QUEI 31 RAGAZZI DI BASSANO DEL GRAPPA

di Italo Profera |


Mi è difficile trattare l’argomento senza coinvolgimento emotivo. Forse, a distanza di 74 anni, non ho ancora elaborato. Difficile elaborare episodi vissuti, chissà poi se vissuti personalmente, o assorbiti nel grembo materno della mamma. Sono nato il 7 gennaio 1945, i miei genitori erano siciliani emigrati a Milano dove, mio papà, aveva lavoro. Brigadiere dei carabinieri nella caserma di via della Moscova. Abitavamo quindi a Milano, in Piazza Insubria n° 1.

In seguito ai bombardamenti del 18 agosto 1943, i miei genitori, stanchi di svegliarsi con l’allarme della contraerea e correre nei rifugi, più volte a notte, con una bambina, mia sorella, sfollarono da Milano e finirono a Brembio (LO). Mio padre non aderì alla Repubblica di Salò.

Decise di aiutare i partigiani! Divenne quindi un carabiniere sbandato cui, fascisti e nazisti davano la caccia. Volendo dare una compagnia a mia sorella, visto che la guerra non finiva e mia mamma aveva già 40 anni, decisero di mettermi al mondo nonostante tutto, in piena guerra. Quindi mia mamma si trovò, da sola a Brembio con una bambina di 5 anni e uno in grembo. Mio padre non si sapeva dove fosse.

Nel 1944 mia mamma decise di andare a Semonzo del Grappa sia perché la sorella maggiore ivi insegnava e viveva, sia perché aveva sentito, ascoltando radio Londra, che si sarebbe formato un treno a Verona che, via Adriatica, avrebbe raggiunto la Sicilia. Ho voluto spiegare perché mia mamma, il giorno in cui quei ragazzi furono impiccati, si trovasse a Bassano.

Quel giorno mia madre, al sesto mese di gravidanza con me in grembo, su una bicicletta da uomo, Bianchi 28, da Semonzo andò a Bassano per procurare medicine. In viale de Martiri, (oggi viale dei Martiri, allora la toponomastica era diversa), si accorse cosa stava accadendo. Vide il camion!

I repubblichini, i nazisti, i poveri ragazzi. Tra i repubblichini riconobbe un compaesano (come è piccolo il mondo!). Un fascista di un paesino del trapanese che aveva aderito alla repubblica di Salò ed era lì a mettere il cappio al collo di quei ragazzini. Riconobbe un ragazzino sul camion, pronto all’impiccagione. Quel ragazzo lo conosceva. Forse era di Semonzo. Forse di un paesino vicino Semonzo. Non aveva 18 anni.  
Era impietrita. Sentì delle grida. Era il fratello di quel ragazzo che stavano impiccando. Piangeva disperato. I fascisti se ne accorsero ed uno gridò: “E’ tuo fratello! Bene! Anche tu. Allo stesso albero”.

Lo presero e lo impiccarono allo stesso albero. Accadeva in settembre 1944. Io nacqui il 7 gennaio 1945. Non ho visto nulla. Sono convinto di aver vissuto quelle esperienze assorbendo e vivendo le esperienze di mia mamma. Di averle succhiate col sangue. Di averle sentite più volte dai suoi racconti.

Mi è difficile capire come, persone delle istituzioni, oggi possano snobbare la festa della liberazione. Mi è difficile capire. Non temo nulla. Non ho paura. Il vissuto dei miei genitori mi dà forza. Hanno avuto amore, coraggio, capacità di far fronte ad eventi estremi. Dovesse evolversi nel peggiore dei modi la situazione odierna, percorrerei gli stessi sentieri tracciati da mio padre. Saprei dove andare. Saprei da quale parte stare.