IL RAPPORTO CON RONALD REAGAN

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI

DIPARTIMENTO di Scienze Politiche

Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici

LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO

Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302

Relatore Prof. Vera Capperucci

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

 

CAPITOLO QUINTO

Il rapporto con Ronald Reagan

Lo “strappo” di Sigonella non creò conseguenza nel rapporto con Ronald Reagan che inviò una lettera al leader italiano per assicurarlo che la sua decisione era stata compresa e che gli Stati Uniti erano pronti a cooperare per una soluzione di pace per la causa palestinese. La lettera conteneva un invito. La sera del 4 Marzo1985 Craxi era sul DC9 della presidenza USA diretto a Washington, dopo una breve intensa tappa a New York. Il viaggio doveva consacrare la definitiva accettazione americana della “specificità socialista” del Presidente del Consiglio. Washington era pronta ad accordare fiducia a un capo di governo, inizialmente accolta con curiosità, pur se accompagnata da una sia pur celata riserva. Egli veniva visto come la guida più affidabile per un alleato stretto anche se esso continuava a essere considerato, a un tempo, un Paese importante ma anche fragile.

Il primo colloquio fu con Henry Kissinger che non desistette dal pronunciare la sua famosa battuta sui mille volti dell’Europa, tornando a sottolineare l’imbarazzo dei responsabili americani di fronte alla necessità di scegliere a chi telefonare per condividere una valutazione o addirittura prendere una decisione importante. Craxi riconobbe le titubanze europee a condividere i rischi di ordine militare ma non rinunciò a restituire il colpo osservando che in qualche occasione gli Stati Uniti si comportavano non da “risk takers” ma piuttosto da “trouble makers”. E aggiunse che in tema di sicurezza le colpe non stavano solo da una parte, giacché, nelle analisi, spesso venivano sottovalutati gli strumenti del soft power cui egli era particolarmente sensibile perché più congeniali all’interessi dell’Italia e ai suoi strumenti di interventi.

Sui temi economici, in un vivace dialogo con i grandi della finanza mondiale lì presenti, le cose andarono meglio e la visione di Craxi in tema di condivisione della responsabilità collettiva apparve più facilmente recepita. Egli, in sintesi affermò che nessuno poteva sottrarsi ai doveri di solidarietà, nel sostegno all’economia americana, poiché l’Europa non poteva negare di essersi rialzata dalle devastazioni della seconda guerra mondiale grazie al generoso aiuto degli Stati Uniti, e tuttavia, questo doveva avvenire in un clima di solidarietà attiva e ben equilibrata, poiché era importante che tutti partecipassero agli sforzi per salvaguardare la stabilità del sistema in proporzione al ruolo svolto nel contesto mondiale ma anche ai benefici tratti. La posizione di cui Craxi intendeva farsi portatore anche in considerazione del ruolo di Presidente di turno della CEE era quello dei Governi Europei che giudicavano ci fosse da parte americana una sottovalutazione dei rischi che le forti oscillazioni del dollaro, e in particolare il suo ribasso costante, provocavano nel mercato dei cambi e di conseguenza nella realtà della finanza e dell’economia. Craxi aveva approfondito, da tempo e con ampiezza, questo argomento in particolare da quando aveva iniziato a seguire il problema del misconoscimento europeo, e francese, in particolare, circa l’ampiezza e la continuità degli interventi garantisti della Banca d’Italia a sostegno del corso del dollaro.

La visita proseguì bene, da numerose personalità americane giunsero giudizi positivi su quel Presidente del Consiglio “così poco simile allo standard dei politici italiani”. Il giorno seguente Craxi avrebbe parlato di fronte al Congresso americano.

5.1 La questione cilena

Nel pomeriggio, l’Ambasciatore italiano a Washington, Rinaldo Petrignani, avvicinò i consiglieri di Craxi: aveva letto in via confidenziale, per farlo tradurre, il discorso che Craxi avrebbe pronunciato di fronte al congresso. E, deciso a prevenire qualsiasi turbativa all’atmosfera di grande condivisione che Washington aveva riservato alla visita di Craxi, ammonì i due consiglieri confidando che al Dipartimento di Stato non era piaciuto il passaggio dell’invocazione della democrazia per il Cile. Craxi non prese neanche in considerazione l’ipotesi di cambiare il suo discorso.49 Era amico degli Stati Uniti e li  voleva vedere a fianco della risorgente democrazia in America Latina.

