LA NOVITA’ DELLA POLITICA MEDIORIENTALE DEL GOVERNO CRAXI

LUISS GUIDO CALVI – LIBERA UNIVERSITA’ INTERNAZIONALE DEGLI STUDI SOCIALI

DIPARTIMENTO di Scienze Politiche

Cattedra di Teoria e storia dei movimenti e dei partiti politici

LA POLITICA ESTERA DI BETTINO CRAXI NEL MEDITERRANEO: DALLA SEGRETERIA AL GOVERNO

Tesi di: Benedetta Bassetti Matr. n. 068302

Relatore Prof. Vera Capperucci

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

 

CAPITOLO TERZO

La novità della politica mediorentale del governo Craxi

Bettino Craxi giura come Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana il 4 agosto 1983. Craxi a fine ottobre 1984 inizia a riflettere su una forte iniziativa da assumere in Medioriente. Era rimasto molto turbato, nel corso dei suoi incontri istituzionali di quanto fosse diffuso, nella dirigenza politica di Algeria e Tunisia il timore dei contraccolpi che il perdurare della questione palestinese avrebbe prodotto nella regione. Forse solo oggi se né può valutare la portata ma già allora nei colloqui di Tunisi e Algeri erano risultati chiarissimi i riferimenti al distacco dei giovani e i fermenti di crescente radicalismo, soprattutto nell’inquietante emergere di una diffusa militanza religiosa. Da un lato occorreva indurre Arafat a rompere gli indugi e ad abbracciare la via del negoziato con Israele, dall’altro, specularmente vi era la necessità di far assumere all’Occidente una posizione meno ambigua sul sostegno all’esercizio del diritto palestinese all’autodeterminazione, con tutto quello che ciò implicava, inclusa la dichiarazione d’indipendenza. Lo stesso Arafat aveva detto a Craxi “Se non mi date una mano, si formeranno ali radicali che voi non riuscirete più a contenere, io sarò la prima vittima, ma le conseguenze ricadranno su Israele e l’Occidente.”31

Ricorda Ugo Intini: <<Eravamo amici degli arabi ma anche degli israeliani. Ci piaceva l’atmosfera di Israele, ci affascinavano i kibbutz, l’unica realizzazione pratica al mondo di un’utopia egualitaria, fraterna, dai tratti bucolici e in parte guerrieri. Ci inorgogliva la forza organizzata del più potente sindacato democratico del mondo…Ci attraeva l’ambiente modesto schietto e familiare che in quegli anni circondava i dirigenti israeliani…Ci commuovevano le storie eroiche e semplici dei pionieri. Condividevamo l’impostazione dei socialisti di Tel Aviv condensata nello slogan “Tutto per la pace fuorché la sicurezza”. Ma l’amicizia per i compagni non ci rendeva cechi.

Ci irritava il loro sofismo furbesco quando ci spiegavano che dovevano si ritirarsi dai territori occupati secondo la risoluzione numero 207 delle Nazioni Unite, ma non da tutti, soltanto da alcuni perché la versione del testo da utilizzare non quella francese bensì quella inglese, dove la mancanza dell’articolo, tipica della lingua anglosassone, consentiva la forzatura interpretativa. Ci esasperava l’inflessibilità a definire sempre e soltanto terroristi i palestinesi e tutti i palestinesi…Ci pareva disastrosa la conseguente determinazione a volere trattare la pace con il popolo palestinese non attraverso il loro leader Arafat, bensì attraverso Re Hussein, odiato per il tragico massacro dei palestinesi in Giordania, nel “Settembre Nero” del 1970…Ci allarmava la mutazione genetica del paese, con la proliferazione di ebrei iper- ortodossi, dalle lunghe barbe e dalle palandrane nere simili, anche psicologicamente a fondamentalisti islamici anziché ai compagni di stile occidentale, laici e tolleranti, che eravamo abituati ad apprezzare.>>32

