LA QUESTIONE ARABO-ISRAELIANA E LA GUERRA DEI SEI GIORNI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae
DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica

CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI

(ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI

La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969

M-STO/04
Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045

ANNO ACCADEMICO 2012-2013

 

CAPITOLO TERZO

3.2 La questione arabo-israeliana e la guerra dei Sei giorni

Sin dalla fine di maggio del 1967, in seguito alla diffusione della falsa notizia dello schieramento di truppe israeliane al confine siriano, la possibilità  dello scoppio  di  un conflitto appariva imminente. Il 20 maggio il governo israeliano ordinò la mobilitazione generale ed il giorno successivo, Nasser annunciò il blocco dello  stretto di Tiran. La situazione divenne, così, esplosiva. Il sostegno e l’appoggio fornito dai socialisti allo Stato di Israele fu, sin dall’inizio, incondizionato.

L’“Avanti!” seguì con attenzione lo sviluppo degli eventi, dando largo spazio  al tragico evento. Il quotidiano socialista riportò prontamente i discorsi e le dichiarazioni dei dirigenti socialisti pubblicando, inoltre, ampi editoriali.

Alla vigilia del conflitto Luciano Vasconi, in un lungo articolo criticava le ricostruzioni “ufficiali” che vedevano la Siria in pericolo per un attacco  di Israele  per conto degli americani. Vasconi, che definiva tale formulazione un “complotto” attribuito “razzisticamente al ‘sionismo internazionale’”, dichiarava:

“lo Stato di Israele in tutto questo, non c’entra. Ha reagito alle missioni terroristiche di commandos arabi nel proprio territorio, anche con ‘rappresaglie’ che l’hanno messo dalla parte del torto in singoli episodi. Ma non c’è prova che Israele mediti ‘complotti’ ai danni della Siria; teme, come sempre, si scateni la ‘guerra santa’ araba, e chiede protezione a chi gliela dà. Il pericolo per Israele è di cadere in una provocazione tipo Suez del 1956, cioè nella guerra preventiva. E’ un pericolo serio, ma non si è ancora arrivati alla teorizzazione della guerra preventiva”238.

Il sospetto più fondato, secondo Vasconi, era “che le due super potenze intendano misurarsi su una scala sempre più globale, dandosi e restituendosi dei ‘colpi di mano’. […] Da tutto ciò si ricava che Israele non è che un falso scopo, creato dalla politica di potenza, sia essa a livello ‘planetario’ (USA e URSS) o semplicemente regionale (Nasser)”239.

Il 25 maggio i dirigenti socialisti, preoccupati per l’  evolversi  negativo della vicenda, in una riunione della segreteria, votarono all’unanimità un documento nel quale si prendeva in esame la questione del Medio Oriente.

“La segreteria del partito di fronte alla grave situazione che si va creando nel Medio Oriente tra gli Stati arabi ed Israele conta su una sempre più impegnata azione a sostegno di tutte le iniziative di pace, sollecita l’intervento immediato dell’ONU e la mediazione delle maggiori potenze, la mobilitazione dell’opinione pubblica contro i fattori di antisemitismo ed ogni forma di razzismo che concorrono a rendere sempre più difficile la coesistenza pacifica tra i popoli. I socialisti si pronunciano per il rispetto delle frontiere, il cui mutamento quando non scaturisca da accordi bilaterali, rappresenta una irreparabile minaccia per la pace ed un pericolo di conflitto mondiale. Invita il partito a sviluppare nel Paese, come per il Vietnam e per ogni altro focolaio di guerra, un’azione risoluta e coerente per il mantenimento della pace”240.

Tale posizione fu ribadita da Pietro Nenni, in un discorso pronunciato a Pisa durante un comizio elettorale. Il leader socialista affermava:

“Niente di più ingiusto che inquadrare il conflitto tra gli Stati arabi e lo Stato di Israele nel più vasto contesto della lotta di potenza e di egemonia mondiale in cui il mondo rischia di ricadere e che ha riflessi assai pericolosi nel Medio Oriente. Gli Stati arabi sono impegnati in una lotta di carattere economico e sociale e di definitiva liquidazione delle sopravvivenze colonialistiche nella quale vanno sostenuti. Ma la guerra contro Israele non ha nulla di comune con l’anticolonialismo. A sua volta lo Stato israeliano sta portando avanti una esperienza politica e sociale in cui si fondono gli ideali di democrazia e di socialismo e che sono non una minaccia ma semmai, un esempio. Si tratta di dare una sistemazione, per quanto possibile definitiva, all’armistizio del 1948 e di trasformarlo in pace, con la garanzia delle frontiere ed ella libertà dei mari. E’ questo l’imperativo categorico su cui si regge la coesistenza pacifica nel Medio Oriente, in Europa e in Asia”241.

