LA POVERTA’ STRUTTURALE E QUELLA ASSISTITA

di Alberto LeoniCoordinatore Socialismo XXI Triveneto

Esiste una povertà “strutturale” legata a patologie stabili che impediscono il lavoro e l’autonomia economica o al degrado culturale e sociale molto difficile da aggredire e destinata ad essere “assistita” per tutta la vita. Ed esiste una povertà “temporanea”, legata a scarsità di reddito per assenza o insufficienza di redditi da lavoro, che riguarda persone in età attiva senza problemi di salute. Diversi, pertanto, sono gli strumenti con cui sostenere le due tipologie di povertà. Alla prima serve certamente un assegno di cittadinanza che ne garantisca la dignità, sapendo che durerà tutta la vita. Alla seconda servono azioni di inserimento guidato lavorativo, sostenuto economicamente nelle fasi di formazione e di ricerca attiva dai parte dei Centri per l’impiego, pubblici e privati.

Nel dibattito che da mesi inonda il Paese sul reddito di cittadinanza questa distinzione fondamentale è sfuggita. Ne è nata molta confusione che ha impedito di rafforzare la legge sul Reddito di inclusione, anzichè perdere mesi per farne una nuova sul Reddito di Cittadinanza e di rivedere alcune misure del Jobs Act per chi resta senza lavoro.

Ed è sfuggito un altro dato interessante: già oggi, noi spendiamo oltre 107 miliardi di euro per l’assistenza.

Si va dagli assegni sociali (854 mila assegni sociali a 457 euro mensili) erogati dall’Inps a persone con più di 65 anni, senza redditi propri, alle pensioni integrate al minimo (quasi 4 milioni per 508 euro mensili), in costante riduzione negli ultimi anni: si tratta di pensioni “assistite”, non coperte da contributi sufficienti che lo Stato integra, ancora dagli anni ’70, per arrivare al minimo pensionistico. Una pensione su due, in Italia, è sostanzialmente assistita dallo Stato per contrastare il rischio povertà.

Nel 2015 (ultimo anno disponibile Istat) i Comuni italiani hanno speso per povertà, disagio e adulti senza fissa dimora, il 7%, 483 milioni, dei quasi 7 miliardi di euro dedicati alla loro spesa sociale: ad essi si devono aggiungere i 465 milioni di euro utilizzati per l’integrazione delle rette di anziani ospiti di strutture protette.

In uno scenario così complesso, è giunto il momento di riordinare tutta la spesa assistenziale oggi molto frammentata e non sempre ben distribuita: una Commissione parlamentare, al massimo livello, con 6 mesi di tempo potrebbe farlo. Lo ripeto:parliamo di 107 miliardi di spesa.

Si valorizzino, pertanto, tutte le ingenti risorse investite, riutilizzando bene le misure che già ci sono (oltre 60), semplificando le procedure, separando in modo definitivo previdenza ed assistenza nei bilanci Inps. Si ripensino bene e si rafforzino le misure di tutela della non autosufficienza (l’assegno di accompagnamento può continuare ad essere slegato dal reddito?); si portino le misure per la tutela del lavoro nell’ambito delle politiche attive del lavoro stesso e non dell’assistenza. Si promuovano, infine, reti territoriali (non i soli Centri per l’impiego) per il sostegno della persona e della famiglia povera: saranno queste “reti” il vero motore delle misure per una vera inclusione sociale. La storia di questi ultimi trenta anni, infatti, ha insegnato che il solo intervento finanziario non è efficace per uscire dalla povertà.