EPINAY! MA DI CHE PARLA PIERO FASSINO?

di Mauro Scarpellini – Resp. Amm.vo Socialismo XXI |

A parte, è riproposta l’intervista che fu fatta da Il Messaggero il 17 marzo 2007 al Segretario dei DEMOCRATICI di SINISTRA On. Piero Fassino.

Nei giorni scorsi l’Onorevole Fassino, prendendo atto della sconfitta elettorale del 25 settembre 2022 del suo attuale partito – il Partito Democratico – ha parlato della necessità di una rivitalizzazione del suo partito col metodo Epinay. Il nome di quella cittadina a nord di Parigi ricorda la costituzione del Partito Socialista francese nel 1971. A Epinay convennero varie formazioni politiche, socialiste, socialdemocratiche, cattolico-sociali, radicali, si unirono e fondarono una nuova entità organizzata. Francois Mitterrand ne fu il primo Segretario.

Francois Mitterrand

L’Onorevole Fassino evoca e propone, non si sa a chi, il metodo, ma omette di ricordare che lo scopo raggiunto dell’incontro-congresso di Epinay fu la costituzione di un Partito Socialista. Non so come sia possibile coniugare la genericità del suo attuale partito con una denominazione molto precisa ed inequivocabile.

Del METODO Epinay parla e scrive l’Associazione Socialismo XXI secolo dalla sua fondazione e lo proposero compagni sin dal 2016. Penso che a molti aderenti e dirigenti del Partito Democratico Epinay sia sconosciuto.

In tanti esponenti del PD dicono dopo le elezioni politiche generali che occorre ripensare la strategia, i metodi e così via e una folla di loro si è già candidata a Segretario; candidati senza programma, come si usa da tempo; candidati autopropostisi con un Twitter. Quanta liturgia propinò quel partito sulle primarie, necessarie per designare questo e quello, perché partecipate, perché democratiche; tanto democratiche da far partecipare anche i non iscritti al partito; tanto democratiche da far partecipare gli estranei. Beh, un bilancio va fatto. Un bilancio confronta il consuntivo col preventivo e spiega quel che è accaduto.

Ebbene un aiuto all’Onorevole Fassino lo voglio dare dandogli il preventivo che lui presentò quando era Segretario dei DS e imboniva gli iscritti all’accettazione del matrimonio.

Il mio aiuto è il riproporre l’intervista-preventivo alla quale mi concedo un commento.

Il 17 marzo 2007 nell’intervista il Segretario Onorevole Fassino dice, tra l’altro, lo scopo del nascituro Partito Democratico. “Vogliamo unire tutti i riformismi, non solo quelli post DC e post comunisti”. …

Non ricordo – ma non è una mia mancanza di memoria – che i comunisti si siano caratterizzati sul piano politico, ideologico e di scelta nel solco del riformismo che non fu una proposta di Togliatti o Longo, di Berlinguer, né di Natta, ma di Turati. Quindi l’attribuzione di riformismo post comunisti si riferiva evidentemente al PDS-DS, ridenominato alla Bolognina perché il Segretario del PCI Onorevole Occhetto prese solo atto che l’Unione Sovietica non c’era più e bisognava per forza cambiar nome, non per scelta. Non ricordo che ci fosse stata una competizione con i socialisti per chi fosse il vero riformista! Non lo ricordo perché non ci fu.

Per i post DC, cioè il Partito Popolare con i Segretari Martinazzoli, Marini, Buttiglione, Bianco, Castagnetti, l’ispirazione fu sempre all’enciclica Rerum novarum, non fu certo al riformismo turatiano. Non ricordo una competizione con i socialisti su questo punto. Non lo ricordo perché non ci fu. E poi perché l’intervistato mancò di rispetto alla parte coniuganda attribuendole un’ascendenza riformista quando quella parte rivendicava la propria ispirazione alla dottrina sociale della Chiesa?

