguarda Gianni Agnelli, ex Senatore a vita italiano (nominato dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga), Presidente della FIAT e della Confindustria e membro della Trilateral Commission, il gruppo di studio e potere economico fondato nel 1973 da David Rockefeller, presidente della Chase Manhattan Bank, luogo di incontro e studio per oltre trecento partecipanti da tutto il mondo e di diramazione di comportamenti economici, industriali, finanziari interessati. Insomma una delle sedi di decisione degli orientamenti dei poteri forti nel mondo, oltre il noto e più ristretto gruppo Bilderberg.

In un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” il 30 gennaio 1975 Agnelli dice : “Probabilmente dovremo avere dei governi molto forti, che siano in grado di far rispettare i piani cui avranno contribuito altre forze oltre a quelle rappresentate in Parlamento; probabilmente il potere si sposterà dalle forze politiche tradizionali a quelle che gestiranno la macchina economica; probabilmente i regimi tecnocratici di domani ridurranno lo spazio delle libertà personali. Ma non sempre tutto ciò sarà un male. La tecnologia metterà a nostra disposizione un maggior numero di beni e più a buon mercato”. >

Non c’è bisogno di commenti, il testo è chiarissimo, la previsione realizzata. La riduzione dei diritti dei lavoratori, avendo colpito lo “statuto dei diritti dei lavoratori”, e la creazione della flessibilità del lavoro diffusa e abusata sono tra le riduzioni degli spazi di diritti e libertà personali. Come lo sono le leggi elettorali non proporzionali e altro. In cambio sono a disposizione i prodotti usa e getta e gli articoli tecnologici non duraturi, tutti prodotti dalle multinazionali. Agnelli preannunciava il telefono cellulare e google e tutto ciò che possiamo annoverare nello scambio improprio di democrazia con tecnologia. Questo è il quadro di felicità sottinteso promesso nel 1975.

Molte cose potrebbero essere riferite su Gianni Agnelli, soprannominato “l’Avvocato”. Riferisco due aneddoti attinenti a questa narrazione. Quando Silvio Berlusconi stava per entrare in politica commentò così: «Se vince, avrà vinto un imprenditore, se perde avrà perso Berlusconi» e gli votò la fiducia. Nel 1998 votò la fiducia al governo presieduto da Massimo D’Alema e lo commentò così alla stampa : «… oggi in Italia un governo di sinistra è l’unico che possa fare politiche di destra». Era il periodo dell’abbraccio della “terza via”.

Il secondo pezzo è d’oltreoceano. La banca d’affari americana JP Morgan Chase & Co, con sede a New York, leader nei servizi finanziari globali, il 28 maggio 2013 esprime il punto di valutazione dei poteri finanziari internazionali contenente considerazioni critiche sui sistemi politici e costituzionali dei paesi del sud Europa. L’analisi non è fine a sé stessa, ma è il presupposto per le azioni che i poteri forti devono compiere per eliminare le criticità rilevate dal loro punto di vista e di interesse. Va da sé che le criticità da eliminare sono quelle che toccano gli interessi dei poteri forti medesimi. L’analisi delle banca osserva che : «All’inizio della crisi si pensò che i problemi nazionali preesistenti fossero soprattutto di natura economica: debito pubblico troppo alto, problemi legati ai mutui e alle banche, tassi di cambio reali non convergenti, rigidità strutturali. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei paesi del sud e le loro costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire un’ulteriore integrazione dell’area europea (..) I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo».

Quindi il documento entra nel dettaglio dei difetti riscontrati: «I sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo”.

Dunque, l’integrazione europea da favorire è quella basata sull’austerità per i popoli e per la libertà per la finanza. Italia, Grecia, Portogallo e Spagna hanno troppe libertà e troppe leggi socialiste, come, per esempio in Italia è la preziosa Costituzione nata dall’Assemblea costituente; in Italia il popolo ha troppe cose, il servizio sanitario nazionale certamente diverso da quello nordamericano, ha i diritti dei lavoratori e l’INAIL, le università non costose come i “colleges”, la tutela della gravidanza e della maternità e del lavoro in detti periodi, e così via.

Anche per questi due riferimenti qui citati – su Gianni Agnelli e su JP Morgan Chase & Co – non occorrono interpretazioni. Appena due anni dopo capitò il disastro del bilancio greco e i poteri forti colsero l’occasione di punirne il popolo salvaguardando gli interessi delle banche tedesche e francesi, in primo luogo. Aggiungo la testimonianza storica di Margaret Thather riferita dal Prof. Marco Damiani dell’Università di Perugia in una monografia in lingua inglese edita dalla casa editrice britannica Routledge nel 2020.