Craxi fu il primo democratico europeo, inviato dell’Internazionale Socialista, a volare in Cile, nei giorni immediatamente successivi al golpe messo in atto da Pinochet e che portò all’assassinio di Allende. Poteva Craxi che si era sempre battuto per l’affermazione della libertà di tutti i popoli dimenticare a mettere in un cassetto i principi di una vita? Craxi parlò di fronte al Congresso degli Stati Uniti, dopo De Gasperi era il secondo Presidente del Consiglio italiano a cui era dato l’onore di parlare di fronte al congresso degli Stati Uniti; non dimenticò in quell’occasione di parlare delle tragedie del popolo cileno. Ricorda Antonio Ghirelli: << Il pensiero della dittatura di Pinochet è stato costante nella politica estera di Craxi. Quando siamo andati da Reagan per la prima volta, a un certo punto il Presidente Craxi gli chiese “Ma che intenzione avete di fare con Pinochet?” e Reagan disse: “Perché secondo le si potrebbero fare le elezioni?”; Craxi rispose “Le elezioni politiche no, ma c’è un uomo, che è l’uomo del Cardinale, si chiama Frei, a cui il Generale Pinochet non può dire di no.” Reagan chiese a Craxi: “E allora?” e Craxi disse “E allora se si fanno le elezioni presidenziali, Frei vince ed è un primo passo verso la fine di Pinochet.” Reagan non rispose nulla, ma pochi anni dopo Frei era Presidente del Cile.>>50

5.2 Reagan

I colloqui con il presidente Reagan, seguiti da una colazione, andarono per il verso giusto. Craxi pose l’accento sul fatto che l’Europa e l’Italia potevano svolgere un ruolo utile per contrastare il clima di ostilità nelle relazioni Est-Ovest e che forse era giunto il momento di provare, attraverso forme accresciute di cooperazione economica, a incrinare la saldezza del legame tra l’URSS e i paesi satelliti. Craxi, poi chiese con franchezza a Reagan di convincere Peres a guardare con meno pregiudizi l’azione dell’OLP, premiando in qualche modo Arafat per i progressi verso la linea della moderazione. La buona intesa personale con il Presidente degli Stati Uniti si rivelò assai preziosa nel futuro, se non si fosse creata alla Casa Bianca quella speciale “chemistry” personale tra i due, sarebbe stato arduo per Craxi ricorrere, come poté fare più volte, ai “chiarimenti diretti” con Reagan, spegnendo così quelle tensioni che avrebbero potuto indebolire la sua azione politica nel Mediterraneo. Craxi era riuscito ad affermare la dignità di un confronto leale e paritario senza soggezioni e acquiescenze. Non fu un caso che Craxi trovò Reagan al suo fianco quando l’Italia fece il suo ingresso tra i “Grandi della Terra.”51

5.3 Dal G5 al G7

Il vertice del G5 svoltosi a Tokyo dal 4 al 6 Maggio 1986 decretò su iniziativa del Presidente del Consiglio Craxi la formazione di un nuovo gruppo dei ministri finanziari dei paesi più industrializzati del mondo che fu portato a sette rispetto ai precedenti cinque (Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Germania, Francia). Si realizzava cosi un esplicita affermazione del nuovo ruolo e funzione dell’Italia nel mondo che era stato il frutto di un intensa azione politico-diplomatica cominciata sin dall’indomani della “riconciliazione americana” a seguito della vicenda di Sigonella. Già dopo due settimane dall’episodio Craxi poté incontrare Reagan a New York in occasione di un vertice straordinario dei paesi più industrializzati del mondo, convocato dal Presidente americano in vista della preparazione del vertice americano sovietico dedicato al tema degli armamenti nucleari. In quell’occasione Craxi ebbe con Reagan un incontro alla Rappresentanza Americana presso le Nazioni Unite che servì a chiarire i malintesi (Craxi in quell’occasione ebbe modo di ribadire la giustezza delle sue posizioni e il rapporto di lealtà che legava l’Italia agli Stati Uniti) e ha ristabilire un rinnovato rapporto di amicizia e di fiduciosa collaborazione.