Due forzature storiche sono due bugie. L’unico riformismo da unire a quelli che lui indicava era quello socialista, ma egli non lo citò nell’intervista. 

L’Onorevole Fassino, rispondendo a una delle tante domande indica nel Pantheon del nuovo partito le seguenti 13 persone, nessuna delle quali si caratterizzò per la politica riformista – intesa come metodo non rivoluzionario per cambiare i rapporti sociali in una comunità – ma ognuno di loro si caratterizzò per altri aspetti specifici e individuabili uno per uno : Gramsci, Berlinguer, Don Minzoni, De Gasperi, Moro, Gobetti, Ernesto Rossi, Spinelli, Ugo La Malfa, Einstein, Mandela, Luther King, Ghandi.

Non c’è un socialista!

Non c’è Giuseppe Saragat che fu partigiano, Presidente dell’ Assemblea Costituente e poi Presidente della Repubblica, sicuramente riformista da sempre; né Sandro Pertini, partigiano, che fu nel comando del Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia, poi Presidente della Camera dei Deputati, poi Presidente della Repubblica, ricordato come il Presidente più amato dagli italiani; né Bruno Buozzi, partigiano, Segretario Generale della Confederazione Generale del Lavoro, trucidato dai nazisti a La Storta; né Carlo e Nello Rosselli, liberalsocialisti, trucidati in esilio dai fascisti in Francia; né Giacomo Matteotti, deputato socialista, segretario del Partito Socialista Unitario, il partito riformista dei socialisti nel 1922, che denunciò i brogli elettorali e le violenze dei fascisti e fu da loro assassinato; né Anna Kulisciof, medico dei poveri ed esempio di emancipazione della donna; né Andrea Costa, primo deputato socialista nella storia d’Italia; parlando di riformismo omette persino Filippo Turati; né alcun altro nome illustre, eroico, patriota, educatore o politico.

Nessun socialista era degno di essere uno dei punti di riferimento per il nuovo Partito Democratico.

Mancando qualsiasi sensibilità intellettuale del numero uno del partito DS non vedo perché oggi dovrei affidare ad una sua intervista un ruolo politico che possa interessarci sol perché ha usato la parola Epinay, ripeto solo come metodo.

Per me c’è un discrimine che rende affidabile ogni persona ed è per come si esprime e si comporta. Quando e se ripensa radicalmente le proprie convinzioni lo dichiara e cambia mestiere.   

Per quanto riguarda i socialisti che confluirono nel PD provo un sincero e profondo distacco. Quanto ho scritto fa comprendere il loro non ruolo. Essi sono ex socialisti.

Mentre scrivo queste righe sto tentando di collegare la motivazione delle dimissioni da Segretario del Partito Democratico dell’ Onorevole Nicola Zingaretti (“Mi vergogno che nel PD … “; “ … spero che ora il Pd torni a parlare dei problemi del Paese e a impegnarsi per risolverli” – https://www.romatoday.it/politica/zingaretti-si-dimette.html) col pensiero di Gramsci, di Don Minzoni, di Einstein o di uno degli altri tredici del Pantheon di riferimento del nuovo partito. Non trovo il collegamento, in verità, ma forse gli iscritti al Partito Democratico neanche sanno che nel loro Pantheon ci sono quei tredici; io non ne ho sentito parlare neanche una volta, Onorevole Fassino.

Dunque, come chiude il bilancio? Non mi riguarda. La domanda è superflua.

Malgrado questa fornitura di preventivo che ho offerto per fare il bilancio di confronto col consuntivo rifletto se un’interlocuzione col PD potrebbe offrire la praticabilità dell’espressione di politiche che non abbiano solo il posizionamento per stare al governo e gestire l’ordinaria amministrazione in un sistema liberista che involve a danno di tanti e a vantaggio di pochissimi.