Craxi, che aveva perciò le carte in regola per fungere da mediatore cominciò il suo giro di consultazioni. Esso prevedeva prioritariamente il passaggio di Dublino dove di lì a poco era programmato il vertice CEE sotto la presidenza irlandese. Craxi contava di ottenere una sorta di mandato sull’argomento Mediorientale da poter utilizzare durante la presidenza italiana che sarebbe iniziata il mese successivo. La scaletta del “Piano” prevedeva poi in sequenza: un incontro risolutivo con Arafat, una consultazione con i paesi arabi più influenti, una navetta con la “troika” dei negoziatori arabi (Mubarak, Hussein, e lo stesso Arafat), per poi concludersi con il tentativo di portare a Roma Shimon Peres, il Primo Ministro israeliano, che Craxi conosceva per via della comune appartenenza all’Internazionale Socialista. E cosi andarono le cose, Craxi informò Andreotti, Ministro degli Esteri delle sue idee e acquisì i suoi consigli.

Il suo obiettivo principale era convincere Re Hussein di Giordania a nominare una delegazione negoziale giordano- palestinese formata da personaggi vicini all’OLP. Egli sapeva tuttavia che senza alcune garanzie da parte di Arafat, il sovrano hascemita sarebbe stato restio a muoversi nella direzione desiderata. Craxi fece quindi sapere ad Arafat che egli sarebbe stato pronto a incoraggiare una dichiarazione di sostegno della CEE e del Presidente Reagan, qualora dal Consiglio Nazionale palestinese di Amman del 21 novembre 1984 uscisse una posizione chiara in favore di una piattaforma giordana-palestinese quale base per avviare un dialogo con Israele. Il tempo era poco per la preparazione dei due eventi ma Craxi decise comunque di incontrare Arafat insieme ad Andreotti. L’incontro ebbe luogo riservatamente nella tarda serata del 5 dicembre nella residenza segreta del rais, che Craxi descrisse come una viletta decisamente modesta nelle campagne di Tunisi. Il colloquio si protrasse fino a notte fonda e fu considerato utile dalle due parti.

3.1 La posizione di Arafat

L’accettazione di un assetto federativo o confederativo della Palestina, che avrebbe significato da parte dell’OLP la rinuncia a uno stato palestinese completamente indipendente non venne mai fatta da Arafat che mantenne su questo punto una certa ambiguità. Ma aveva accettato la via dell’abbandono della lotta armata se Israele e Stati Uniti avessero riconosciuto l’OLP come forza rappresentativa e negoziale.

Egli aveva bisogno di un sostegno sufficiente a dimostrare che l’opzione del dialogo era pagante e che quella poteva essere la strada che portava all’obiettivo voluto dal popolo palestinese. Arafat aveva poi sollecitato a considerare l’influenza stabilizzatrice che una reale iniziativa di pace poteva esercitare su tutto il Medioriente. Pronunciò poi una frase destinata a diventare famosa ma di cui nessuno (neanche in tempi recenti) ha fatto tesoro, “Dateci una seria prospettiva di avere una patria come hanno gli altri popoli e saremo anche noi partecipi di un più vasto assetto politico da proteggere e difendere.”33

Craxi e Andreotti avevano dunque intascato l’impegno di Arafat di sciogliere le ambiguità e le contraddizioni rispetto alla scelta negoziale, mantenendo una qualche riserva sulla capacità del rais di mantenere con tempestività la sua promessa. Stava crescendo, contro l’opzione della trattiva, il “Fronte del Rifiuto” che rischiava di far proselity fra le fasce più diseredate della popolazione, non solo palestinese ma nell’insieme del mondo arabo. Stavano diventando infatti, in quel tempo, sempre più attivi i “movimenti rivali di Al Fatah”, che non avevano ritenuto di abbandonare la lotta armata contro l’occupante Israele, una nazione che essi non intendevano riconoscere e che anzi, si proponevano di distruggere. Il “Fonte del Rifiuto” pur dichiarandosi indipendente era in realtà vicino alla