Le dichiarazioni di Pietro Nenni rispecchiavano appieno la posizione del Psu di  fronte alla preoccupante questione mediorientale.  La condotta dei  socialisti italiani di fronte a questa nuova crisi spinse, inoltre, il segretario generale del Mapai, Golda Meir, ad inviare un messaggio ai socialisti italiani affinché mobilitassero l’opinione pubblica contro l’atteggiamento aggressivo di Nasser. Nel comunicato  era scritto  che “La guerra è imminente, se l’opinione pubblica mondiale delle pacifiche non impedirà a Nasser di realizzare le sue decisioni che rappresentano un pericolo, non solo per Israele, ma anche per il libero sviluppo e la stabilità di tutto il Medio Oriente”242. Il Psu aveva mantenuto, infatti, rapporti privilegiati con  il  Mapai,  partito che come lo stesso PSU , faceva parte dell’Internazionale socialista e proprio per questa comune “fede nella solidarietà socialista” Golda Meir chiese, ed ottenne sostegno e collaborazione da parte dei socialisti italiani.

Numerose furono, infatti, le manifestazioni filo-israeliane organizzate nelle principali città italiane come gesti di solidarietà e di amicizia verso il popolo di Israele. La veglia al tempio ebraico di Roma fu solo un esempio di tale partecipazione. L’“Avanti”, che riportò la notizia, sottolineava nell’articolo la profonda commozione ed emozione delle migliaia di persone presenti. “La veglia di domenica ha visto migliaia di persone affollarsi intorno all’improvvisato palco dove decine di esponenti del mondo politico e culturale romano si sono susseguiti ai microfoni per denunciare le responsabilità di certi ambienti (anche nel nostro Paese)  e per riaffermare il diritto di Israele, di questo popolo verso il quale siamo tutti debitori, al proprio territorio, alla propria sovranità, alla propria indipendenza”. L’oratore ufficiale della manifestazione era Aldo Garosci che, intervenendo nel dibattito, ribadì la posizione socialista sulla questione. “In Israele è stato  costruito  un Paese socialista e democratico. Lo Stato d’Israele ha fatto ripetuti tentativi per la pace nel Medio Oriente, che sarebbero stati bene accolti dai popoli arabi solo se i governanti dei loro Paesi non li avessero respinti. Israele è una luce che rappresenta  la libertà e non va spenta”243.

Molti militanti del partito aderirono alle associazioni di amicizia con Israele rappresentate dall’“Unione Democratica Amici di Israele” con sede a Milano. In seguito, proprio la città lombarda diventò il punto di riferimento principale per gli incontri tra i socialisti e gli ebrei che individuarono nel “Circolo De Amicis” e nel “Club Turati”, frequentato dal segretario cittadino socialista Carlo Tognoli ed il vicesegretario Giorgio Gangi, degli importanti punti di riferimento. A Roma, fu il “Circolo Salvemini” a rappresentare la sede scelta per gli incontri socialisti  sul Medio Oriente ed Israele244.

L’impegno socialista verso la delicata questione non si limitò esclusivamente alla solidarietà, i dirigenti socialisti si impegnarono, infatti, anche nelle  sedi  ufficiali. Il 31 maggio fu presentata, dunque, un’interrogazione firmata dai senatori Lami-Starnuti e Vittorelli e di tutti i senatori socialisti al Ministro degli Affari Esteri “per sapere se il governo non ritenga di dover esprimere pubblicamente il grave allarme che si è diffuso tra tutti i democratici del nostro Paese per le minacce che gravano sull’esistenza stessa dello Stato di Israele, Stato riconosciuto dall’Italia e dalla stragrande maggioranza dei Paesi  civili sin dalla sua costituzione  e ammesso  in seno all’ONU.” I senatori proseguivano chiedendo, inoltre, “se esso  non  contempli un’iniziativa italiana, non solo per esercitare una doverosa opera di moderazione sulle parti contendenti e di mediazione fra le medesime, al fine di raggiungere una soluzione pacifica delle controversie esistenti., ma anche al fine di preservare il diritto all’esistenza di uno Stato del quale si riconosce la legittimità nonché la funzione di progresso politico e sociale, in tutta l’area del Mediterraneo orientale e nei Paesi in via di sviluppo”245.