La storia del PD non consente questa praticabilità. Rimane solo di costruire l’alternativa ad una concezione governista purchessia e che ha associato tutti i governisti bianchi di destra (Follini, Casini, Lorenzin ed altri), i governisti bianchi di centro (Franceschini ed altri), i tecnocrati montiani (Romano, ed altri), i governisti ex (Orlando e non solo), i governisti renziani rimasti nel PD (una folla), i governisti ex amici dei renziani (Fiano fu relatore del Rosatellum, non dimentichiamolo), i governisti ex dalemiani (Bettini e non solo). 

Non è possibile che il PD possa compiere una svolta effettivamente socialdemocratica.

L’intervista dell’Onorevole Enrico Letta sull’Avanti! di pochi giorni prima delle elezioni è chiara; lui ritiene che i progressisti (non i socialdemocratici) abbiano la soluzione solo nella lista presentata nelle elezioni del 25 settembre, tutti nella lista PD. Lo dice.

La modificabilità del PD non è possibile nel senso di una scelta socialdemocratica così come noi la intendiamo. E, aggiungo, non basta definirsi riformisti – in questi decenni – per qualificarsi socialisti o progressisti. Il riformismo è un metodo, ma la qualificazione la danno i contenuti delle leggi che si decidono e qui sarebbe troppo facile la critica; mi astengo perché non occorre andare oltre tante sono le ferite del “riformismo” del PD, le leggi elettorali incostituzionali (Italikum e l’altra già citata), dalla “buona scuola”, alle modifiche alla Costituzione, al Job’s act, all’abolizione delle elezioni provinciali, alla riduzione dei deputati e dei senatori anziché alla riduzione dei loro compensi e via così.

Sono maturi i tempi per assumere concrete, incisive, significative e definitive iniziative politiche e organizzative da parte di coloro – Associazioni, Gruppi civici, Comitati, Movimenti – che hanno a cuore le garanzie e gli scopi della Costituzione, la partecipazione dei cittadini alla democrazia elettiva con leggi di effettiva rappresentanza, che hanno la volontà di affrontare e contribuire a risolvere la problematica della transizione energetica, della difesa dell’ambiente e della tutela delle risorse naturali, che vogliono il superamento delle disparità di genere e di ogni tipo di discriminazione nel lavoro e nella società, che ritengono insopportabile la povertà e il sotto sviluppo e la loro estensione in Italia e nel mondo, che difendono il lavoro in tutte le sue espressioni ed il benessere e la salute dei cittadini, che pongono alla base delle loro convinzioni e delle loro proposte principi e valori di umanesimo socialista, di consapevole difesa della terra e dei suoi fattori naturali, di coinvolgimento e partecipazione popolare, libera e generale.

Tutti costoro sono chiamati dalla responsabilità che ci assegnano la condizione del nostro Paese e l’assenza di riferimenti politici organizzati che coerentemente si ispirino nella elaborazione e nell’azione a quanto ora esposto ad assumere decisioni per pervenire con sollecitudine all’avvio di un processo costituente di una nuova entità politica organizzata.


Intervista al Segretario dei Democratici di sinistra On. Piero Fassino da Nino Bertoloni Meli de Il Messaggero

7 marzo 2007

Onorevole Fassino, perché c’è questa corsa ad accelerare la nascita del Partito democratico?

<Perché il 2009 cui aveva pensato Prodi, anno delle elezioni Europee, è un traguardo troppo lontano, due anni sono troppo lunghi, il Paese ha bisogno di una guida sicura, di semplificazione, di forze politiche in gradi di affrontare i problemi. E poi c’è la recente crisi politica a dimostrare la necessità di questa accelerazione>.

Piero Fassino leader dei Ds è sempre più determinato sulla strada del Pd. A letto per l’influenza, riceve il medico per la visita, è informatissimo sui congressi di base in pieno svolgimento nella Quercia, dice la sua sui principali nodi del momento.

Che cosa dimostrerebbe la recente crisi ?

