UN PAIO DI COSE CHE NON CAPISCO

 

 

di  Renato Costanzo GattiSocialismo XXI Lazio |

 

Mi sono letto sul Sole24 ore la manovra 2022 per quel che riguarda il fisco e sinceramente confesso di non aver capito un paio di cose che il governo “dei migliori” ha varato.

Marchi e avviamento rivalutati

Lo scorso anno, nella redazione dei bilanci, le imprese potevano rivalutare, in deroga dalle norme del Codice civile, marchi e brevetti ad un valore di mercato pagando sull’importo della rivalutazione una somma pari al 3% da effettuarsi in una od al massimo tre rate annuali di pari importo. La base imponibile è pari al maggiore valore iscritto a bilancio che è uguale al valore attribuito al bene, al massimo del valore corrente, a cui si sottrae il costo iscritto in bilancio precedentemente. Il riconoscimento dei valori decorre dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale è stata effettuata la rivalutazione.

Gli ammortamenti invece decorrono dal primo esercizio successivo alla rivalutazione quindi dal nostro esempio dal 31 dicembre 2021.

Immaginiamo di avere un marchio a bilancio per 10.000 Euro.

Immaginiamo che al 31 dicembre 2019 ci sia un fondo di ammortamento di 556 Euro, ne risulta un valore netto contabile al 31 dicembre 2019 di 9.444 Euro che è generato sottraendo al valore del marchio il fondo di ammortamento.

Immaginiamo che la rivalutazione del marchio sia di 950 mila Euro. A questo punto il valore del marchio rivalutato sarà dato dalla somma di 950.000 Euro più i 10 mila Euro di costo storico, portando il valore del marchio rivalutato al 31 dicembre 2021 a 960.000 Euro.

A questo punto calcoliamo l’imposta sostitutiva di rivalutazione pari a 28.500 Euro che si ottiene applicando il 3% al maggior valore del marchio rispetto a quello di iscrizione a bilancio (950.000 Euro). Dobbiamo iscrivere a bilancio anche una riserva di valutazione pari a 921.500 Euro (pari alla differenza tra il maggior valore iscritto e l’imposta sostitutiva 950.000-28.500).

A questo punto nei 18 esercizi successivi alla rivalutazione l’impresa potrà portare in detrazione dall’imponibile fiscale l’ammortamento della rivalutazione ovvero 950.000 diviso 18 ovvero 52.777€ ogni anno che all’aliquota (IRES + IRAP = 27%) vuol dire 14.250€ in meno di imposte.

“Il costo stimato dal Governo non superava i 14 milioni di euro (sic). In primavera, però, con la corsa di tutte o quasi le imprese al super sconto fiscale, il costo per lo stato in termini di minori incassi IRES IRAP è stato moltiplicato drasticamente, fino a superare gli 80 miliardi. Un buco nero per le entrate erariali che ha obbligato il governo Draghi a correre ai ripari anche infrangendo per l’ennesima volta lo statuto del contribuente. In sostanza la bozza del Ddl di Bilancio (…) prevede all’art. 160 che la deduzione IRES IRAP (…) non sia in ogni caso in misura non superiore per ciascun anno d’imposta a un cinquantesimo di detto importo” (il Sole 24 Ore 29/10/21 pag. 8). Quindi l’ammortamento deducibile annualmente scende da 52.777€ a 19.000€ e l’importo delle imposte risparmiate annualmente scende a 5.130€ o al minor valore derivante dalla riduzione, pur prevista, dell’aliquota IRAP di cui parleremo più sotto.

Mi si spieghi la ratio di un regalo, perché di questo si tratta, fatto dai contribuenti al capitale, che costa 80 miliardi e che viene concesso in un periodo di 50 anni. Quale incentivo sostanziale porta all’economia sociale e quale contropartita lo stato si aspetta come ritorno di investimenti e occupazione stante la diluizione dell’incentivo su un periodo di 50 anni.    

Sinceramente mi aspettavo di meglio.

Il cuneo fiscale

Il cuneo fiscale italiano è tra i più alti in Europa, esso misura la differenza tra costo del lavoro per l’impresa e netto in busta per il lavoratore. Infatti, per l’impresa al salario lordo vanno aggiunti, come costo, gli importi dovuti per TFR e mensilità aggiuntive, ed inoltre vanno aggiunti gli oneri sociali per previdenza e sanità. Ma dal salario lordo per arrivare al salario netto, occorre togliere le imposte Irpef a carico del lavoratore. Insomma, il costo del lavoro può essere più del doppio del netto in busta.

La comparazione del cuneo fiscale fatto sui valori assoluti non ha, a mio parere, senso, infatti occorre esaminare quali voci sono finanziate da quel cuneo; per esempio, se un paese non prevede TFR o sistema pensionistico ovvero non paga la sanità del lavoratore è ovvio che il cuneo sarà inferiore rispetto a quello del paese che al contrario prevede quelle coperture. Ma così vengono fatti i confronti e in tal senso il Ddl bilancio 2022 provvede.

Ma provvede in modo strano; infatti, prevede 8 miliardi di imposte in meno che tuttavia lascia aperte a un bivio da sciogliere in discussione in parlamento. Spiega il Sole 24 Ore, ”Il bivio è in questi termini: o taglio dell’Irpef o riduzione dell’Irap.”

Ma mentre il taglio dell’Irpef (non si sa se con la revisione degli scaglioni che beneficerebbe i redditi medio alti, o aliquota continua alla tedesca), va sicuramente a ridurre il cuneo fiscale, la riduzione dell’Irap (che originariamente era prevista come “superamento”) non c’entra nulla con la riduzione del cuneo fiscale.

Ciò significa che sull’ammontare totale di 8 miliardi di € previsti come riduzione di imposte, ogni euro destinato a ridurre l’Irap va a diminuire l’importo destinato alla riduzione del cuneo fiscale.

Sarà curioso vedere il risultato di questo bivio.