Nel dibattito alla Camera sulla questione del Medio  Oriente  intervenne,  inoltre, Riccardo Lombardi. Nel suo discorso il dirigente socialista dichiarava che “per quanto deteriorata sia la situazione, anche e soprattutto per le ciniche interferenze delle massime potenze, non esiste alternativa alla guerra che l’accordo fra le due entità nazionali araba e israeliana: certo con sacrifici reciproci che però possono essere consentiti se essi varranno a garantire non una tregua precaria  ma  una sistemazione definitiva dei rapporti, comprendendo in tale definizione la questione dei profughi”. Lombardi affrontava,  dunque, seppur  in modo  marginale, la spinosa questione dei profughi, che avrebbe rappresentato, in seguito, la conseguenza più grave del conflitto. Lombardi proseguiva affermando, inoltre, che “l’azione del governo italiano deve  essere  guidata non da pregiudiziali di blocco  e di ostilità all’una o all’altra parte, ma dalla coscienza di salvaguardare nella pace,  con i necessari compromessi, esigenze e aspirazioni legittime delle due parti che  altri, non l’Italia, può avere interresse ad esasperare per sfruttarle, facendo probabilmente, sulle conseguenze della scelta della violenza, dei calcoli che la storia ha spesso dimostrato errati”246. Il dirigente della minoranza poneva, quindi, come priorità la ricerca della pace che avrebbe dovuto tener conto di entrambe le parti in guerra ma soprattutto una pace che non sarebbe dovuta essere condizionata dalle logiche dei blocchi contrapposti. La posizione di Lombardi si distingueva da quella espressa dalla maggioranza del partito che identificava come unici responsabili del conflitto i paesi arabi.

Tale differente visione emergeva dai discorsi e dalle dichiarazioni dei dirigenti della maggioranza. Vittorelli precisò la posizione dei socialisti in un articolo pubblicato sulla rivista “Mondo Operaio” nel quale erano analizzati i numerosi e delicati problemi legati alla questione mediorientale.

Il senatore socialista dopo aver affermato che “il conflitto fra paesi  arabi e  Stato d’Israele pone una serie di problemi che hanno determinato profonde differenzazioni fra i partiti italiani e fra le varie nazioni in seno ai medesimi blocchi di potenza”, ribadiva in tutta chiarezza il diritto all’esistenza dello Stato  di Israele.  “Il primo problema che si pone alla coscienza civile di tutti i democratici e di tutti   gli antifascisti e che non ammette tergiversazioni o tatticismi è il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele”. Secondo il dirigente socialista il mancato  riconoscimento  dello Stato di Israele scatenava una serie di gravi reazioni.

“Il mancato riconoscimento d’Israele da parte degli Stati arabi, l’opposizioni di questi Stati alla conclusione di un trattato di pace, la contestazione ventennale del diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, la ribadita volontà di eliminare questo Stato dalla carta geografica, le affermazioni più estremistiche fino a far nascere nei paesi arabi un antisemitismo che non si era mai diffusa fra questi popoli, da parte dei governi dei paesi confinanti, hanno mantenuto questo popolo, che oggi conta due milioni e mezzo di abitanti in una situazione di vero e proprio assedio politico,economico e militare. Pur rimanendo sempre sul piede di guerra per difendere la propria esistenza, il popolo d’Israele ha saputo darsi fin dall’origine dello Sta una struttura politica, un regime economico e sociale fra i più stabili e avanzati del mondo democratico. […] Mentre lo Stato d’Israele è stato guidato senza interruzione da un partito socialista e ha sempre lasciato libertà assoluta a tutti i partiti […] in tutti gli Stati circostanti questo ventennio è stato caratterizzato da una serie di colpi di stato militari e dalla messa fuori legge di tutti i partiti e sindacati”.

Vittorelli affrontando, in seguito, il tema dei profughi palestinesi, lo inseriva  nel contesto tracciato in precedenza riguardo la difesa dello Stato di Israele, considerandolo, infatti, una grave conseguenza della  mancata  accettazione  del diritto all’esistenza dello Stato d’Israele.

“La mancata accettazione dello Stato d’Israele come realtà statuale nel quadro del Medio Oriente ha lasciata aperta nei rapporti fra Israele e Stati arabi la grande piaga dei profughi arabi della Palestina, che non furono mai assorbiti se non in minima parte negli Stati arabi circostanti e che sono rimasti internati in campi profughi situati nella RAU e in Giordania nonché in Siria e in Libano,ai confini con lo Stato d’Israele, fornendo reclute di quell’esercito palestinese di liberazione che hanno insidiato per vent’anni questi confini. La paura di assorbire, con una parte dei profughi, una quinta colonna delle nazioni che hanno solennemente ribadito l’impegno di distruggere lo Stato d’Israele, correnti ostili non solo al riassorbimento, ma anche al tentativo di dare aiuto alla loro sistemazione nei paesi arabi, ch, fra l’altro preferivano mantenerli nei campi profughi ai confini d’Israele con la promessa di farli tutti tornare nella Palestina ebraica il giorno in cui gli israeliani fossero stati ricacciati in mare”.