<Due cose, essenzialmente che il sistema politico è esposto a una fragilità estrema causa la pessima legge elettorale in vigore. Non è che al Senato il centrosinistra è debole, anche se avesse vinto il centrodestra avrebbe avuto un margine risicato, il problema sta proprio nella legge elettorale. Secondo : una maggioranza con 13 gruppi in Parlamento e 9 partiti ha bisogno di una guida solida e sicura. Due motivi di fondo per accelerare sul partito democratico. La stessa esperienza del 1996-2001 ci dice che non basta governare bene, le elezioni poi le puoi perdere, non basta un riformismo dall’alto, devi invece costruire nel Paese le ragioni della tua politica, devi mettere radici. Serve in sostanza un grande forza politica che sia perno di un nuovo sistema politico ed elettorale. Il fronte del governo e quello delle riforme sollecitano dunque anch’essi la nascita del Pd>.

Il seminario di Orvieto va superato, dunque?

<Da Orvieto abbiamo fatto tanti passi avanti. E adesso, coi congressi di Ds e Margherita in corso, con l’alta partecipazione che si riscontra, un vero record, si sta dimostrando che la costruzione del Pd è tutt’altro che quell’operazione burocratica, fusione fredda di apparati, che qualcuno aveva paventato. A tutta questa gente che partecipa così numerosa ai congressi, non possiamo proporre di aspettare altri due anni per avere il Pd>.

Cambia la Road map per arrivare al Partito democratico?

<Finiti i congressi di Ds e Margherita, daremo subito via ai comitati promotori per il Pd, non solo con esponenti dei partiti ma aperti ad associazioni e personalità. So costituirà una rete di comitati promotori nel Paese per arrivare all’assemblea costituente a ottobre : lì verrà approvato il testo finale del Manifesto e il nuovo statuto, per poi fissare il congresso costitutivo del nuovo partito nella primavera del 2008, alla vigilia del turno amministrativo che interesserà il 40 per cento dell’elettorato>.

Dai congressi Ds sta venendo una sollecitazione al Pd o c’è rassegnazione?

<Altro che rassegnazione. Stiamo riscontrando la partecipazione più alta mai vista, un vero e proprio record. Altro che partito in disarmo o stanco. Alla fine, avranno partecipato oltre 250 mila iscritti e io sarò rieletto con oltre 200 mila voti segreti, con i tre quarti dei consensi, un altro record>.

Ha detto “Non ci sarà scissione”. Da dove tanta sicurezza?

<Ho detto che mi auguro che non ci sia la scissione. Se c’è una parola impopolare e indigesta tra la nostra gente, è questa. Non capisco perché le nostre minoranze non possano esprimere le loro istanze dentro il Pd, come già fanno oggi nei Ds>.

Mussi ha detto che non vuol fare la sinistra del Pd.

<Nel Partito democratico ci sarà piena agibilità e pieno riconoscimento per tutte le posizioni critiche. Io comunque lavoro e lavorerò per evitare scissioni>.

Non sarebbe meglio semplificare il quadro favorendo la formazione che metta insieme le varie anime della sinistra radicale ?

<Non ho mai guardato con pregiudizio o negativamente a un’ipotesi del genere. Tutto il sistema politico ha bisogno di semplificazione, e la nascita del Pd lo favorirà senz’altro, solleciterà anche a destra la formazione di qualcosa che riduca la frammentazione e semplifichi>.

Attribuisce alla nascita del Pd traguardi salvifici per tutti?

<Non facciamo questa operazione perché serve a Ds e Margherita, ma perché serve al Paese. Abbiamo un bipolarismo che fa si vincere le elezioni ma poi non fa governare. Dobbiamo passare da un bipolarismo per vincere a un bipolarismo per governare>.

A questo deve servire la nuova legge elettorale?