Siria e sensibile all’influenza dell’URSS. Esso tuttavia non esauriva lo schieramento della fronda ad Arafat. Permanevano infatti all’interno dell’OLP movimenti e fazioni che seguivano atteggiamenti ambivalenti se non addirittura volutamente ingannevoli. Arafat temeva che il suo progressivo avvicinamento alle tesi dell’Occidente venisse astutamente interpretato del “Fronte del Rifiuto” come un abbandono della “Sacra Causa”. Un rischio che Craxi e Andreotti non sottovalutarono mai nel costruire la posizione politica dell’Italia; Craxi in particolare insisteva a volere da Arafat un impegno serio e affidabile a rompere i legami con chiunque facesse allontanare, con un contegno altalenante, la prospettiva di un regolamento pacifico. Egli sapeva tuttavia che Arafat non poteva facilmente dismettere gli abiti del combattente a cui doveva la sua credibilità e autorità di capo. Tutto ciò non sfuggiva a Craxi secondo il quale Arafat poteva tuttavia farsi forte del riconoscimento concesso dal vertice Arabo all’OLP di unico rappresentante legittimo del popolo palestinese, a seguito del quale egli era stato ammesso a prendere la parola all’assemblea generale delle Nazioni Unite.

3.2 La Troika

Da qui il suo peregrinare per costruire un polo moderato, egli aveva in mente una Troika formata da re Fahad, dal presidente Mubarak e da re Hussein.

Gli approcci tattici furono comunque diversi. A Fahad, Craxi spiegò che non era immaginabile la sconfitta militare di Israele che godeva della protezione degli Stati Uniti. A Mubarak ricordò il “calvario” di Sadat. A Hussein, infine, Craxi fece balenare l’ipotesi, cui egli credeva sinceramente, secondo cui senza l’avvallo giordano non vi sarebbe stata una Cisgiordania sovrana sotto bandiera palestinese: una realtà che tuttora ci indica la sua grande preveggenza e saggezza, essa, infatti, è ancora oggi attualissima nonostante i falsi proclami dell’Occidente. Ma l’azione più forte Craxi la dispiegò nei confronti di Arafat. Da un lato gli rammentò la superiorità bellica schiacciante di Israele. Dall’altro profuse tutte le sue capacità di convincimento puntando sul pieno sostegno che l’Europa avrebbe potuto assicurare. Anche Craxi in patria, nonostante il leale sostegno di Andreotti, doveva fare i conti con alcuni malumori che provenivano dall’interno della coalizione di governo.

Craxi, dopo la crisi di Sigonella, nel discorso per riottenere la fiducia del parlamento ritorna sull’analisi del conflitto arabo-palestinese riaffermando che esiste un popolo palestinese, una questione palestinese e la sua legittima aspirazione ad avere una patria, una terra, delle istituzioni. Le sue considerazioni si basano su precise disposizioni dell’ONU, che per decenni sono rimaste lettera morta. Craxi si riferisce alla risoluzione dell’ONU adottata il 22 novembre del 1974 dal titolo “Questione della Palestina” che a un certo punto precisa: “Si riconosce al popolo palestinese la riconquista dei propri diritti con tutti i mezzi.”

“Quando Israele anni addietro, fu minacciata nella sua esistenza da una guerra che li veniva mossa dagli Stai Arabi suoi vicini, tutti insieme fummo per Israele, per difendere il diritto alla sua esistenza, riconoscendo tutto il valore della conquista del popolo israeliano, c’è una terra, una patria, uno stato sovrano. Israele vinse quella guerra e d’oggi nella regione, è la potenza militare egemone, gode di una supremazia militare, che tutti gli stati che la circondano riconoscono come esistente. Nessuno la minaccia, nessuno potrebbe avere la forza militare di minacciare l’esistenza e la sicurezza di Israele. Ebbene Israele, occupa da diciotto anni territori arabi, abitati da popolazioni arabe. Noi pensiamo che Israele debba restituire questi territori in cambio della pace, negoziando questa restituzione.

