di Renato Costanzo Gatti Socialismo XXI Lazio |

 

La crisi-coronavirus tra i tanti danni sta sommovendo il mondo imprenditoriale che si manifesta con gli articoli del Sole 24 ore giornalisticamente encomiabili per completezza di informazione. Il quotidiano confindustriale pubblica, come articolo di fondo, l’intervento di Mariana Mazzucato autrice de “Lo Stato innovatore” e “Il valore di tutto” e consulente del governo Conte per la fase 2.

 Ecco ciò che scrive la Mazzucato.

“Lo Stato non può limitarsi ad aggiustare i danni economici provocati dalla crisi finanziaria e dall’epidemia. Esso deve dare una forma nuova ai mercati, alle organizzazioni produttive e ai rapporti sociali e di lavoro che premi la creazione di valore e la resilienza sociale e ambientale. In linea con le recenti misure adottate nei precedenti decreti (sui temi della Golden power e sulle condizionalità legate ai prestiti garantiti), andrebbe potenziata la capacità dello Stato di dare direzionalità e promuovere il coordinamento degli investimenti e delle filiere produttive individuate come strategiche.

Affinché lo Stato possa portare a termine con successo i compiti di cui la crisi lo sta investendo, si rende urgente un rinnovamento delle competenze statali, la riorganizzazione delle strutture amministrative e l’acquisizione di un senso di missione da parte di chi opera nelle strutture pubbliche.

Per la realizzazione di una strategia industriale di successo, è fondamentale che vi siano strutture pubbliche dotate di effettive capacità di indirizzo. Molteplici esperienze nazionali e regionali del passato, quali le agenzie del New Deal rooseveltiano, il ministero dell’Industria giapponese, le tecnocrazie dell’Iri e dell’Eni, possono fornire spunti importanti di design istituzionale.

Per esempio, lo Stato italiano non può rinunciare all’opportunità di dare piena realizzazione al potenziale innovativo e sistemico che Cdp e il Mef detengono, rispetto al controllo di strategiche imprese pubbliche e agli strumenti di finanziamento paziente di lungo periodo.

È essenziale che l’Italia colga l’opportunità che questa gravosa sfida impone. Lo Stato, nelle sue diverse articolazioni, può creare e operare nei mercati a fianco delle organizzazioni produttive, impostando quel cambiamento strutturale del modello economico di cui l’Italia ha, oggi più che mai, improrogabilmente bisogno.”

Di ben diverso tenore l’intervento del neo presidente di Confindustria

Bonomi, che sulle stesse pagine scrive:

«Un conto è chiedere un freno alla corresponsione dei dividendi, altro e del tutto inaccettabile è avviare una campagna di nazionalizzazioni dopo aver indotto le imprese a iperindebitarsi, Siamo contrari a sottoporre a sostegni pubblici la liquidità delle imprese a condizione che poi lo Stato possa decidere di convertirli in una presenza diretta o nazionalizzare. Mentre lo Stato chiede per sé in Europa trasferimenti a fondo perduto a noi chiede di continuare a indebitarci per continuare a pagare le tasse allo Stato stesso. La tentazione di una nuova stagione di nazionalizzazioni è errata nei presupposti e assai rischiosa nelle conseguenze, sottraendo risorse preziose alle aziende per soli fini elettorali».

Ma nel mondo imprenditoriale c’è anche Assonime

– presieduta da Innocenzo Cipolletta, già direttore generale di Confindustria – che ha proposto (vedasi un mio recente articolo) un fondo di investimento a capitale prevalentemente pubblico, che possa supportare le imprese italiane attraverso: nuovi aumenti di capitale, iniezioni di liquidità trasformabile in capitale a determinate condizioni e un incremento della patrimonializzazione attraverso operazioni di debito-equity swap.

“Le società target sarebbero identificate tra le società non finanziarie con fatturato superiore a 25 milioni o più di 50 dipendenti, ma non superiore a 5 miliardi di fatturato”, specifica il documento dell’associazione guidata dal direttore generale Stefano Micossi. La dimensione del Fondo – si legge – “è ipotizzabile in 20 miliardi (eventualmente incrementabili fino a un massimo di 25 miliardi)”.

L’intervento del Fondo immaginato da Assonime dovrebbe essere temporaneo, senza diritti di voto o con limitati diritti di voto tesi a preservare i valori aziendali; si dovrebbero prevedere meccanismi di uscita verso gli stessi azionisti o verso il mercato. Gli azionisti manterrebbero la gestione dell’impresa, ma sarebbero vincolati nella distribuzione degli utili, nei compensi del management e nell’acquisto di azioni proprie.

E c’è anche Leonello Tronti

dirigente Istat e docente a Roma-tre che ripropone la topsy-turvy nationalization di James Meade che può essere così raccontata:

“ Il regno unito nazionalizzò dopo la II guerra mondiale le sue industrie dell’acciaio, elettricità, ferrovie e del carbone, ma si trattava solo di un controllo parziale dal momento che lo stato non riceveva libero uso dei profitti.

James Meade, economista premio Nobel, propose di rovesciare il processo di nazionalizzazione del Regno Unito. Quello che lui chiama “topsy-turvy nationalization” è essenzialmente quello di dare allo stato i diritti come azionista senza i diritti di controllo.

I maggiori benefici di questo modello secondo Meade sono due: uso dei profitti distribuiti per finanziare un “dividendo sociale” che provvede flessibilità al mercato del lavoro concedendo una entrata minima a tutti; e separazione tra governo e decisioni dirigenziali di ciò che lo stato possiede.

Conclusioni

Le proposte sono tante ed interessanti, anche noi possiamo aprire un dibattito su questi argomenti così importanti in questa fase storica.