di  Renato Costanzo GattiSocialismo XXI Lazio |

 

Premessa

(Stralcio da Wikipedia)

Nel 1949, alla presa del potere del Partito Comunista Cinese, la Cina si trovava devastata da anni di guerra civile e guerra con il Giappone, con infrastrutture carenti ed una economia fragilissima. La fuga del partito nazionalista Kuomintang nell’isola di Taiwan nel 1948 aveva inoltre lasciate vuote le casse dell’erario in quanto il Kuomintang aveva trasferito le riserve aurifere e le riserve di valute estere nell’isola lasciando il governo del partito comunista senza alcuna valuta estera per il commercio.

Sin dalla creazione del partito comunista, vi fu un grande sforzo nel riportare crescita economica al paese; tale obiettivo fu raggiunto reprimendo il settore privato, da piccole a grandi imprese dal 1951 al 1952. Ciò fu eseguito in campagne anti-capitaliste, le quali imponevano pesanti multe ai privati. I leader comunisti erano d’accordo nell’obiettivo di costruire un forte settore di industria pesante (assente al tempo) e ridurre la produzione di beni secondari, ed utilizzare le risorse dei privati per costruire la “nuova Cina”.

I leader comunisti riuscirono a ridistribuire i terreni agricoli come promesso due anni dopo la presa del potere, eliminando, spesso violentemente, i proprietari terrieri ed elargendo i loro beni ai meno abbienti. Nel 1958 Mao cercò di rilanciare l’economia cinese: cominciò in quel periodo il programma economico del Grande Balzo in Avanti. I contadini furono riorganizzati in enormi comuni dove gli stipendi venivano assegnati secondo la morale comunista del “Dare a ciascuno secondo la sua necessità”. Tuttavia, il programma si rivelò un grande balzo all’indietro.

Nel 1966, Mao decise di avviare la rivoluzione culturale cinese. Sotto i suoi ordini, dovevano esser distrutti i “quattro vecchi”: “vecchie idee, vecchia cultura, vecchie usanze e vecchie abitudini”. Vennero chiuse università e scuole, e gli studenti divennero parte delle guardie rosse.

Nel 1978 cominciarono le riforme economiche di Deng Xiaoping, Hu Yaobang e Zhao Ziyang, leader del pragmatismo espresso in modo sintetico da Deng: “Non importa se un gatto è bianco o nero, basta che catturi topi”.

Il progetto si presentava arduo, la leadership divenne maggiormente favorevole ad un approccio graduale e sperimentale, che vide le riforme economiche implementate unicamente in particolari regioni (invece che in tutto il Paese). Tale approccio permise alla leadership di capire quali sistemi produttivi fossero più adatti alla condizione cinese o locale (dato le massicce differenze geografiche ed economiche della Cina) e, qualvolta un esperimento si dimostrava di successo, veniva imitato da altre simili regioni o veniva sponsorizzato dal governo centrale.

L’esperimento di maggior successo fu quello di lasciare ai contadini il diritto di tenere le produzioni che sorpassavano le quote di produzione (le quali erano generalmente basse). Ciò, anche se non ufficialmente, consisteva praticamente nel dare in affitto il terreno ai contadini, con l’affitto consistente nella quota consegnata allo Stato. Il rimanente poteva essere venduto dai contadini, incentivandoli dunque a coltivare in modo più produttivo. Le comuni in tale sistema vennero dissolti, ed i terreni assegnati a singole famiglie. Negli anni successivi tutte le province della Cina abbandonarono il sistema delle comuni ed introdussero tali riforme agrarie, facendo balzare la produzione agricola del paese.

Produzione industriale e commercio con l’estero erano altri nodi importanti da risolvere. Anche in questo caso fu critico l’approccio sperimentale. Furono in questo caso aperte zone economiche speciali, nelle quali furono permessi investimenti stranieri. Negli anni ottanta furono aumentate le zone che potevano ricevere investimenti stranieri con ridotta burocrazia, necessarie infrastrutture (porti, ferrovie e strade) ed esenzioni fiscali. Ulteriori leggi quali regolamenti per i contratti e diritti d’autore furono passate per aumentare la fiducia di imprese straniere.

Durante gli anni novanta l’economia cinese continuò a crescere rapidamente con una media del 10,43%, tuttavia in questo periodo la Cina fu affetta da forti livelli di disoccupazione causati dalla privatizzazione massiccia delle aziende statali.

Nel 1997, il presidente Jiang Zemin annunciò il piano di vendere, unire oppure chiudere una grande fetta delle aziende statali, per favorire lo sviluppo di un settore privato più produttivo e redditizio. Nel 2000 la Cina dichiarò che il piano di privatizzazione era stato un successo e che la maggior parte delle aziende pubbliche erano ora redditizie.

