IL DISASTRO SOCIALE DI TARANTO. TRA LAVORO, SALUTE E AMBIENTE

di Beppe SarnoCritica Sociale |

E’ ancora notte e piove quando partiamo per Taranto: Io, Modestino ex metalmeccanico, contadino per necessità e “Il Generale” casellante autostradale in pensione. A Taranto per capire e incontrare alcuni compagni che hanno voglia di far conoscere la loro verità.
Arriviamo alle undici. C’è un bel sole, gli aranceti sorridono ai margini della strada. Ci fermiamo a Palagiano piccola cittadina alle porte di Taranto. Guido sale in macchina e comincia subito a raccontare la sua rabbia.
«Ho una figlia con un tumore alla testa -mi racconta- “Cause ambientali” dicono i medici. Mio padre che lavorava all’Italsider, -cosi Guido si ostina a chiamare lo stabilimento- è morto di tumore! Tre anni di indicibili sofferenze» -continua-. «Se vuoi capire cosa significhi l’Italsider devi guardare gli avvisi funebri di Taranto, di Palagiano e dell”intera provincia. Non c’è famiglia fra Palagiano e Taranto che non abbia un morto di tumore in famiglia».
Continuando il viaggio verso Taranto mi fa vedere un edificio bianco su una collina – «Quello è l’ospedale Moscati, lì è pieno di bambini malati di tumore che stanno morendo e nessuno ne parla, l’informazione in Italia fa schifo».
Arriviamo in città dalla parte dell’insediamento industriale «lì c’è il Mar piccolo, lì dietro il rione Tamburi e lo stabilimento, da questa parte invece, la Cementir e la raffineria dell’ENI. «Come vedi le fabbriche di morte sono tre, non una!».

Arrivati a Taranto ci fermiamo in un bar di periferia dove ci aspetta Lapo. E’ un operaio addetto alla manutenzione degli impianti appena smontato dal turno di notte e ha voglia di raccontare a condizione che venga mantenuto l’anonimato.

Perchè?
«Se si sa in fabbrica che ho parlato divento automaticamente un esubero»

E’ vero che la Arcelor Mittal ha svuotato i magazzini dei prodotti finiti?
«Non solo, cosa ancora più grave, fin dal suo insediamento la Mittal si è preoccupata di far sparire ogni pezzo di ricambio, per cui noi operai addetti alla manutenzione siamo nell’impossibilità di fare il nostro lavoro. Se chiedi un pezzo di ricambio ci viene risposto di arrangiarci.

Qual’è l’atmosfera che si vive in fabbrica?
«In fabbrica c’è un imbarazzo generale perchè non ci sono direttive, la produzione va avanti per inerzia. La sensazione è che fin dall’inizio la Arcelor Mittal non aveva alcun interesse alla produzione. Per esempio alla richiesta di tute nuove ci viene dato un adesivo da sovrapporre a quello dell’ILVA. Mancano le scarpe antinfortunistiche. Sembrano cose di poco conto, ma prova a farti male a un piede con scarpe normali».

E il management della Arcelor Mittal cosa dice?
«Non si è mai visto nessun manager della A.Mittal. Il senso di precarietà regna sovrano.
Per quanto riguarda l’addestramento professionale, questo rimane sulla carta e i programmi dei commissari sono stati completamente messi da parte».

Ma la produzione come va?
«L’acciaieria va a rilento, come se si avesse la volontà di non produrre. Arriva poca ghisa e ogni altro materiale in maniera ridotta molto al di sotto dell’effettivo fabbisogno».

Cosa ne pensi sui discorsi che si fa in merito alla decarbonizzazione?
«Conte e Emiliano parlano di cose che non conoscono. I prodotti metallurgici si fanno con il carbone, non puoi fare un pezzo di ghisa con il gas».

E dei 5 .000 esuberi di cui parla la Arcelor Mittal e della controproposta di Conte?
«E’ una presa in giro, la fabbrica è sotto organico. La A.Mittal vuole chiudere fin da quando è entrata nella gestione dello stabilimento.
Ripeto: siamo fortemente sotto organico alcune postazioni vengono coperte dalle stesse persone che passano da una postazione all’altra. Se Conte si mette d’accordo subiremo l’ennesima fregatura. Gli esuberi sono uomini, famiglie, figli».

Se Conte fa questo tipo d’accordo con quale spirito rientreranno gli operai in fabbrica?
«Siamo consapevoli che questa crisi è stata creata apposta e tutti sappiamo che c’è la volontà da parte di A.Mittal di chiudere lo stabilimento».

