IL MATTEOTTI DELLA PUGLIA CHE LOTTAVA PER I BRACCIANTI

CENTO ANNI FA IL DEPUTATO SOCIALISTA ASSASSINATO DAI FASCISTI Giuseppe Di Vagno “Il gigante buono”, apparteneva alla piccola borghesia del mezzogiorno che aveva “tradito” per difendere la causa dei contadini di Walter Galbusera – Presidente della Fondazione Anna Kuliscioff di Milano | La Fondazione Giuseppe Di Vagno, che ha recentemente celebrato a Conversano il centenario della morte del martire socialista alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, ci aiuta a fare alcune riflessioni. Eletto il 15 maggio 1921 alla Camera, primo della lista socialista con più di 74.000 voti di preferenza, Giuseppe Di Vagno fu assassinato il 25 settembre successivo a Mola di Bari. Aveva 34 anni ed era già un simbolo della difesa dei diritti dei contadini nella lotta contro gli agrari e nella rivendicazione di quelle terre che erano state promesse ai combattenti. Assieme a lui fu eletto anche Giuseppe Di Vittorio, un sindacalista rivoluzionario di Cerignola che aveva militato tra le file interventiste. La campagna elettorale del 1921 segnò l’acuirsi di una guerra civile. Le aggressioni fasciste, che avevano già preso corpo negli ultimi mesi del 1920 dopo la “svolta moderata” di Mussolini, con il definitivo abbandono del fascismo rivoluzionario della prima ora, dilagarono in tutto il paese impedendo in numerose realtà l’esercizio del libero diritto di voto e fecero della violenza un aspetto permanente della lotta politica. Ciò avvenne anche nel paese natale di Di Vagno, Conversano, dove nonostante la sua grande popolarità riuscirono a votare solo 22 dei suoi numerosi sostenitori. I presunti assassini, (legati a Peppino Caradonna, un ricco agrario a capo del fascio di Cerignola) furono arrestati, ma beneficiarono di una amnistia senza che in sede giudiziaria fosse individuata neppure l’ombra dei mandanti. L’enormità del fatto costituito dall’assassinio politico di un parlamentare dell’opposizione che nel mezzogiorno rappresentava una delle guide più autorevole del proletariato contadino, non suscitò però quella immediata reazione morale e politica dell’Italia democratica che sarebbe stata necessaria. L’uccisione di Di Vagno per molti aspetti avrebbe anticipato il sequestro e il delitto Matteotti, con il quale il deputato pugliese aveva tre elementi importanti in comune: un’origine sociale non proletaria e gli studi universitari di legge, il pacifismo antimilitarista che gli procurò l’internamento negli anni della guerra, l’organizzazione dei braccianti che gli attirava l’avversione profonda da parte degli agrari. Nel partito socialista Di Vagno, che fu affascinato dalla rivoluzione bolscevica, aveva un atteggiamento sinceramente unitario e non fazioso e, pur non aderendo ad essa, considerava l’ala riformista (la “destra”) un elemento essenziale per l’esistenza stessa del PSI. La morte di Di Vagno fu anche il segnale inequivocabile che ogni tentativo di “Pacificazione” come quello tentato da Bonomi e De Nicola (che dopo il crollo del fascismo saranno rispettivamente capo del Governo e Presidente Provvisorio della neonata Repubblica Italiana) e di cui Di Vagno fu un attivo e convinto sostenitore, era impraticabile perché il fascismo in quel momento era rappresentato da Roberto Farinacci più che da un Mussolini incerto e apparentemente incline ad una tregua. L’Italia democratica non capì che l’uccisione del deputato Di Vagno avrebbe costituito, se non affrontato con una decisa e larga risposta politica nazionale, il principio di una involuzione inarrestabile che avrebbe portato altri delitti e infine la soppressione di ogni libertà in tutto il paese. Non è questa la sede per interrogarsi sui limiti e sugli errori dell’opposizione democratica né sulle responsabilità e complicità di molte forze politiche e delle Istituzioni del tempo. E’ importanti però rilevare che il delitto Di Vagno fu purtroppo “politicamente ridimensionato”: in quel tempo il rischio