Fu proprio per il clima favorevole che si era immediatamente ricomposto con il Presidente americano che Craxi cominciò a comporre il disegno che aveva in mente da tempo: usare l’appoggio, decisivo, degli USA per allargare all’Italia il G5.

5.4 Tokyo: Il vertice

Craxi aveva ottenuto da Reagan già prima dell’avvio dei lavori, l’impegno a far adottare la nostra formula circa la trasformazione da G5 in G7 da parte dei ministri delle finanze e farla quindi poi avvallare dai capi di Stato e di Governo nella riunione conclusiva. Nelle riunioni ristrette di delegazione fu chiaro che sulla proposta italiana, Regno Unito e Francia non intendevano dare alcun serio affidamento. Il risultato fu che i ministri delle finanze chiusero la discussione relativa alla parte economica con un semplice sollecito al vertice a compiere ulteriore passi per far si che “le procedure per un effettivo coordinamento della politica economica internazionale fossero ulteriormente rafforzate.” 52 Un linguaggio che era il frutto di un compromesso a ribasso rispetto alle aspettative italiane, ma che il ministro della finanza Goria aveva accettato ritenendolo soddisfacente. Anche il ministro degli Esteri Andreotti dava segno di “accontentarsi”.

Antonio Badini, consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio che ne conosceva il coraggio e la determinazione a voler accrescere sul piano internazionale il ruolo dell’Italia, si precipitò da Lamberto Dini, a quel tempo, direttore generale della Banca D’Italia, che Craxi aveva voluto personalmente a far parte della delegazione53, chiedendogli di apportare lui  stesso gli emendamenti che riteneva necessari al testo dei ministri finanziari in modo da fargli avere rapidamente a Craxi. Dini suggerì semplicemente di insistere per la formale costituzione del gruppo dei “sette”. Quando Badini entrò, Craxi si alzò immediatamente dal tavolo della discussione, si fece aggiornare sulla situazione e fece un gesto a Reagan che si alzò a sua volta e si unì a loro. Craxi spiegò a Reagan le ragioni dell’insoddisfazione dell’Italia. Reagan fece chiamare con urgenza James Backer, il suo segretario del Tesoro; appena lo vide disse al suo indirizzo: “Jim, I told you to get done what Bettino had asked for. What the hell didn’t arrive at your meeting?”54

Baker lo mise al corrente delle perplessità di alcuni ministri, soprattutto il francese e invitò alla pazienza, ma Reagan accortosi delle perplessità di Craxi gli chiese se aveva lui un linguaggio da proporre. Craxi annuì e gli porse il biglietto con l’emendamento di Lamberto Dini. Reagan dopo averlo scorso si rivolse a Baker dicendogli: “ Jim, I want you to get this precise wording in the final communique.”55

Fu questa la conclusione del vertice di Tokyo; a commento del quale Craxi disse: “Le battaglie bisogna vincerle, non basta solo comunicarle.” Oggi, non solo è sparito il G5, ma non serve quasi più a nulla il G8. Oggi i vertici sono diventati esercizi di redazione buoni per i funzionari. In una simile situazione, c’è il rischio che si formino nuovi direttori a geometrie variabili a secondo del tema56 ed è tutt’altro che certo che l’Italia ne sia chiamata a far parte, ma allora grazie anche al rapporto di franca lealtà che si era creata tra Craxi e Reagan l’Italia entrò a far parte dei “Grandi della Terra”.

 

Note:

49. Intervista orale con l’Ambasciatore Rinaldo Petrignani.

50. Documentario La mia vita è stata una corsa, Regia di Paolo Pizzolante, Minerva Pictures Group, Fondazione Bettino Craxi, 2008.

51. Intervista orale con A.Badini.

52 Intervista orale con l’allora direttore generale della Banca D’Italia Lamberto Dini.

53. Craxi aveva inserito nella delegazione il direttore generale della Banca D’Italia a testimoniare che le azioni mosse in quel periodo dalla nostra banca centrale rispetto a una discesa pilottata del dollaro non erano state certamente inferiori a quelle delle banche centrali di Parigi e Londra, argomento questo che andava a favore delle richieste italiane.