Ma i sindacati hanno assunto una posizione forte assumendo che lo stabilimento non deve chiudere!
«Il mondo sindacale in fabbrica è assente, non si vede un delegato con cui scambiare un’idea, con cui lamentarsi. I delegati compaiono solo quando è il tempo delle tessere. Ma se chiude lo stabilimento anche loro rimangono fregati».

Perchè gli operai non reagiscono?
«Per paura! Esiste un clima di intimidazione e l’incubo di essere uno dei cinquemila spegne ogni entusiasmo».

E’ vero che i subfornitori sono stati pagati come ha detto la Mittal?
«Questa mattina ho parlato con un amico che lavora per una ditta di trasporti che mi ha detto che ad oggi (22.11.2019) non si è visto un soldo».

Ti sembra giusto che Conte tratti con la A.Mittal dopo quello che sta venendo fuori dalle indagini della magistratura?
«Avrei aspettato l’esito delle indagini o almeno l’udienza fissata dal tribunale di Milano».

Qualcuno propone la nazionalizzazione dello stabilimento cosa ne pensi?
«Sarebbe l’unica soluzione, ma lo Stato dovrebbe mettere a gestire la fabbrica persone capaci di gestire uno stabilimento siderurgico non dilettanti allo sbaraglio come i primi commissari».

E’ stato detto che la A.Mittal è a posto almeno per quanto riguarda il risanamento ambientale?
«Invito chi lo ha detto a venire a verificare di persona. Per la salute in fabbrica non è stata presa nessuna iniziativa da parte della A.Mittal. La cosa è rimasta lettera morta fin dall’inizio. C’è un vuoto gestionale impressionante.
Per quanto riguarda la formazione del personale non è stato fatto nulla; eppure per portare avanti uno stabilimento siderurgico c’è bisogno di quadri preparati, ma la Arcelor Mittal non ha nessun interesse a formare tecnici preparati».

E la sicurezza?
«Mi pigli in giro?»

Se vengono chiusi i forni cosa succede?
«Se un forno viene chiuso lo devi buttare e ne devi costruire un altro e per costruire un forno ci vogliono tre anni. Chiudere i forni significa la morte dello stabilimento e gli operai in mezzo alla strada. Il lavoro se ne va e i tumori restano».

Incontriamo Dante ex sindacalista, già quadro dell’Italsider.

Secondo te c’è qualcuno che ha interesse a chiudere lo stabilimento siderurgico di Taranto e perchè?
«La famiglia A.Mittal è il primo gruppo interessato a chiudere lo stabilimento di Taranto. Quando sono arrivati a Taranto tutti abbiamo avuto la sensazione che non c’era alcun interesse a far produrre lo stabilimento di Taranto. La Arcelor Mittal voleva la chiave per prendersi le quote dell’acciaio dell’Ilva. Taranto è stata utilizzata dalla A.Mittal per entrare in Europa.
Anche l’ENEL e l’ENI hanno interesse alla chiusura dello stabilimento siderurgico. L’ex Ilva è autosufficiente dal punto di vista energetico avendo due centrali termoelettriche che producono il fabbisogno energetico della fabbrica. E’ chiaro che una volta chiuso lo stabilimento o perlomeno “l’area a caldo“, l’Enel e l’ENI potrebbero rilevare le due centrali a prezzo di realizzo magari facendo pure bella figura di salvare qualche posto di lavoro.

Anche il nostro Governatore Emiliano, malgrado i proclami sarebbe ben lieto di vedere l’ex ILVA chiusa. Parla di decarbonizzazione perchè il suo disegno è che sostituendo l’energia a carbone con energia a gas può proporre di trasferire l’arrivo del gasdotto TAP a Brindisi e da lì con il pretesto di alimentare l’ILVA portare il gas a Taranto. La decarbonizzazione non esiste perchè l’acciaio la ghisa, i coils e tutti i materiali ferrosi si fanno con il carbon coke. Allora o non sai di che parli o sei in malafede. Col gas non si fa l’acciaio.
Anche la Total è fortemente interessata perchè vuole portare l’oleodotto di Ferrandina a Taranto per raffinarlo, diventando così Taranto terminale di esportazione, ma per fare ciò servono i moli dell’ex ILVA.

C’è infine l’aspetto che riguarda l’utilizzo dei moli che attualmente usa ex Ilva e che sono i moli 1, 2, 3, 4, 5 che sono indispensabili per le grandi navi da carico non avendo il molo San Cataldo i fondali necessari per questo tipo di navi. Ci sono già società interessate, già presenti sul porto di Taranto che chiusa la fabbrica si vedrebbero assegnati i moli che utilizza ex Ilva. Il gioco è già riuscito a Civitavecchia».