L’autore “descrive l’incontro tra un ingenuo parlamentare conservatore britannico e Margaret Thatcher, quando l’ex premier inglese era già uscita dalla scena politica, agli inizi degli anni Duemila. Al parlamentare che le chiede quale considerasse il suo maggior successo politico, Thatcher risponde in una maniera estremamente lucida”…” E dice: “Il mio più grande successo politico è stato Tony Blair, che è la dimostrazione che abbiamo costretto il Partito laburista dentro il nostro campo culturale di riferimento, e, a quel punto, in qualsiasi modo fossero andate le cose, noi avremmo comunque vinto”.

La sintesi di colei che fu definita la “The Iron Lady”, trasferito e usato in italiano con “Lady di ferro”, supera in chiarezza e nel giudizio definitivo qualsiasi spiegazione che illustri come ci si può anche definire laburisti o socialdemocratici o socialisti o democratici o progressisti o riformisti o di sinistra ma ciò che qualifica sono le politiche praticate e il campo culturale al quale effettivamente si appartiene.

Infine ecco un’ultima informazione storica riguardante l’oggetto d’intervento dei poteri forti nel mondo, sperando che sia chiaro che quando si parla di essi non si inventano storie.

Dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo si lesse sul World Investment Report 2000, Unctad, New York – Ginevra 2001, che allora circa 60.000 società transnazionali disponevano di quasi 500.000 filiali nel mondo. Le prime 200 gestivano nel 2000 circa il 25% del prodotto mondiale lordo. Ovviamente dopo oltre venti anni è cresciuta la percentuale gestita con anche l’aggiunta delle imprese cinesi e con l’espansione della quota del prodotto mondiale lordo. L’espansione è stata aiutata anche dal WTO.

Non risulta che a fronte delle strategie altrui ci sia stata in Italia una riflessione adeguata sul potere esercitato e sulle influenze politiche e legislative né una contrapposizione ragionata di visione e di contenuti proposta ai cittadini ed agli elettori dai partiti che si collocherebbero alla sinistra dello schieramento parlamentare.

SEDERE A SINISTRA

In questo contesto, tornando, in Italia, l’essere “di sinistra” oggi – con riferimento a chi occupa più o meno quello spazio in Parlamento – va corretto con lo “stare seduti a sinistra”. E’ un riferimento a dove si poggia il sedere, non dove risiedono le culture, le idee, le identità, le proposte, le azioni. Purtroppo non c’è più il significato di identità per coloro che di cultura socialdemocratica, laburista, ambientalista, non fanno neanche professione verbale; eventualmente se ne servono strumentalmente per fini elettorali o per altre operazioni non riguardanti la linea politica effettiva e le azioni conseguenti. Trovo corretto che chi siede attualmente nei banchi di sinistra non si attribuisca detto significato identitario, proprio perché non lo possiede.

Però costoro dovrebbero anche capire che la richiesta di soli diritti sociali (per esempio lo jus soli, la punizione per le discriminazioni di genere, lo jus scholae, il diritto alla morte assistita) non fanno essere di sinistra se manca niente meno che tutto il resto nel campo sociale, economico, sul ruolo delle imprese pubbliche, sul ruolo della sanità pubblica, sui contenuti della politica della Commissione europea, sulla non trasformazione della scuola in un diplomificio con poca cultura, se non si dà solidarietà ai sindacati che proclamano lo sciopero generale per conseguire politiche economiche e sociali migliori, se non si evita lo spezzettamento dell’Italia con autonomie regionali differenziate a contenuti variabili, se non si ha una visione complessiva del paese per un funzionamento sociale non deciso da pochi nell’interesse di pochi.

NON SEDERE A DESTRA NE’ A SINISTRA

Il non possedere una visione complessiva del paese riguarda anche coloro che nel Parlamento italiano non siedono a sinistra, non siedono a destra, non si sa dove siedano, siedono ma non siedono, non siedono a destra né a sinistra e usano termini e approssimazioni sicuramente populiste, anche ad effetto, ma devono ancora scoprire il significato e il contenuto delle parole “visione politica generale”. La fascinazione populista ha toccato e tocca parte degli italiani e tuttavia essa ha dato risultati che niente hanno scalfito del sistema liberista perché l’assenza di una visione organica consente denunce e clamori ma non la modifica dei fondamentali.

ORGANIZZARSI DA CAPO

La nascita di movimenti nazionali e locali e di gruppi civici ha genesi diverse, non tutte cristalline e apportatrici di valore partecipativo consapevole della funzione della politica. E’ nato di tutto. Sono nati anche associazioni e gruppi civici di cittadini molto sensibili al valore della politica e della buona amministrazione locale, quindi della proposta e della ricerca di aggregazione positiva.

