di Renato Costanzo Gatti – Socialismo XXI Lazio |

Pubblicato su Ideologia Socialista

Il modo di produzione muta nel tempo ed è storicamente determinato dallo svilupparsi delle conoscenze scientifiche, dalle nuove scoperte tecnologiche e dall’evolversi delle relazioni tra le classi, i due livelli, strutturale e sovrastrutturale, interagiscono e si autoalimentano sino al raggiungimento di temporanei equilibri.

La produzione  secondo Marx è la base reale della storia umana:

«Finora tutta la concezione della storia ha puramente e semplicemente ignorato questa base reale della storia, oppure l’ha considerata come un semplice fatto marginale, privo di qualsiasi legame con il corso storico. Per questa ragione si è sempre costretti a scrivere la storia secondo un metro che ne sta al di fuori; la produzione reale della vita appare come qualcosa di preistorico, mentre ciò che è storico […] appare come extra- e sovra-mondano. Il rapporto dell’uomo con la natura è quindi escluso dalla storia, e con ciò è creato l’antagonismo tra natura e storia

Nel corso della storia possiamo ritrovare vari modi di produzione: dal “comunismo primitivo”, si passa al sistema schiavistico, per passare al modo di produzione feudale seguito dal modo di produzione capitalistico e all’interno di quest’ultimo riconosciamo alcune fasi caratterizzate dallo sviluppo delle tecnologie produttive.

Secondo Marx e i teorici marxisti il passaggio da un modo di produzione a quello successivo è stato sempre accompagnato da grandi cambiamenti e conflitti sociali e sovente è avvenuto tramite vere e proprie rivoluzioni. La transizione verso il modo di produzione socialista viene vista, secondo questo schema interpretativo, come conseguenza necessaria e inevitabile del processo storico.

I cambiamenti del modo di produzione

Possiamo tuttavia cercare, all’interno dei modi di produzione di volta in volta succedutisi, un filone causale che possa interpretare lo sviluppo storico-sociale. I modelli matematici utilizzati per interpretare i fatti economici hanno individuato il processo produttivo come il combinarsi di terra, capitale e lavoro, ovvero come la combinazione del contributo dato dalle risorse della natura, dal lavoro fisico e mentale dell’uomo e dall’aiuto apportato dalle macchine. Queste ultime nascono dal semplice utilizzo da parte del lavoratore di strumenti sempre più sofisticati atti a integrare e esaltare l’abilità umana, per divenire successivamente esse stesse operatrici cui l’uomo deve apportare la supervisione ed il controllo preceduto tuttavia dall’attività umana di ingegneristica finalizzata alla costruzione di macchine sempre più complesse. Si arriva così prima all’asservimento dell’uomo alla macchina (i gorilla ammaestrati) e poi ad una tecnologia che non serve più soltanto a sostituire il lavoro fisico ma a sostituire anche quello mentale dell’uomo stesso.

Al classico modello terra, capitale, lavoro, potremmo sostituire un modello fondato sull’apporto di energia che ciascun fattore di produzione conferisce al prodotto finito:

P = €terra+€capitale+€lavoro

dove l’€ della terra può essere estratta da diverse fonti naturali e l’€ del capitale, ovvero delle macchine e quella del lavoro umano, sono sia fisiche che intellettuali e sono, in modalità storicamente determinate dallo sviluppo tecnologico, sostituibili tra di loro. 

Scindendo il lavoro fisico da quello intellettuale possiamo riscrivere:

P = €terra + €fisica macchine + € intellettuale macchine + € fisica lavoro + € intellettuale lavoro

Storicamente notiamo la crescita dell’apporto dell’energia intellettuale rispetto a quella fisica (economia dal materiale all’immateriale) e successivamente uno spostamento dalle € del lavoro, prima fisiche e poi anche intellettuali, alle € delle macchine.

Questo movimento ha permesso che la crescita della produzione P totale sia aumentata in modo esponenziale negli ultimi decenni, in misura anche maggiore dell’incremento della popolazione, permettendo in tal modo di migliorare il P pro capite.

Da “I nuovi limiti dello sviluppo” riportiamo i seguenti dati:

AnniPopolazioneProduzione TotaleProduzione Pro Capite
19301.8001011
19402.1001213
19502.6005052
19602.9009090
19703.100140130
19803.900230180
19905.000300190
20006.000400200

Negli ultimi 25 anni il tasso di crescita della produzione è stato in media del 2.9% con un tempo di raddoppio di 25 anni. A causa della contemporanea crescita della popolazione il tasso di crescita della produzione pro capite scende all’1.3% annuo con un tempo di raddoppio di 55 anni.