Questo è il passaggio essenziale; tutto il resto è proprio contorno, tutto il resto è proprio secondario. Il passaggio essenziale è questo: un fiume che deve essere varcato…Tuttavia, dobbiamo cercare di capire la natura concreta delle differenti esigenze che sono sul tavolo. Non capisco tanto accanimento verso la parte più debole della contesa e più esposta quindi, agli errori. Israele, che è nostra amica, deve essere più generosa nei confronti dei palestinesi, perché Israele sa quanta fatica e con quanto sacrificio ha dovuto percorrere la strada per conquistarsi uno stato: ora deve essere generosa con i vinti, aiutando a risolvere la questione palestinesi. Noi chiediamo questo a uno stato amico: di essere lungimirante e generoso…La comunità internazionale può essere impegnata a creare tutto il sistema di garanzie necessarie perché una pace che intervenga su queste basi sia duratura e stabile.

Questa è la via che deve essere seguita. Io spero che non si riaprano polemiche su una linea di condotta che a noi sembra ragionevole e giusta, che tiene conto dei diritti di tutti, e cerca di favorire l’avvento di un periodo di ragionevolezza, di fiducia, cosi difficile da conquistarsi. Questa resta l’unica strada attraverso cui tale questione potrà essere risolta. Non cerco di immaginare neppure che cosa potrà succedere in avvenire, non dico domani e neppure dopodomani, ma che cosa potrà succedere in avvenire, nei prossimi anni, se questa questione non sarà risolta. Essa campeggia come una grande ferita aperta che irradia i suoi dolori su diverse regioni e rimbalza negativamente sulle relazioni internazionali.”34 Il ragionamento di Craxi si esprime in modo chiaro ovvero terra in cambio di pace, negoziata e garantita dalla comunità internazionale.

In seguito, Craxi passò al contrattacco rendendo pubblico un lungo e articolato messaggio che egli aveva indirizzato al Presidente Reagan in cui richiamava i colloqui avuti in rapida successione con Mubarak, re Fahad, il presidente algerino Bendjedid e tunisino Bourghiba e infine Arafat, in cui sceglieva toni forti per descrivere la situazione nell’area. 35 Incoraggiato dalla buona accoglienza ai suoi sforzi, Craxi decise di intensificare i suoi scambi di vedute con la Troika informale, mettendo in campo, seppur con qualche forzatura il suo status di Presidente di turno del Consiglio Europeo, nascondendo con la sua azione, la tradizionale mancanza d’iniziativa europea.

Mentre Mubarak, così come Craxi, considerava prematura la convocazione di una conferenza di pace; Hussein nei suoi contatti con Craxi cercava di trasmettere un senso di urgenza. Tuttavia sia Craxi sia Mubarak erano attenti a non far apparire troppo la loro differenza di approccio rispetto a Hussein riconoscendogli il ruolo a cui era chiamato da Israele che non intendeva riconoscere l’OLP. Il 18 gennaio 1984 Mubarak, venne a Roma  a incontrare il Presidente Craxi e il Ministro degli esteri Andreotti, né scaturì un messaggio incoraggiante: Mubarak e Craxi erano concordi a sostenere il dialogo e “ogni iniziativa atta a favorire progressi in direzione della pace”. Non si fece menzione, nel messaggio, dell’incontro fra la delegazione giordana e palestinese, guidate da Hussein e Arafat, che era stato programmato per le settimane successive ad Amman; incontro teso ad elaborare una bozza di piattaforma congiunta giordano-palestinese della quale Craxi aveva discusso con Arafat nel colloquio nella villetta alla periferia di Tunisi.

Restava ancora da determinare se il legame istituzionale del futuro Stato palestinese con la Giordania, fosse esso federale o confederale. Mubarak confidò a Craxi di aver trovato Hussein, nel colloquio che aveva avuto con lui nei giorni precedenti ad Aqaba piuttosto negativo sull’atteggiamento dei palestinesi, a causa dei moniti del “Fronte del rifiuto” avallati dalla Siria. Lo stesso Peres in visita a Roma, segno che l’iniziativa di Craxi era considerata senza pregiudiziali negative da Tel Aviv, confidò a Craxi di sentire più di un dubbio sulla determinazione di Hussein ad assumersi in pieno la responsabilità delle trattative a causa degli avvertimenti offensivi che gli arrivavano dalla Siria di Hafez al-Assad. Peres (dichiarandosi tra l’altro indisponibile ad aprire il capitolo Golan) concluse che Israele non si sentiva di affidarsi alle promesse di Arafat, che egli non ebbe dubbi nel definire personaggio dal contegno ondivago. Anche Mubarak ammetteva un certo grado di ambiguità nel comportamento di Arafat, ma ne attribuiva la causa prevalentemente alle feroci lotte intestine, nel movimento palestinese, alimentate dalla Siria con l’appoggio dell’URSS.