che correvano i difensori dei “proletari” tanto più se braccianti e contadini poveri, faceva parte del mestiere. Mancò allora quella illuminazione politica per farne un forte elemento di allarme morale diretto al paese per costruire un argine solido in difesa della libertà. La sottovalutazione delle conseguenze politiche che il delitto Di Vagno avrebbe avuto in tutto il paese non risparmiò purtroppo gran parte del Partito Socialista (allora un partito a prevalenza operaia) che collocò questo delitto nella tragica contabilità degli assassini e delle violenze di una guerra civile strisciante nella sciagurata convinzione che l’inevitabile rivoluzione proletaria avrebbe prima o poi trionfato. Non è facile trovare riflessioni di dirigenti socialisti nazionali sul delitto Di Vagno, neppure Giacomo Matteotti considerò il delitto un “salto di qualità” , anche se nella sua pubblicazione “Un anno di dominazione fascista”, l’uccisione di Di Vagno è posta in grande rilievo. Nel “Carteggio” con Anna Kuliscioff si trova la lettera di Filippo Turati scritta il 26 settembre 1921 ad Anna: “Hai letto di quel povero Di Vagno? Anche questo spesseggiare di attentati a deputati socialisti è letificante. Ci dovrebbero almeno aumentare l’indennità!” _Ma il giorno seguente la risposta di Anna a Filippo è di tutt’altro tono e dà il segno di una lucidità politica che spicca per la sua lungimiranza: _”Mentre il Partito si balocca e si perde in discussioni astratte, la guerra civile divampa in tutta Italia, e lo spettro della dittatura militare si delinea sempre più minaccioso. L’assassinio del Di Vagno più di migliaia di altri assassinii ora rinnovantisi con una intensità spaventevole, forse potrà essere il punto culminante da cui emergerà o un vero stato d’assedio oppure lo scatenarsi di una vera guerra civile ….I socialisti della maggioranza sono più preoccupati….di conservare i posti che della …soppressione di ogni vita politica e della vita individuale ” Il 10 ottobre del 1921 al XVIII congresso del PSI tenuto a Milano, il deputato di Caltagirone Arturo Vella, uno dei capi della maggioranza massimalista, che di Di Vagno era stato amico e compagno di lotte, non diede una risposta politica e non andò oltre ad un’appassionata commemorazione, accomunandolo a tutte le altre vittime della violenza fascista. Di Vagno era stato _” vilmente assassinato dalla volontà preordinata e preconcetta della borghesia agraria del Mezzogiorno”_. Vella rivolse poi un commosso saluto _”a tutti i martiri, ai prigionieri che soffrono nelle carceri italiane a dimostrazione della corresponsabilità del governo con la violenza dei bianchi”. _E concluse affermando che _”la violenza ci può uccidere, ma non …

OLTRE I CONFINI DELL’IMPROPRIAMENTE DETTA “SECONDA REPUBBLICA”

    di  Alberto Leoni – Coordinatore regionale Socialismo XXI Veneto |   Ieri mattina, sorseggiando un caffè al bar, un amico che segue poco le vicende politiche, persona semplice, mi diceva con irritata ironia, in dialetto veneto: ..ma per fare il Presidente della repubblica abbiamo solo Draghi e Mattarella? Tra 60 milioni di italiani possibile che non ce siano altri capaci di svolgere questo ruolo? E perchè? Confesso che, al momento, non ho trovato parole giuste per i suoi dubbi. Nemmeno ora le ho. Ma alla fine, passeggiando come faccio ogni giorno nella campagna breganzese, mi è passato davanti il film di questi trenta anni della vita politica italiana – l’ascesa ed il declino degli “eroi” di Mani Pulite, il volto radioso di Berlusconi del marzo 1994 e le sue “volontarie” dimissioni nel drammatico novembre 2011; lo sguardo apparentemente bonario di Prodi e la lunga lista di privatizzazioni varata dal suo Governo tra il 1996 ed il 1999. La grinta lucida e spregiudicata di Renzi che prende il campanello dalle mani di un Letta cupo, febbraio 2014; l’ascesa e la caduta del fiorentino inciampato su un referendum istituzionale gestito male e l’arrivo della “rivoluzione” del 4 marzo 