54. E.Di Nolfo(a cura di), La politica estera italiana negli anni ottanta, Marsilio, Venezia, 2007.

55. Intervista con orale A.Badini.

56. Come è successo nei colloqui sul nucleare con l’Iran condotti dai cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU a cui si è aggiunta solo la Germania, i cosiddetti “Cinque più uno”.

 

Conclusioni

Cercare di comprendere cosa fu la politica estera Mediterranea di Craxi nel corso della sua attività politica significa rispondere alla domanda su che cosa di vivo e utilizzabile è rimasto di quella esperienza, cosa di essa si è tramandato nella vita dell’Italia, di durevole e quotidiano nel tempo. Di tutta la politica estera di Craxi quella che riguarda il Mediterraneo, la pace nel Mediterraneo, la funzione di questo mare nello sviluppo della pace e della civiltà mondiale, oggi che il Mediterraneo è ancora in fiamme, è quella che mantiene il più vivo senso di attualità: e non è poco perché Craxi aveva lo sguardo lungo su quasi tutti le cose che hanno attinenza con la politica. Raccontava che nei libri di storia del periodo fascista non c’era scritto mare Mediterraneo ma Mare Nostrum, e aggiungeva che l’area mediterranea non troverà pace finché quel mare non sarà di tutti i popoli e tutti i paesi di cui bagna le rive.

Per la pace nel Mediterraneo, Bettino Craxi si è adoperato con solerzia e costanza più di qualsiasi altro politico o uomo di Stato. Un mare solcato in armi dai tempi più antichi fino a metà del secolo scorso, con l’infelice spedizione franco-britannica dopo la nazionalizzazione del Canale di Suez, e ancora oggi teatro e scenario di guerre e rivoluzioni, è stato affrontato da Craxi con le armi che egli prediligeva: la politica, la diplomazia, le armi del dialogo e della pace. Senza scoraggiarsi mai, nemmeno quando le bombe israeliane cadevano su Tunisi o quelle americane su Tripoli, senza perdere il controllo dei nervi, nemmeno quando Gheddafi, che aveva lanciato un missile in mare, si vantò di aver distrutto Lampedusa.57 Craxi voleva la pace nel Mediterraneo perché era convinto che proprio in quell’area vi fossero le maggiori possibilità di sviluppo per l’economia italiana e perché nutriva identica convinzione che il mondo non avrebbe avuto pace finché le condizioni di vita tra nord e sud avessero misurato distanze abissali.

Craxi sapeva quanti interessi italiani ed europei erano legati al Mediterraneo e lo voleva pacifico, un mare di commerci e di scambi, economici, politici, un punto di incontro tra culture diverse. Immaginava l’Italia come il ponte dell’Europa verso le nuove civiltà dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente. Ma sapeva che non c’è pace dove si muore di fame e di stenti. Sapeva quanto fosse difficile guadagnare un quarto di punto sui mercati occidentali e vedeva nei Paesi emergenti del Mediterraneo il luogo di elezione per lo sviluppo delle Industrie italiane e per il Mezzogiorno d’Italia. Con l’allargamento dell’Europa a Est, l’Italia ma soprattutto il Sud , “rischia di diventare in Europa un’area marginale, a meno che non senta profondamente l’impulso naturale che la spinge a collegarsi con i popoli e i Paesi della Regione Mediterranea, aspirando a diventarne punto di riferimento.”58 Una vocazione antica che Craxi aveva reso vitale.

C’è sempre linearità e coerenza nella politica estera di Craxi: è quasi naturale che alle energie spese per migliorare i rapporti con i Paesi del Mediterraneo, e per porre fine a quel vero cancro che era ed è il conflitto israeliano-palestinese, seguissero nell’ultima fase della sua attività politica, lo studio e le redazione di un progetto per la riduzione dei debiti del Terzo mondo, svolto su incarico dell’ONU. Gran parte della sua azione politica mediterranea è dedicata al problema palestinese. Craxi aveva ben chiaro che senza la pace in Medio Oriente quel mare non sarebbe mai stato pacificato. Aveva conosciuto Arafat già ai tempi dell’università a Parigi.