Alla fine dell’articolo Vittorelli formulava una proposta per una soluzione di pace basata su alcuni punti fondamentali individuati nel:

1- “Riconoscimento arabo dello stato d’Israele, del suo diritto all’esistenza e alla sicurezza, e trattato di pace che risolva le questioni pendenti;

2- Riconoscimento da parte di Israele dei diritti della collettività araba di Palestina e ricerca di una soluzione concordata,con il contributo d’Israele alla loro sistemazione, in parte entro i propri confini, e in parte in paesi arabi, con il concorso anche dell’ONU;

3- Divieto di ogni traffico d’armi con i paesi del Medio Oriente;

4- Piano di sviluppo dell’intera zona, con il concorso d’Israele e dei paesi dell’ONU;

5- Neutralizzazione della zona nei riguardi dei grandi blocchi di potenze e soluzione delle questioni internazionali d’interesse comune, quali la libertà di navigazione attraverso il canale di Suez e gli Stretti di Tiran secondo un regime convenzionale, la libertà di rifornimento di petrolio secondo un regime che sottragga il petrolio arabo ai grandi monopoli internazionali;

6- Riconoscimento della piena indipendenza di tutti i paesi arabi, quale che sia il loro regime interno”247.

L’“Avanti!”, intanto, proseguiva nell’attenta analisi della questione pubblicando, il 4 giugno un editoriale a firma di Flavio Orlandi nel quale  si  precisava l’orientamento dei socialisti.

“Noi non siamo preconcettamente né per Israele né per gli Stati arabi: non intendiamo essere amici degli uni e nemici degli altri. Ci sentimmo vicino all’Egitto quando le truppe inglesi e francesi misero in atto un tentativo di aggressione che fu frustrato dalla presa di posizione, ferma e decisa, degli Stati Uniti; ci sentiamo vicini alla Stato di Israele perché tra un popolo che vuole vivere ed operare civilmente, nell’ambito dei propri confini, e chi vorrebbe cancellare quei confini ed annientare quel popolo, la coscienza morale e la salvaguardia della pace ci spingono a scoraggiare e non ad incoraggiare l’aggressione”248.

Nello stesso giorno il quotidiano socialista dedicava spazio ad un’intervista rilasciata dal segretario del partito israeliano Mapam, Yitzhak Patish, nella quale era esposta la posizione ufficiale del suo partito. L’articolo si concludeva con un sentito ringraziamento rivolto ai socialisti italiani per il loro incondizionato sostegno allo Stato di Israele. Il segretario israeliano si incontrò, inoltre, con Pietro Nenni con il quale si congratulò per il discorso tenuto dal leader socialista italiano a Pisa.

All’alba del 5 giugno del 1967 l’aviazione israeliana attaccò e distrusse quella egiziana: la guerra era scoppiata.

La reazione dei socialisti italiani fu immediata ed il 5 giugno stesso, la Direzione del partito elaborò un documento nel quale venne riaffermato il pieno   e convinto appoggio allo Stato di Israele.

“La Direzione del Psi-Psdi unificati, unanime, di fronte allo scoppio delle ostilità nel Medio Oriente ed alla dichiarazione di guerra di tutti gli Stati Arabi contro lo Stato di Israele, il quale si trova così a far fronte alla più grave crisi della sua tormentata storia ed una minaccia di genocidio;ribadisce la necessità, già affermata dalla segreteria del Partito fin dal 24 maggio scorso, di una iniziativa dell’ONU per ristabilire una posizione di diritto che sia garanzia per il popolo di Israele, di sicurezza perle sue frontiere, di libertà di navigazione. La Direzione auspica che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU […] non deluda le aspettative dei popoli […]; si pronuncia per un incontro diretto tra Stati Uniti d’America ed Unione Sovietica […]; si augura che l’Europa ponga termine ad una carenza di iniziativa e di azione politica di pace che ha concorso non poco all’aggravamento della situazione”.

La posizione socialista fu ribadita, inoltre, dal senatore Paolo Vittorelli, in un lungo articolo, pubblicato sull’“Avanti!”, dal titolo significativo Diritto alla vita o sterminio.

“Non vi è un democratico, non vi è un socialista degno di questo nome, il quale possa rimanere impassibile davanti alla minaccia di genocidio che grava su Israele. […] Chiunque abbia sparato il primo colpo, le nazioni che credono sinceramente nella possibilità della coesistenza pacifica fra tutti i popoli del mondo, quale che sia il loro regime politico e sociale, hanno il dovere di affermare preliminarmente che non rimarranno indifferenti davanti ad una minaccia o ad un tentativo di sterminio del popolo d’Israele. Noi abbiamo sempre difeso il diritto dei popoli arabi, come di tutti i popoli, all’indipendenza nazionale. Ma indipendenza significa libertà, libertà delle nazioni nella collettività internazionale, libertà dei cittadini nella nazione. […] Il nazionalismo arabo che noi ancora oggi siamo pronti a difendere è solo il nazionalismo di chi anela a liberarsi da antiche dominazioni coloniali e imperialistiche, di chi vuole vivere libero, ma anche rispettare il diritto di tutti gli altri, a cominciare dal popolo di Israele, a vivere libero. Questo è il compito che noi, come democratici e come socialisti, riteniamo sia connaturato oggi alla comunità internazionale e alle istituzioni nelle quali è organizzata, a cominciare dall’ONU”249.