2028: un movimento antistema che con il 33% dei voti intende aprire il Parlamento come una scatola di sardine –. Come stia finendo è sotto gli occhi di tutti, socialisti europei compresi che oggi devono decidere se accogliere un manipolo di scappati di casa nelle loro fila per far mettere loro la “testa a posto” o lasciarli andare al loro destino. In 30 anni sono nati e morti decine e decine di piccoli partitini, spesso legati ad una persona. Sono nati da scissioni parlamentari e poi squagliati nelle cabine elettorali. Oggi di fatto ne esistono 5: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Pd, Movimento 5 Stelle. Tutti gli altri sono sotto alla soglia di sbarramento per entrare in Parlamento. Chi sono stati e da dove sono venuti i politici più influenti? Dalla Banca d’Italia e dalle grandi Banche d’affari (uno per tutti Ciampi, ma anche Monti, oggi Draghi), dal mondo dei boiardi di Stato, dalla Magistratura che ne ha forniti a iosa (uno per tutti Di Pietro), dallo spettacolo-intrattenimento (Grillo), dall’impresa legata alle concessioni pubbliche (Berlusconi), dagli apparati di partito (Lega e Pd). Dopo la caduta della Prima repubblica una nemesi storica ha colpito i partiti. La parola partito è quasi diventata impronunciabile. E sono diventati, nella migliore della ipotesi, comitati elettorali dove l’unica vera funzione era quella di predisporre le liste elettorali. Ma è finita la stagione dei partiti che selezionavano la classe dirigente, dalla sezione del piccolo paese fino a Roma. E la selezionavano abbastanza bene: – non facevi il Sindaco, il consigliere comunale, regionale, il parlamentare, l’amministratore di enti pubblici se non facevi gavetta e se non sapevi ciò di cui ti saresti occupato. – L’errore tragico è stato quello di non regolamentare la vita dei Partiti, certificare i bilanci, verificare gli Statuti ed il funzionamento degli organismi direttivi. E’ da trenta anni che la classe dirigente politica o è il residuo della Prima Repubblica sopravvissuta o è fatta da persone completamente inesperte e spesso con scarse competenze. I “migliori” disdegnano l’impegno politico preferendo altri mondi ed incorrendo in quella giusta critica che Platone muoveva nel IV libro della Repubblica: non lamentatevi per essere governati da gente peggiore di voi se avete deciso di non impegnarvi nella cosa pubblica. Quando dico “i migliori” mi riferisco alle persone portatrici di saperi, di competenze, ma anche di visione politica (non tutti possono farla, questo il grande inganno), dell’arte di organizzare la convivenza civile, di trovare l’equilibrio tra i vari portatori di interessi. Fare politica, essere dirigente politico non è uno scherzo. Richiede sacrificio, tempo da dedicare, passione. Sì, una parola che farà sorridere i miei improbabili lettori: passione! Senza passione non fai politica. E allora aveva ragione il mio amico breganzese: possibile che se discutiamo di Presidenza della Repubblica abbiamo solo Mattarella o Draghi? Forse esagerava, forse alla fine qualche altro nome prestigioso uscirà, ma la conclusione è chiara: l’Italia che si aggrappa all’uomo solo al comando ha certo bisogno di rassicurazioni e solidi riferimenti umani e politci. Ma se vuol uscire dalla palude in cui ci dibattiamo da trenta anni deve tornare ad impegnarsi. La scelta è tra chiudersi nelle proprie mura domestiche e spendere un po’ di tempo nelle sedi dove si contribuisce al bene comune. Non so se i partiti toneranno ad occuparsi di questo. Se non lo faranno saranno sostituiti da altre lobbies che gestiranno la selezione dei rappresentanti nelle istituzioni. E’ una sfida che tocca anche noi socialisti, famiglia inquieta, ma appassionata. La partecipazione, a partire dai nostri Comuni, dalle nostre Regioni, anche con un comune impegno a fianco di altre forze sociali  contigue ai nostri valori, è sempre stato un nostro valore. Non lasciamolo appassire.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it