E’ vero che la Arcelor Mittal ha svuotato i magazzini?
«E’ la prima cosa che ha fatto appena arrivata a Taranto. Con artifici contabili che la magistratura sta scoprendo, è sparito sia il magazzino prodotti finiti, ma cosa ancor più grave, il magazzino ricambi. Ciò significa che se per esempio si rompe una campana di un altoforno, senza pezzi di ricambi l’altoforno si ferma e se si ferma all’interno del forno si genera la così detta “salamandra” che impedisce il funzionamento dell’altoforno, che poi è da fermare e ricostruire.
La ricostruzione di un altoforno richiede un tempo minimo di tre anni. La Mittal nel frattempo si sarebbe già squagliata.
Il disegno è chiaro fin dall’inizio l’unico scopo della A.Mittal è stato quello di chiudere lo stabilimento. E’ tutto preordinato e concatenato».

Che ne pensi della richiesta di 5.000 esuberi?
«E’ una bufala! E’ solo un alibi per chiudere lo stabilimento. La verità che lo stabilimento per produrre anche quello che attualmente sarebbe programmato sarebbe sotto organico. Lo ripeto dietro questa richiesta c’è la volontà di chiudere lo stabilimento, se non ora fra un anno».

Che ne pensi della proposta di Conte di ridurre gli esuberi a 3.000?
«Il compromesso proposto da Conte significa che se non si chiude quest’anno si chiede l’anno venturo. Lo stabilimento se fosse portato a regime potrebbe dare lavoro a 20.000 persone. Altro che esuberi. Non c’è la volontà di farlo!»

Ma se il mercato chiede meno acciaio potrebbe essere giusta la richiesta della A.Mittal?
«Il mercato dell’acciaio è ciclico fra sei mesi la situazione potrebbe cambiare. La A.Mittal produce 90 milioni di tonnellate di acciaio i tre milioni di acciaio che produce l’ex ILVA son poca cosa e manager seri non avrebbero difficoltà a collocarli.
Tieni presente che l’Italia rinunciando a Taranto rinuncerebbe all’1,4 % del PIL e questo dato è facilmente riscontrabile. Si può permettere l’Italia di rinunciare all’1,4% del suo PIL? Non solo per quest’anno, ma per sempre?»

Le inchieste della magistratura stanno portando alla luce un disegno criminoso che la A.Mittal avrebbe posto in essere. Servirà questo a risolvere il problema della ex ILVA?
«La magistratura sta lavorando bene, ma non può da sola risolvere il problema, ci vuole una volontà politica che allo stato non vedo. Vedo solo incompetenza e pressapochismo».

Qualcuno ha detto che la Arcelor Mittal sta almeno mettendo mano alla salvaguardia dello stabilimento dal punto di vista dell’inquinamento, ti risulta?
«Per risolvere il problema dell’inquinamento non solo dello stabilimento, ma anche del rione Tamburi del quartiere Paolo VI e di tutte le parti della città interessate all’inquinamento ci vogliono una serie di investimenti che nessuna impresa privata a interesse a fare. Solo lo Stato può e deve risolvere il problema. Per questo anche io sono convinto che la nazionalizzazione dello stabilimento è l’unica soluzione seria. Ma per fare questo ci vuole la volontà politica di farlo e manager all’altezza. Senza tener conto che la Arcelor Mittal con i suoi stabilimenti è un campione di inquinamento».

Saluto gli Amici di Taranto.

Ho le idee più chiare. Riusciranno i sindacati, la magistratura, il Presidente della Repubblica è la classe politica a evitare la chiusura dello stabilimento di Taranto che come dice il nostro amico produce il 1,4% del PIL nazionale?

Per verificare se la Mittal ha voglia di risanare lo stabilimento di Taranto ho fatto una piccola ricerca sul web e ho potuto facilmente riscontrare da un articolo di “La Repubblica” che in Canada la Mittal è accusata di aver inquinato le acque rilasciando sostanze nocive nella miniera di Fermont, nel Quebec tra il 2011 e il 2013. Anche in Francia la Arcelor Mittal ha inquinato la Mosella e in Sudafrica ha inquinato e prodotto danni alla popolazione a Boipatong, Sharpeville and Sebokeng, vicino a Johannesburg”.

La A.Mittal non si è fatta mancare gli Stati Uniti, dove l’EPA, l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente, “attesta che l’ispezione dello scorso 22 agosto nell’impianto di Burns Harbor in Indiana, ha accertato sversamenti di cianuro e ammoniaca nel fiume Little Calumet”. Stessa cosa è successa in Bosnia Erzegovina e Ucraina.

Siamo sicuri che la Arcelor Mittal sia l’interlocutore adatto per risolvere il problema di Taranto?