Vittorelli non approfondì la questione delle responsabilità, non dichiarando chi avesse sparato “il primo colpo” anche se il quotidiano socialista, durante la crisi, cercava di avvalorare la tesi per cui la  guerra fosse stata  causata dalle  scelte del regime egiziano di Nasser.

Differente fu, invece, l’atteggiamento assunto dal governo e dal Ministro degli Esteri Fanfani di fronte alla crisi in Medio Oriente250. Il 7 giugno, Fanfani, intervenendo alla riunione della Commissione esteri del Senato, illustrò le posizioni tenute dal governo in relazione al conflitto251. Nella sua relazione  espose le iniziative intraprese “per contribuire ad una soluzione negoziata del conflitto”, cercate attraverso un atteggiamento di “prudenza”  ed “equidistanza  tra i belligeranti”. Tale posizione suscitò  una dura reazione tra i socialisti che,  per voce di Vittorelli, espressero la loro forte critica. Il dirigente socialista, intervenendo nel dibattito, affermò: “mai come in questa occasione si è avvertito il divario tra la cauta azione delle cancellerie e il senso di emozione profonda provato dall’opinione pubblica. Il dramma del popolo israeliano è sentito dai socialisti come un problema di responsabilità collettiva e non può essere ignorato da tutti coloro che hanno lottato contro il nazifascismo deprecandone le tragiche conseguenze e le atrocità commesse nei confronti della popolazione ebraica. Questa è la ragione che ha condotto il PSU a prendere iniziative e a manifestare opinioni che superano forse la cautela diplomatica ma che sono imposte da profonde ragioni morali”252.

Vittorelli, proseguendo nel suo intervento, affermava che, “pur non potendosi dire chi ha sparato il primo colpo, nessun Paese avrebbe potuto a  lungo, nelle condizioni in cui era stato posto lo Stato d’Israele, restare inattivo di fronte alla minaccia diretta alla stessa sopravvivenza fisica della popolazione”. Il dirigente socialista ribadiva, infine, la posizione assunta dal partito di fronte a questa grave crisi dichiarando che “è stata costantemente ispirata alla difesa di posizioni di principio che non potevano non essere assunte da chi crede profondamente nei valori del socialismo, della democrazia e della libertà. E’ per questo che noi auspichiamo che la nostra posizione sia condivisa dalla maggioranza governativa perché l’Italia deve  indicare con chiarezza  non solo  ciò che ha fatto, ma ciò che intende fare per contribuire al ristabilimento di una pace duratura”253.

Tale valutazione venne ribadita da Venerio Cattani, responsabile della sezione esteri del PSU, in un lungo articolo dal titolo Neutrali adesso,  nel quale  si criticava apertamente l’eccessiva prudenza del governo italiano accusato di filo-arabismo. “L’Italia non può fingere che le calde giornate del vicino Oriente siano trascorse senza lasciare traccia né lezione per tutti, l’Italia compresa. Le iniziative prese negli ultimissimi giorni dal ministro degli Esteri, di assistenza e soccorso a Paesi arabi […] maggiormente feriti dalla guerra sono degnissime ma certo non bastano a dare il senso di una politica”. Nell’articolo si criticava fortemente, inoltre, l’atteggiamento di “moderazione” e “prudenza” assunto dal governo italiano. “Questa esigenza di moderazione e di prudenza non doveva impedirci di riconoscere il bianco dal nero, la menzogna dalla verità, l’aggredito dall’aggressore: e non per il gusto di esprimere giudizi morali, ma perché senza  di ciò non si fa politica. […] L’Italia non è stata sola a tacere, se la cosa può consolarci”. L’articolo si concludeva con un invito rivolto direttamente al  governo italiano al quale si chiedeva di “non cadere nella tentazione delle mediazioni non richieste. Israele ha diritto non più a una tregua, ma a una pace. Ed ha quindi ragione di chiedere di negoziare direttamente la pace con i paesi arabi”254.

Una uguale riflessione venne formulata anche da “Critica Sociale” che in   un articolo, riportava:

“Se generosa e spontanea si è levata dal popolo italiano l’onda di solidarietà per Israele, agli uomini di governo è mancato, sotto lo sparato bianco della diplomazia, un cuore che suggerisse quella scelta morale che tutti i democratici hanno atteso per giorni e giorni. […] Solo il vicepresidente del Consiglio, Pietro Nenni, ha dato con tempestività coraggio e chiarezza, interpretando lo stato d’animo di tutti i socialisti e di tanti italiani, un giudizio morale e politico sulla situazione. E la Direzione del Partito socialista unificato ha ritrovato nel momento più difficile la sua unità, formulando una unanime risoluzione di solidarietà con Israele e di deplorazione dell’aggressione panaraba”255.