Questi ultimi, quelli seri, hanno deciso di prendere atto e hanno dichiarato che il tema svolto dai partiti attuali secondo il manuale liberista non li interessa e sono pronti a contrastarlo. Hanno preso atto che la transizione ecologica è un tema che riguarda l’esistenza dell’umanità e quindi va assunto nella sua totalità nell’impegno politico. Sono consapevoli che essi oggi rappresentano una minoranza responsabile e non si pongono l’obiettivo del seggio e dell’incarico amministrativo al singolo ma quello del contenuto delle leggi e di tutti i provvedimenti che riguardano i cittadini e gli interessi generali.

Stiamo vivendo una fase politica nella quale occorre essere all’opposizione, praticare una contestazione propositiva e di lotta all’occorrenza. Ciò sarà contemporaneamente facile per la chiarezza di combattere visioni (talvolta non visioni) inaccettabili ma sarà anche difficile perché il possedere cultura di governo fa soffrire molto il non poter incidere e correggere immediatamente nell’interesse generale.

L’ organizzazione minima per una prospettiva di azione efficace è il livello locale e regionale con la creazione di un movimento regionale politico che federi le realtà associative di comitati, di gruppi civici locali che si riconoscano in queste analisi.

La cultura ambientalista, quella che ragiona sulle scelte strategiche e tattiche da compiere e agisce di conseguenza, evitando assolutamente verbalismi roboanti inconcludenti e perfino dannosi, è perno per il contributo di analisi, idee, proposte ed azioni del movimento regionale. La tematica ambientale è il sistema nel quale tanti fattori fondamentali interagiscono per l’agricoltura, per l’energia, per la salute, per nuove occupazioni e non solo. La cultura civica della intelligente amministrazione locale, quella che fa perno sul rispetto dei beni comuni e dell’interesse dei cittadini, della giustizia fiscale locale e dell’efficienza e congruità dei servizi pubblici, è perno per dare basi di effettivo consenso e di individuazione di esigenze e di partecipazione.

La cultura socialista per la giustizia sociale, l’uguaglianza di opportunità, per il lavoro base del fondamento della realizzazione della persona, è perno di idealità che qualificano la tendenza non generica, non semplicisticamente democratica o genericamente progressista o metodologicamente riformista del movimento.

L’appello che rivolgo a chi è impegnato generosamente in varie attività, associazioni, comitati tematici, volontariato è di considerare che l’impegno politico dev’essere complessivo, globale, perché le tematiche da affrontare non sono parcellizzate ma fanno parte, pur con le loro specificità, di una visione generale, appunto globale. Ciò hanno capito bene i poteri forti realizzando la globalizzazione in campo economico e finanziario. Una visione generale non parcellizzata devono condividere le persone impegnate di buona volontà.

La conseguenza di queste osservazioni porta a far confluire le varie entità esistenti – quelle che si impegnano per una scuola migliore; o per la parità tra i generi; o per i diritti degli omosessuali; o per il diritto al lavoro; o per la solidarietà internazionale; o per la tutela dell’ambiente; e così via – in un unico alveo di comunicazione, interazione, proposta ed azione che si chiama entità politica organizzata.

Tutti hanno la possibilità di federarsi, mantenere autonomia di studio ed elaborazione e concludere il loro lavoro in sintesi condivise, allargate e più incisive e partecipate. Da qui nasce l’idea del movimento/partito nazionale federato basato su movimenti regionali federati che guardi al presente e al futuro.

Le esperienze politiche italiane del passato sono nella memoria, nella storia, per il bene e per il male, ma non possono essere nell’azione perché la globalizzazione, la finanziarizzazione, il cambio del clima – e bastano queste tre citazioni – hanno realizzato problematiche italiane e mondiali non individuabili pochi decenni fa, perché non esistenti né conoscibili o non dimensionabili negli effetti e oggi non trattabili con schemi di ragionamento datati.

Il Movimento che deve nascere non ignorerà che l’Italia è in Europa; che l’Europa ha garantito pace al proprio interno e ciò è un bene irrinunciabile; che le istituzioni europee non devono essere denigrate e l’integrazione deve avanzare recuperando effettivamente il modello sociale che ci è caro; l’Europa deve agire come unica entità a livello internazionale per non perdere potere a favore di altri sistemi geopolitici. La difesa delle istituzioni europee non limita affatto le giuste critiche alla gestione liberista della Commissione e al contenuto di tante Direttive emanate nonché la convinta richiesta di modifiche e di legislazione europea di segno ben diverso. Occorre la politica anche al livello europeo.

Il movimento che deve nascere dev’essere di sinistra non nel senso di sedere a sinistra nelle aule elettive. Il movimento deve far ripartire l’occupazione di spazio democratico e sociale che è dolosamente vuoto. Se passiamo alla stesura in ogni regione dello statuto del MOVIMENTO SOCIALISTA AMBIENTALISTA CIVICO compiamo l’atto giusto per la riscossa.