Attenzione, tuttavia a due problemi essenziali per l’approfondimento del tema; due problemi che non affrontiamo ma che indichiamo e precisamente: a) la disuguaglianza, se il reddito pro capite è aumentato ciò è dovuto soprettutto al grande passo avanti fatto dalla Cina e il suo miliardo e mezzo di abitanti ed a ciò è corrisposta una polarizzazione dei redditi nell’occidente dove aumenta il polo dei più ricchi così come si infoltisce il polo dei più poveri; b) la sostenibilità, la crescita non può continuare indefinitivamente al di là delle risorse che la natura ci può offrire e i limiti di sostenibilità stanno per essere oltrepassati senza che il problema sia affrontato globalmente.

Contemporaneamente assistiamo ad un incremento dell’€ proveniente dalle macchine a scapito dell’€ proveniente dal lavoro; incremento che all’inizio ha riguardato solo l’€ fisica ma che successivamente e sempre più celermente ha riguardato anche l’€ intellettuale.

L’€terra è costituita all’inizio dalla capacità della natura di trasformare i semi in spighe grazie ai microprocessi chimici che avvengono nell’humus, successivamente traiamo energia dal carbone, poi dal petrolio etc. E’ importante rilevare che la diversa produttività chimica dei terreni produce quella che è nota come rendita ricardiana, mentre le € dai fossili presentano un grosso problema di esauribilità, esse cioè sono limitate e quindi destinate ad esaurirsi nel tempo, rendendo quindi necessario rivolgersi ad altre fonti energetiche da ritenersi inesauribili: sole e vento e, in una certa misura il nucleare da fusione. 

I cambiamenti nell’assetto sociale

Ad ogni mutamento nel modo di produzione consegue un mutamento nel rapporto fra le classi, nel rapporto all’interno delle stesse classi, al modo di organizzare la propria giornata, il come abitare, il dove abitare con migrazioni dalla campagna alla città, da un paese all’altro, da un continente all’altro. Cambia il modello culturale su cui costruire l’educazione scolastica dei giovani, cambia la funzione dei compiti delegati allo stato, le leggi che regolamentano la convivenza civile, l’insorgere di nuovi problemi nel rapporto di lavoro e la tutela di nuovi diritti.

Il modo di produzione determina il modello di convivenza, saper individuare le conseguenze di un nuovo modo di produzione è alla base delle forze politiche che interpretino lo svolgersi dei rapporti al fine di prevenirne i disagi e impostare la realizzazione degli sbocchi auspicabili.

Se ad una tecnologia basata sull’€terra corrisponde una società contadina, con i suoi insediamenti aperti, ove la vita è legata al tempo atmosferico, si impernia sul pater familias, sulla religione e le altre caratteristiche dominanti fino al XIX secolo, ecco che l’€ basata sul vapore porta alle prime fabbriche che richiamano mano d’opera, anche femminile, dalle campagne, dal sud al nord, si vive in tuguri insalubri, e in comunità sempre più numerose e laiche. Gli sviluppi, poi, dell’industrializzazione vede la nascita di nuovi rapporti tra uomo e uomo che necessitano di una legislazione del lavoro e della nascita e difesa di nuovi diritti comportanti una maggior solidarietà all’interno della classe dei lavoratori.

Mutano consumi, mode, cultura, sensibilità religiosa, rapporto uomo/donna, i rapporti di lavoro passano dal taylorismo al toyotismo, per sfociare poi nel mondo del precariato, della gig economy. I modi di comunicare sono rivoluzionati dall’avvento dell’elettronica, le macchine diventano intelligenti, si parlano tra di loro con l’internet delle cose, le distanze si accorciano, i tempi divengono frenetici.

Insomma il saper prevedere come cambierà il modo di produzione e quali saranno le ripercussioni sul vivere civile, sui rapporti di lavoro, su tutta la sovrastruttura sociale diventa una necessità per poter ancora dominare e gestire il domani evitando il pericolo di essere sommersi da una rivoluzione che ci trovi impreparati.