Era un fatto che in quell’epoca il Medio Oriente ricadeva anch’esso nella sfera d’influenza della contrapposizione Est-Ovest. Craxi aveva ben chiare tutte le difficoltà e si rendeva conto che nel processo di pace vi erano fattori difficilmente governabili. Aveva il timore di non riuscire a girare la pagina del terrorismo. Ma coraggiosamente nel colloquio con il primo Ministro Israeliano Craxi chiese chiaramente a Peres se egli fosse pronto, nel caso in cui Arafat continuasse a distanziarsi dalla lotta armata ad ammettere la possibilità di rivedere il suo giudizio sul leader Palestinese. Anni dopo a convincersi delle buone intenzioni di Arafat fu lo stesso Rabin, con la stretta di mano nel prato della Casa Bianca. Craxi si assunse dei rischi, giacché il nostro Paese non solo subì attacchi terroristici ma corse seri pericoli di crisi anche nei rapporti con il nostro maggiore alleato, gli Stati Uniti.36 Ma ciò che avvenne in seguito dimostra la bontà delle sue intuizioni. La storia ha dimostrato che aveva ragione Craxi a dare fiducia ad Arafat e torto Israele a negargliela e a indebolirlo. Oggi, con il mondo palestinese spaccato in due, Israele non ha guadagnato in sicurezza ma ha piuttosto allungato i tempi di un martirio annunciato dei due popoli, quello Palestinese e Israeliano. E’ storicamente provato che l’incontro segreto di Tunisi segnò per Arafat la scelta irreversibile dell’opzione di pace, “una decisione di non ritorno”.37 Peres era perciò in malafede a negare al leader palestinese la volontà di giungere per via negoziale alla creazione dello Stato Palestinese, diritto poi riconosciuto persino da Israele, non era Craxi a essere in anticipo con l’appuntamento con la storia ma piuttosto Israele a essere in così grave ritardo, con tutto quello che ne è conseguito in termini di morte e distruzione dovute alle due Intifada, nel 1987 e nel 2000, alla nascita nel 1987 del movimento islamista di Hamas e nel 1982, di quello sciita di Hezbollah. Sino a giungere alle tragedie dei giorni nostri.

Qualche anno dopo durante le vicende della crisi di Sigonella, Badini racconta del suo colloquio con Abu Abbas, capo del Fronte per la Liberazione della Palestina: “Abu Abbas, ha ammesso che non è sempre facile per i leader dell’OLP mantenere l’assoluto e pieno controllo su tutti coloro che si riconoscono nell’organizzazione o dichiarano di appartenervi; le difficoltà aumentano ulteriormente nell’attuale congiuntura in cui prevale, anche nell’ambito dell’organizzazione un senso di paura, incertezza e smarrimento. È indubbio che esiste un deterioramento dell’intera situazione mediorientale che coinvolge anche l’OLP e che rende talvolta incerti gli schieramenti dei piccoli gruppuscoli e delle frazioni. In queste condizioni, gli estremisti trovano terreno fertile per indebolire l’obbedienza dei militanti alle direttive della dirigenza.”38

Note:

31. Intervista orale con A. Badini, Consigliere Diplomatico del Presidente del Consiglio Craxi.

32. U. Intini, I socialisti , Gea, Milano, 1996, (pp. 223-224).

33. Intervista orale con A. Badini.

34. Camera dei Deputati seduta del 6 novembre 1985. Discussione sulle comunicazioni del governo.

35. Lettera a Ronald Reagan da B. Craxi : “Caro Ron, dai miei scambi di vedute, molto intensi e approfonditi, è emerso un quadro preoccupato e preoccupante della situazione in Medio Oriente, riguardo, soprattutto al contenzioso arabo-israeliano e alla questione palestinese, che rimangono – nell’opinione di tutti i governi consultati – il punto centrale della problematica della Regione. I nostri interlocutori hanno tenuto a esprimerci la propria viva inquietudine per il prolungato ristagno del processo negoziale. Essi vi scorgono un alto potenziale di pericolosità e di rischio sotto un duplice profilo. Da un lato, perché lo stallo alimenta sentimenti di frustrazione nelle popolazioni arabe e, favorendo la diffusione del radicalismo politico e religioso, viene a rappresentare una crescente minaccia per la stabilità e la sicurezza dei Paesi arabi moderati. Dall’altro, perché esso rafforza l’influenza dei governi arabi più intransigenti verso l’opzione negoziale. Ho potuto cogliere, in particolare, presso egiziani e sauditi i più chiari sintomi di disagio per quella che essi valutano come una carente iniziativa dei Paesi occidentali – e in primo luogo gli Stati Uniti – per una ripresa del processo negoziale. Mubarak e Fahad si sono espressi con me con toni di amarezza, che mi sono sembrai tanto più rimarchevoli, in quanto visibilmente contenuti e contemperati da sentimenti di grande amicizia, leale e sincera, verso di Lei e verso il Suo Paese. Ci si attende ora, in presenza di atti e decisioni rilevanti per la ripresa del dialogo, che Lei completi il suo disegno costruttivo per il Medio Oriente. L’aspettativa fiduciosa è tuttora rivolta in primo luogo verso gli Stati Uniti, il cui ruolo continua a essere considerato fondamentale per il raggiungimento di una soluzione giusta e globale di pace. Ma essa si rivolge anche ai Paesi della Comunità Europea e all’Italia, che si accinge ad assumerne la presidenza. A nostro avviso resta quindi importante il mantenimento di un dialogo occidentale con Damasco, che per parte americana è stato efficacemente avviato e dal quale può sortire in primo luogo un costruttivo contributo della Siria alla soluzione del problema libanese. Ma l’autentico impulso al negoziato, mi sembra di poter dire potrà essere conferito, almeno in una fase iniziale, dall’Egitto e dalla Giordania, con forme di raccordo con l’OLP. La riunione del CNP è certo il frutto degli appelli pressanti che sono stati rivolti ad Arafat perché rompesse ogni indugio e assumesse iniziative legate al dialogo e al negoziato: iniziative realiste, soprattutto nella ricerca di un’intesa prioritaria, certamente essenziale, con il sovrano hascemita. Un appello che Arafat ha raccolto, adoperandosi per la convocazione del Consiglio nazionale palestinese e facendolo svolgere ad Amman, una sede che rappresenta un’evidente scelta politica. Non è mia intenzione entrare nel merito delle decisioni assunte ad Amman. Tuttavia è evidente che Arafat ha cercato di compiere i primi passi su un sentiero che se percorso con coerenza e convinzione può creare condizioni più favorevoli per una soluzione politica del conflitto arabo-israeliano. Ho detto primi passi perché il tratto di strada da percorrere è ancora lungo e certamente pieno di incognite. Ma sono comunque passi non equivoci che meritano attenzione e considerazione, per le sfide non facili che Arafat ha deciso di raccogliere in uno spazio di tempo relativamente breve; la sfida della Siria, che non voleva lo svolgimento del SNP; la sfida di Hussein che ha ammonito l’OLP ad intraprendere definitivamente l’opzione negoziale offrendo nella sua proposta termini di compromesso non facili. Ad Amman non tutti gli interrogativi sono stati sciolti; restano ambiguità e contraddizioni. Ho detto, per parte mia, chiaramente ad Arafat che i progressi di Amman non sono sufficienti e che nuovi gesti debbono essere compiuti perché l’OLP possa rendere definitiva e non reversibile la scelta dell’opzione del negoziato e l’abbandono della lotta armata. Ho precisato che, a mio giudizio, era a tal fine necessario giungere ad una comprensiva piattaforma giordano-palestinese, motore essenziale per rimettere in moto un reale processo di pacificazione, una piattaforma i cui contenuti rappresentino altrettante risposte inequivocabili sia alle questioni attinenti al rapporto giordano-palestinese, sia ai rapporti da instaurare con tutti gli Stati della regione. Fino a quando – ho osservato – una piattaforma accettabile giordano-palestinese non verrà elaborata; risulterà estremamente difficile svolgere formalmente i passi desiderati per dare la spinta e la forza necessarie alle prospettive di un vigoroso processo negoziale. Arafat, dal canto suo, ha tenuto ad affermare che non era certo secondaria la dimostrazione di coraggio che l’OLP era riuscita a dare nel liberarsi di forze condizionanti – come la Siria _ sottraendosi ad una servitù politica e ad una strumentalizzazione che avrebbero potuto esasperare la situazione di stallo in Medio Oriente, con gravi rischi di instabilità e di nuovi conflitti. Mi ha assicurato che intendeva proseguire una paziente opera di ricerca del consenso arabo.