Al livello internazionale le prese di posizione ufficiali della Francia e dell’Inghilterra ribadirono una totale solidarietà ad Israele e l’Internazionale socialista il 9 giugno a Londra, in una riunione straordinaria alla quale partecipò anche Antonio Cariglia, formulò un documento nel quale era dichiarato:

“L’Internazionale socialista esprime la sua solidarietà al popolo di Israele che sta difendendo la sua esistenza e la sua libertà contro l’aggressore. L’Internazionale socialista è seriamente preoccupata per il conflitto militare che è causa di vittime e disastri ai popoli del Medio Oriente e costituisce una minaccia alla pace mediorientale. L’Internazionale socialista saluta l’appello e il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite per la cessazione del fuoco invitando tutti i belligeranti ad ubbidire immediatamente. L’Internazionale socialista ritiene che ogni soluzione permanente nei problemi del Medio Oriente deve tener conto dei seguenti fattori: a) l’assoluto diritto all’esistenza di Israele come Stato sovrano; b) il riconoscimento dei legittimi diritti del popolo arabo del Medio Oriente; c) riaffermazione e garanzia per tutte le nazioni del diritto di transito sulle vie d’acqua internazionali quali lo stretto di Tiran e il canale di Suez; d) la necessità di trovare una giusta ed umana soluzione al problema dei profughi del Medio Oriente; e) la creazione di effettivi mezzi di controllo sovranazionale per garantire il mantenimento della pace”256.

Proseguivano, inoltre, le riflessioni pubblicate sull’“Avanti!” relative alla crisi mediorientale ed in un commento firmato da Francesco Gozzano vennero rese  note le proposte dei socialisti per una soluzione del conflitto: “La via della pace passa attraverso la convivenza fra Israele e Stati arabi. […] Come nel 1956 una guerra- lampo si è combattuta nel medio Oriente; come dieci anni fa, arabi e  israeliani  hanno cercato ancora una volta di ‘risolvere’ con le armi una disputa che non può trovare una soluzione militare, ma che deve essere risolta con pazienza e sacrificio   in modo stabile e definitivo attraverso un pacifico  accordo”257. Secondo  Gozzano  “la condizione e la premessa indispensabile di ogni soluzione” era rappresentata dal “riconoscimento, da parte dei Paesi arabi, della realtà di Israele, della sua esistenza, del suo diritto a vivere e prosperare pacificamente; una volta accettato questo principio inalienabile, si potranno impostare e affrontare gli altri problemi, a cominciare da quello doloroso dei profughi palestinesi, nel quadro di una pacifica convivenza fra arabi e israeliani che trovi il suo fondamento più solido in piani regionali di sviluppo per la soluzione dei più elementari problemi economici  e  sociali di quelle regioni sviluppate”258.

La crisi mediorientale era scoppiata mentre in Italia si stava svolgendo una vivace campagna elettorale amministrativa, la prima importante prova per i socialisti dopo la scissione del Psiup e l’unificazione. Gli esponenti socialisti, impegnati nella campagna elettorale, si trovarono spesso a ribadire, nei propri discorsi, l’aperto sostegno allo Stato d’Israele e la necessità del suo diritto all’esistenza. A conclusione della campagna elettorale fu lo stesso Presidente del partito Pietro Nenni a ribadire, nel suo ultimo discorso, la posizione del Partito socialista unificato riguardo al conflitto arabo-israeliano. “Oggi la nostra battaglia può essere, almeno in parte, considerata vinta, a scorno dei fattori di esasperazione nazionalistica, di rottura dell’equilibrio mediterraneo e mondiale,  di  lassismo  morale che hanno operato nelle scorse settimane ed hanno acceso la minaccia della guerra santa spenta dai popoli prima ancora che da quella degli Stati Uniti e della stessa ONU”259.

Anche il segretario del Psu, Mario Tanassi, attribuì parte del  successo  elettorale all’atteggiamento assunto dal partito sulla crisi mediorientale. “Tale atteggiamento ha avuto larghe risonanze e adesioni nell’opinione pubblica, la quale ha avuto la sensazione che nella crisi che si era aperta nel Medio Oriente, i socialisti avevano preso la posizione giusta. Inoltre, tale posizione, condivisa da tutto  il  partito, ha presentato agli elettori un Partito socialista sostanzialmente unito sui grandi temi della pace e della guerra. Ed il partito si è indubbiamente giovato di questa manifestazione di unità”260.