Nei prossimi anni cambierà in maniera significativa il nostro modo di lavorare, gli adolescenti di oggi faranno lavori che al momento non esistono, l’€intellettuale sotto forma di Intelligenza artificiale avrà fatto progressi oggi non immaginabili, l’uomo continuerà a lavorare attraverso nuove forme di collaborazione. E’ questo il momento di lavorare per cercar di capire come si svolgerà in tutte le sue implicazioni il nuovo modo di produrre e quale ruolo deve occupare  l’uomo in questo nuovo contesto. Le alternative vanno da un nuovo schiavismo (schiavi delle macchine e/o dei detentori delle macchine) ad un nuovo eden dove l’uomo si libera dal lavoro e riempe la sua vita di un suo proprio senso in una nuova libertà che non lo vede costretto a vendere il proprio essere per poter sopravvivere.

Sparirà il lavoro umano? E sparirà il plusvalore?

Il continuo sviluppo dell’€fisica delle macchine è ora accompagnato dallo sviluppo dell’€intellettuale delle macchine e ciò ci pone la domanda se questo processo possa portare alla fine dell’apporto di lavoro, dell’€lavoro. La risposta che mi sento di dare è che ci saranno due fasi: a) quella del dualismo del mondo del lavoro dove da una parte si collocano le produzioni ad alto valore aggiunto dove il dipendente professionalizzato assume un ruolo centrale in un lavoro creativo e coinvolgente anche se a lungo termine destinato ad essere sostituito dal prodotto del proprio lavoro; b) la fase finale della fine del lavoro umano sostituito in pieno dall’€dei robots.

Se scompare il lavoro umano scompare il plusvalore? Ritengo che il plusvalore non dipenda dalla differenza tra lavoro prodotto e lavoro necessario; qui eventualmente c’è un problema di sfruttamento che esamineremo in seguito, ma il fatto che sostanze inutilizzabili siano trasformate in sostanze utili per l’uso umano, che si trasformi una serie di minerali e di altre componenti ad esempio in un microscopio è un fatto che produce quel plusprodotto ottenuto grazie all’apporto dell’€ sia essa umana o sia essa dei robots. Nulla mi può convincere che gli stessi beni oggi prodotti non siano producibili nelle stesse se non in quantità maggiori da una produzione robotizzata che non usa € umana. E se quindi la produzione sarà la stessa o in maggiore quantità, togliamo l’incubo dell’indispensabilità del lavoro umano, della maledizione divina di quando fummo cacciati dal paradiso terrestre “Lavorerai col sudore della tua fronte”.

Il tema preponderante sarà invece quello dello sfruttamento e della disuguaglianza, infatti la presenza di una produzione totalmente robotizzata non risolve il tema della redistribuzione del prodotto e soprattutto del come investire il plusvalore prodotto, si pone quindi come fondamentale la domanda “chi deve essere proprietario dei robots”, della vecchia problematica dell’esclusione di una parte del popolo dal disporre dei mezzi di produzione.

Da un estremo all’altro possiamo immaginare:

1 – una classe dominante possiede i robots e decide cosa essi debbano produrre in che misura e come redistribuire il prodotto tra i subalterni che subiscono impotenti le decisioni dei dominanti. Si noti che il salario era quantificato nella misura per dare al subordinato per la sua sussistenza e riproduzione, proprio perché servivano subordinati anche per l’indomani; con la produzione robotizzata non servirà più la riproduzione dei subordinati se non in quantità molto limitata;

2 – i robots sono della comunità che li gestisce programmando ciò che su base scientifica serve per raggiungere gli scopi scelti in un mondo dove non esistono dominanti e dominati.

Tra questi due poli le varianti sono numerose, ed allora il discuterne fin da ora è indispensabile per evitare poi di ritrovarci, a cose fatte, già sconfitti.

Se quindi l’attenzione è dedicata alla struttura di un nuovo modo di produzione, la dialettica dovrebbe focalizzarsi sulle conseguenze sovrastrutturali che investono i conseguenti coerenti rapporti fra le forze sociali, la regolamentazione di questi nuovi rapporti in particolare per quel che riguarda gli aspetti redistributivi, la collocazione nella società dei nuovi cittadini senza lavoro, la proprietà dei nuovi mezzi di produzione e, di conseguenza, le decisioni sul cosa e quanto produrre, la funzione dello stato in questa bufera che investe la società nel ridisegnare i fondamenti della comunità.