<Gli obiettivi sono quattro. Primo : gli elettori quando votano devono sapere chi poi li governerà, le alleanze vanno fatte prima non dopo le elezioni. Secondo : ci vuole un sistema che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere chi eleggere. Terzo : avere maggioranze stabili per l’intera legislatura, con il ricorso a premi di maggioranza o meccanismi simili. Per ultimo bisogna applicare sul serio il riequilibrio della rappresentanza uomo-donna>.

Vuole anche riforme istituzionali?

<Si, e non per prendere tempo come sospetta Fini. L’obiettivo è rendere le istituzioni più efficienti, con la riduzione del numero dei parlamentari, un Senato delle autonomie e altre possibili riforme>.

Onorevole Fassino, andiamo in Francia: l’ascesa di Bayrou sembra inarrestabile, creerà problemi al costituendo Pd ?

<Non credo. Aspettiamo un po’, c’è ancora un mese, si registrano alti e bassi nei sondaggi. La Francia da Paese stabilmente bipolare da almeno 40 anni sta registrando una forma di tripolarismo con tre candidati quasi appaiati. Bayrou va visto in questo contesto, con un elettorato francese che non vuole candidature statiche, “les elephants” li chiamano, non vuole dividersi solo tra Sarkozy e la Royal, c’è insomma una domanda di novità>.

E se al ballottaggio arriva Bayrou invece che la socialista Royal?

<Io mi auguro ovviamente il contrario. Ma non mi fermo qui. Spero che Ségolène e Bayrou stringano un’intesa: chiunque vada al ballottaggio, l’altro o l’altra deve sostenerlo. Un patto di reciprocità>.

Tornando in Italia, una volta fondato il Pd, dovrà allearsi con la sinistra radicale o cercare nuove vie guardando al centro ?

<Quando ci sarà, intanto sarà il principale partito sulla scena ed eserciterà una oggettiva forza di attrazione. Non abbiamo alcuna intenzione di mettere in discussione il rapporto con la sinistra radicale. Ma ci interessa anche aprire un dialogo, una interlocuzione con quelle forze che stanno mettendo in discussione il berlusconismo. Se dovessi riassumere in una formula : centrosinistra unito e compatto per allargare gli orizzonti. O ancora : tenere l’Unione e aprire un confronto con l’Udc. Ma due forni no, quella è una pratica d’altri tempi>.

Ricorre l’anniversario del rapimento di Moro: lo farebbe presidente onorario del Pd?

<Moro pagò il coraggio politico di andare oltre gli schemi presenti, seppe ipotizzare l’incontro fra le forze principali del Paese. Un posto di rilievo nel pantheon del Pd gli spetta, ma dico anche che noi oggi con il Pd intendiamo andare oltre il compromesso storico, vogliamo unire tutti i riformismi, non solo quello post Dc e post comunista. E la testimonianza di Moro ci incoraggia>.

Ad aprile andrà a Ghilarza per commemorare Gramsci: anche lui nel Pantheon del Pd?

<Gramsci certo, e Berlinguer. Il Pantheon che ho in mente prevede personalità cattoliche come Don Minzoni, De Gasperi e Moro; laiche come Gobetti, Ernesto Rossi, Spinelli e Ugo La Malfa. Personalità e leader che hanno segnato la storia dell’umanità come Einstein, Mandela, Luther King, Ghandi>.

Il futuro leader del Pd : chi e come sceglierlo ? Parisi vuole “archiviare” sia Berlusconi che Prodi.

<E’ del tutto ovvio, lo stesso prodi ha detto che considera chiusa nel 2011 la sua stagione. Chi dopo ? Lo decideranno con voto segreto e individuale, gli iscritti al Partito democratico. Poi, alla vigilia delle elezioni, se ci saranno più candidati premier si ricorrerà alle primarie>.

Trova in contraddizione stare al governo e far parte del comitato per il referendum come Parisi?

<No, chi ci sta lo fa a titolo individuale, Parisi non vi rappresenta la Margherita, viste le posizioni nette espresse da Rutelli. Il referendum è una subordinata, la principale è una riforma elettorale fatta dal Parlamento>.