Al termine della guerra i socialisti formularono un documento, approvato all’unanimità, nel quale si prendeva in esame la situazione internazionale facendo particolare riferimento alla questione del Medio Oriente.

“Il Psdi-Psi unificati dopo aver accolto con sollievo e soddisfazione l’auspicato cessate il fuoco nel Medio Oriente sottolinea la permanente precarietà della situazione dominata dal rischio che la cessazione delle ostilità sia soltanto un provvisorio armistizio. Per evitare un nuovo aggravamento della situazione il partito ritiene necessario:

1- che l’ONU rinunciando alla sterile polemica in cui sembra di nuovo immobilizzarsi circa le responsabilità del conflitto inscritte nei fatti,assuma la propria funzione mediatrice nel Medio Oriente e, favorendo, intanto, una presa diretta di contatto tra Israele e gli Stati arabi, promuova il negoziato di pace;

2- che da parte di tutti gli Stati si rinunci ad inviare armi, quando sono necessari urgenti soccorsi alle popolazioni ed associno i loro sforzi perché dal Vietnam al Medio Oriente la pace trovi una solida base nella sicurezza delle frontiere e nella garanzia del diritto alla vita e alla indipendenza dei popoli;

3- l’assenza di una comune iniziativa dei paesi europei nella crisi del Medio Oriente, dovuta alle loro persistenti contraddizioni, dimostri ancora una volta l’urgente esigenze di una forte ripresa del processo unitario europeo;

4- che gli Stati e i popoli del Medio Oriente intendano finalmente come il loro interesse sia in funzione della loro coesistenza pacifica, al di fuori di ogni interferenza straniera e sopravvivenza colonialista e

Ciò richiede:

Da parte dei popoli arabi la consapevolezza che i problemi di vita e di sviluppo che li affliggono non si risolvono con lo spirito di crociata o con le guerre sante, ma con la valorizzazione del loro suolo e delle loro ricchezze naturali.

Da parte del popolo israeliano una prova di responsabilità e di moderazione pari al coraggio con cui ha salvaguardato il proprio diritto all’esistenza. Trasformare l’armistizio in pace stabile è il grande e urgente compito del momento. Punti essenziali per una equa soluzione della crisi sono il riconoscimento dello Stato di Israele e della libertà di navigazione, la tutela dei legittimi interessi degli Stati arabi ed una giusta soluzione del problema dei profughi palestinesi.

A questi obiettivi di pace il partito socialista ha ispirato ed ispira la propria azione nel Paese, nel Parlamento, nel governo”261.

L’atteggiamento adottato dai socialisti italiani durante la guerra in Medio Oriente fu, dunque, chiaro e netto. Il Psu sostenne senza alcuna riserva il diritto all’esistenza dello Stato di Israele e ribadì il proprio sostegno a qualsiasi iniziativa  per la pace che tutelasse i diritti di Israele, considerato uno Stato in pericolo. I dirigenti socialisti si trovarono d’accordo sulle posizioni da tenere di fronte ad un governo giudicato troppo prudente e davanti al Partito comunista italiano che, seguendo le direttive del Cremlino, sosteneva ed appoggiava gli Stati arabi.

Nei giorni che seguirono il conflitto alcuni socialisti maturarono, però, un giudizio differente sulla questione mediorientale. In nome  della  tradizione neutralista del socialismo italiano, il primo luglio, in una riunione del Comitato centrale del partito convocata per discutere sui temi di politica internazionale, Lombardi, Santi, Codignola, Giolitti, Balzamo e Veronesi rifiutarono di votare l’ordine del giorno presentato dalla maggioranza. I dirigenti della sinistra presentarono, infatti, un proprio documento che ribadiva la tradizionale autonomia dei socialisti dallo schieramento dei blocchi contrapposti e che sottolineava le divergenze rispetto alle linea generale seguita dal Psu in politica estera. Nella parte relativa alla questione del Medio Oriente il documento affermava:

“Di fronte all’ulteriore acutizzarsi della tensione nei rapporti internazionali con la crisi del Medio Oriente, il C.C. riafferma anzitutto la validità della tradizionale posizione socialista di autonomia di giudizio e di iniziativa, al di fuori di ogni condizionamento di blocchi politici e militari, che già si manifestò dieci anni fa in occasione di una crisi altrettanto grave. Come allora i socialisti assunsero una netta e chiara posizione nei confronti dell’intervento sovietico in Ungheria e di quello anglo-francese a Suez, così oggi i socialisti rivendicano una propria distinta posizione così sulla crisi vietnamita come su quella del Medio Oriente. […] E’ in questo generale deterioramento dei rapporti internazionali che è esploso il nuovo conflitto nel Medio Oriente. Il C.C. approva la posizione assunta al riguardo dalla Direzione del partito diretta a sostenere il diritto di Israele a disporre di garanzie tali da assicurarne l’esistenza, la sicurezza e lo sviluppo. Il C.C. approva altresì la posizione assunta dal governo che è apparsa idonea ad assicurare all’Italia un ruolo attivo di mediazione e di pace, ed auspica che il medesimo ruolo possa essere assicurato al nostro Paese nel conflitto vietnamita. Il C.C. ritiene che le garanzie di esistenza da assicurare ad Israele, pur necessarie, non siano di per sé sufficienti a realizzare una condizione duratura di pace nel Medio Oriente; anche le esigenze di sviluppo e di civiltà dei popoli arabi, oppressi per secoli dal colonialismo, esigono un adeguato riconoscimento ed iniziative idonee ad emanciparli da ogni forma di soggezione e di sfruttamento.”262.