Nel 2003 il Partito Comunista Cinese avviò numerosi emendamenti alla Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, permettendo per la prima volta nella repubblica popolare la protezione costituzionale della proprietà privata.

Nella riunione dell’ottobre 2005 il partito approvò l’undicesimo piano economico quinquennale (2006-2010) per costruire una armoniosa società comunista, la quale mirava ad una più equa distribuzione delle ricchezze del paese (l’ineguaglianza era difatti salita a livelli imbarazzanti per un regime socialista), con un sistema di istruzione, sanità e prevenzione sociale rafforzato.

Nel 2007 l’economia cinese, con il governo di Hu Jintao, sorpassa la Germania come terza economia al mondo, con un PIL di 3.380 miliardi di dollari. Ciò rappresentò il record di crescita per la Cina dal 1994, quando il PIL crebbe del 13,1%.

Sempre nel 2007 la Cina lanciò il proprio programma di stimolo economico per far fronte alla crisi economica del 2008. Tale piano ha mirato principalmente ad aumentare la disponibilità di appartamenti sussidiati, diminuendo restrizioni sul credito per piccole imprese e finanziando grandi progetti per l’infrastruttura e lo sviluppo, quali porti, ferrovie e strade.  Il prodotto interno lordo cinese è tuttora in crescita, ma a un tasso percentuale minore rispetto ai vent’anni precedenti, che segnavano tassi di incremento superiori al 10%.

Il 1º dicembre 2015, il renminbi cinese è divenuto una delle sei valute di riserva approvate dal FMI in quanto ottempera al requisito di essere una valuta “ampiamente utilizzata” nelle transazioni internazionali.

Infrastrutture e immobiliare sono stati alcuni dei settori trainanti la crescita economica nella seconda decade degli anni 2000. Nel 2013 gli investimenti immobiliari hanno superato il 10% del PIL cinese.

Secondo il World Factbook della CIA nel 2012, l’industria e l’edilizia compongono il 46,7% del PIL cinese. La IHS Global Insight ha stimato che nel 2010 il 19,8% della produzione manifatturiera mondiale proveniva dalla Cina, divenendo il leader nella produzione industriale e sorpassando gli Stati Uniti, i quali avevano tenuto questo primato da 110 anni.

Ricordiamo infine che l’andamento dell’economia cinese è quella che ha dato il maggior contributo alla riduzione della povertà nel mondo, grazie al suo sviluppo che ha interessato milioni di persone.

EVERGRANDE

L’economia cinese è passata quindi da una pianificazione ideologica del periodo di Mao, ad un mercato cinese che ha favorito forme di capitalismo alfine di creare decenni di sviluppo a doppia cifra; c’è tuttavia da rimarcare come lo stato cinese non ha mai rinunciato a governare centralmente settori dell’economia e soprattutto ha portato gli investimenti in ricerca e sviluppo a livelli degli USA, è ai primi posti nella produzione dei computers quantistici, è all’avanguardia nella fusione nucleare. Lasciando libero il capitalismo in settori rivolti al consumo privato il governo cinese ha riconosciuto la potenza del capitalismo produttivo, come peraltro ricordato nel Manifesto del Partito Comunista di Marx; ha riconosciuto cioè la potenzialità del D-M-D’. Sappiamo tuttavia, dal tempo dei tulipani, che il capitalismo tende a superare la formula produttiva per tendere alla formula D-D’ del capitalismo finanziario.

Il cancro del capitalismo finanziario ha quindi colpito l’economia cinese ed il caso Evergrande ne è il tipico esempio, esso rappresenta una enorme bolla finanziaria che sta per scoppiare (anche se il governo interverrà potentemente per ridurne gli effetti), ha ricopiato paro paro il modello dei subprime, ha diversificato la rete delle sue iniziative in troppi settori ma sempre nell’ottica di speculare e non di produrre.

Eppure da qualche tempo scientemente, Xi Jinping ha iniziato a modificare le regole con un preciso obiettivo: limitare la speculazione finanziaria e le bolle tipiche di un mercato capitalista cresciuto troppo e troppo in fretta.

La stretta del governo è cominciata un paio d’anni fa, e aveva proprio lo scopo di prevenire una crisi sistemica che avrebbe potuto far crollare l’intero settore finanziario, se Pechino non avesse cominciato a ‘controllare’ (cioè sgonfiare) la bolla nel comparto immobiliare, a cui fa capo una fetta importante del PIL cinese (29%) con forti legami a monte e a valle.

Evidentemente il contrasto alla formula D-D’ ha difficoltà ad essere implementato, ma pare indubbio che la strada da seguire è quella di una pianificazione scientifica e non ideologica, oggi molto più utilizzabile per coordinare obiettivi e mezzi, utilizzando la potenza dei computers ed in particolare del “Quantum computing” straordinariamente efficace nei processi di ottimizzazione, iterazione, machine learning e simulazione.