Ha sottolineato al riguardo l’importanza del ruolo egiziano e si è mostrato fiducioso di poter contare su di un appoggio sempre più convinto dei Paesi che vogliono veramente operare per la pacificazione del Medio Oriente. Il leader palestinese mi ha prospettato l’auspicio di segnali di apertura da parte europea e americana, dichiarandosi pronto a rispondere con gesti coerenti e significativi. Egli ha chiaramente mostrato nel nostro incontro di poter essere disponibile, se le condizioni lo consentiranno, verso atti inequivocabili di riconoscimento dello Stato di Israele, ma ciò – egli ha detto – nel momento in cui potrà emergere con chiarezza la disponibilità di tutti e porre sul tavolo del negoziato le proprie carte nella travagliata e cruenta partita che purtroppo da troppi anni si gioca nel Medio Oriente. Non ho, tuttavia fatto mistero ad Arafat delle mie profonde riserve e perplessità sulla percorribilità dell’ipotesi di una conferenza internazionale, da realizzarsi eventualmente sotto l’egida dell’ONU. Gli ho detto in tutta franchezza che insistere su questa opzione significava allontanare nel tempo le prospettive di avvio del processo negoziale, mentre deve essere interesse comune ricercare vie realistiche e pragmatiche quali quella dei piccoli passi e delle trattative dirette. Mi permetto quindi, caro Presidente e Amico, di sottoporle un invito ad unire i nostri sforzi per incoraggiare il processo di movimento in atto così da rafforzare i segnali di dialogo, e a predisporci a valutare tempestivamente i modi e le forme di una nostra iniziativa da adottare nel momento in cui il quadro di riferimento sarà maggiormente chiarito e il terreno sarà sgombrato da ambiguità e contraddizioni.

Credo che debba spingerci in questa direzione la consapevolezza che Stati Uniti e Europa dispongono di molti amici fra i Paesi arabi. Il nostro dovere è di non deludere questi amici e di mostrare loro la massima apertura e disponibilità a comprenderne le aspettative, in un quadro di giustizia e di sicurezza per tutti. Ma non possiamo certo nasconderci che nel mondo arabo vi sono anche Paesi che manifestano un’ostilità che può insidiare i propositi di pace e di giustizia che ci ispirano e noi non dobbiamo fornire loro pretesti che ne agevolino l’azione. Ho voluto mettere a Sua disposizione queste mie considerazioni nell’auspicio di continuare ad approfondire una consultazione stretta ed efficace su di una questione così strumentale per la salvaguardia della pace e in una congiuntura storica di importanza del tutto particolare. Con stima e amicizia. Bettino Craxi.”

36. E.Di Nolfo e M.Gerlini (a cura di) , Il Mediterraneo attuale tra storia e politica , Marsilio, Venezia, 2012.

37. Intervista orale con A.Badini.

38. Relazione sul colloquio tra il consigliere diplomatico Badini e Abu Abbas.