Tale posizione fu criticata fortemente da Pietro Nenni. Il Presidente del partito disapprovava il differente atteggiamento assunto dai dirigenti della sinistra che, all’interno del partito, si discostavano dalla posizione ufficiale espressa dalla maggioranza riconosciuta in un totale sostegno allo Stato di Israele  ma soprattutto  da una dura critica nei confronti delle scarse e poco incisive iniziative del governo. L’attenzione rivolta dai dirigenti della minoranza alla questione dei popoli arabi “oppressi per secoli dal colonialismo” che esigevano oramai “un adeguato riconoscimento” costituiva, dunque, solo un’eccezione all’interno del Partito socialista unificato schierato completamente a favore di Israele e dimentico delle esigenze dei popoli arabi. Le ragioni dei palestinesi che avrebbero rappresentato una priorità nella politica internazionale socialista rispetto alla questione mediorientale non erano ancora poste al centro del dibattito politico socialista rimanendo un tema ignorato dai dirigenti della maggioranza.

 

Note:

238. Israele falso scopo, “Avanti!”, 24 maggio 1967.

239. Ibidem.

240. I socialisti per il Medio Oriente, “Avanti!”, 25 maggio 1967.

241. “Avanti”, 26 maggio 1967.

242. “Avanti!”, 27 maggio 1967.

243. Imponenti manifestazioni a Roma di solidarietà e simpatia per Israele, “Avanti!”, 30 maggio 1967.

244. M. Molinari, La sinistra e gli ebrei in Italia (1967-1993), Corbaccio, Milano 1995, pp. 38-39.

245. Interrogazione per Israele dei senatori socialisti, “Avanti!”, 31 maggio 1967.

246. “Avanti!”, 1 giugno 1967.

247. La pace tra arabi e Israele, “Mondo Operaio”, N. 6, giugno 1967.

248. Contro la guerra contro l’aggressione, “Avanti!”, 4 giugno 1967.

249. Diritto alla vita o sterminio,“Avanti!”, 6 giugno 1967.

250. La ragione che spinse il governo italiano a cercare di mantenere una posizione di equidistanza rispetto alle parti in conflitto era legata ai rapporti economici che l’Italia aveva intrapreso con i paesi arabi, e in particolare con l’Egitto, dove oltre all’Eni anche la Olivetti e la Fiat avevano investito cospicui capitali. Inoltre “la linea di moderato filo-arabismo di Fanfani non è isolata: riflette visioni contrastanti che dividono e divideranno in avvenire il mondo politico italiano. Mentre infatti i partiti laici minori, una parte consistente della Dc e dei socialisti sono vicini alle tesi di Israele, un’altra parte del mondo cattolico – incoraggiata dalle iniziative ecumeniche della Chiesa con il pontificato paolino – e degli stessi socialisti è più comprensiva nei confronti del mondo arabo e finisce per condividere le scelte del Partito comunista, attestato su posizioni di fedeltà alla politica del Cremlino”. G. Mammarella, P. Cacace, La politica estera dell’Italia, cit., pp. 222-223.

251. Per un’analisi della differente visione formulata da Nenni e Fanfani relativa alla crisi del Medio Oriente si veda M. Achilli, I socialisti tra Israele e Palestina, dal 1892 ai giorni nostri, Marzorati, Settimo Milanese 1989, pp. 128-129;D. Caviglia, La politica estera dell’Italia e il conflitto arabo- israeliano (1967-1973), “Nuova Storia Contemporanea”, n. 1, 2005, 19-21.

252. “Avanti!”, 8 giugno 1967.

253. Ibidem.

254. Neutrali adesso, “Avanti!”, 14 giugno 1967.

255. Conclusioni sulla guerra e prospettive per la pace in Medio Oriente, “Critica Sociale”, 20 giugno 1967.

256. Fondazione Turati, p.18.

257. “Avanti!”, 11 giugno 1967.

258. Ibidem.

259. “Avanti!”, 10 giugno 1967.

260. “Avanti!”, 14 giugno 1967.

261. “Avanti!”, 16 giugno 1967.