Nella capitale francese il futuro leader dell’OLP capeggiava gli studenti palestinesi. I rapporti si ravvivarono dopo la vittoria israeliana del 1967, che creò un esercito di profughi e, insieme, una vera coscienza nazionale palestinese. Craxi aveva capito da tempo che in Palestina era nato un popolo e che nessuna pace sarebbe stata mai raggiunta senza il riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni popolo: la libertà e l’autodeterminazione. Craxi riuscì a fare di Arafat, considerato il capo di un organizzazione di terroristi, l’interlocutore necessario di cui l’Occidente aveva bisogno per aprire il tavolo della pace. Se le trattative fossero state condotte con la fermezza, la determinazione, il coraggio ed il linguaggio della verità di cui aveva dato prova Craxi, migliaia di vittime sarebbero state risparmiate e di sicuro non staremmo ancora oggi con l’animo sospeso ad attendere ogni giorno notizie della Palestina.

E’ un illusione pensare e credere che il tempo non lasci segni, che ciò che è possibile oggi sarà sempre possibile anche domani. La lunghezza delle trattative, la parsimonia israeliana nel riconoscimento dei diritti dei palestinesi, l’ostentazione e l’uso prolungato della forza, i ritardi nel riconoscere l’assurdità e il fallimento della Grande Israele, la follia di voler mantenere il possesso della terra palestinese conquistata con la guerra preventiva del 1967, congiuntamente alla cecità dell’Occidente sull’uso degli aiuti dati annualmente al popolo palestinese tramite l’ANP, hanno fatto crescere l’organizzazione islamica di Hamas.

Ma la politica di Craxi non si è esaurita nella questione palestinese. Durante gli anni del suo governo, tutti i paesi dell’Africa settentrionale hanno visto sviluppare gli scambi commerciali e anche culturali. Craxi non si sognava di esportare la democrazia: ogni Stato era libero di scegliersi i propri ordinamenti, ma doveva rispettare i diritti umani e il principio di libertà. All’indomani della caduta del Muro di Berlino, quando tutti i capitali occidentali stavano prendendo la via dell’Est, Craxi andò a Tunisi a ricordare i doveri dell’Europa verso il mondo in via di sviluppo. Documentò le distanze tra il tenore di vita di algerini, tunisini, egiziani, marocchini e gli europei, e documentò altresì quanti progressi fossero stati compiuti pur con modesto contributo che rischiava di cessare.

La politica estera mediterranea di Craxi è la storia di vittorie esaltanti e sconfitte dolorose. Fu frutto della visione e della caparbietà di Craxi ma anche negli anni del governo della proficua e leale collaborazione con Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri, un antico avversario che si trasformò serenamente in sodale del Presidente del Consiglio. Durante un convegno, Andreotti ebbe modo di ricordare con franchezza che “lavorare con Craxi non era facile, specialmente avendo un carattere completamente opposto” e aggiungeva “io sono sostanzialmente un burocrate, Craxi, se volevi veramente che leggesse un appunto non doveva andare oltre una sola pagina. Però egli aveva la grande virtù e la grande capacità di individuare il centro dei problemi, e di sapere poi trasmettere quelle che erano le sue posizioni.”

Perennemente, per tutta la vita, combatté battaglie di minoranza affrontandole sempre con spirito garibaldino e modi e convinzioni di democratico: da segretario di zona del Psi a Sesto San Giovanni fino al suo seggio di Presidente del Consiglio dei Ministri e di interlocutore dei potenti della terra. La sua passione per la politica e la sua anima patriottica lo spinsero a dedicarsi costantemente e con profitto alla politica estera, “la più alta e decisiva delle esperienze umane” come amava sottolineare. Con l’azione del suo governo ottenne rispetto internazionale per l’Italia e a agli italiani, la realizzazione di una politica estera da protagonista, né marginale né subalterna.

Note:

57. B.Craxi, Io parlò e continuerò a parlare, Mondadori, Milano, 2014.

58. Appunti personali di Craxi sulla questione mediterranea.