a cura di Aldo Ferrara |
Lo stato di salute della salute italiana.
Venti anni di aziendalizzazione hanno trasformato il malato in cliente. Così da Servizio è assurto a Sistema, una macrostruttura amministrativa, politica, finanziaria, che ha perso la sua connotazione originaria. L’introduzione dell’intramoenia e delle assicurazioni integrative ha determinato la divisione della popolazione in due grandi categorie: i privilegiati che possono pagare ed avere rapidamente i servizi richiesti e i poveri, che devono spesso affrontare lunghe liste d’attesa. Se a questa situazione si aggiunge l’introduzione del pagamento del ticket per farmaci, visite ed interventi diagnostici, si perde il concetto di gratuità, uno dei pilastri dell’istituzione del SSN. Infine, la gestione regionale ha creato grande disparità e discriminazione nei servizi disponibili per i cittadini italiani. In conclusione 14 milioni di italiani non accedono alle cure, 4 mln rinunciano alle cure odontoiatriche, 7 mln pagano visite specialistiche cash and black.
I tagli sulla Medicina di base e territoriale hanno distrutto la rete dell’offerta diagnostica e sanitaria nelle periferie nei centri non serviti e soprattutto distanti dal capoluogo. Ne consegue una maggiore difficoltà per i pazienti, specie anziani di recarsi in un centro diagnostico di base e/o terapeutico di base, rapidamente e senza spostamenti sul territorio. Il maggiore affollamento e la creazione di liste d’attesa nasce da questa base. In questo ambito proponiamo l’Assistenza Domiciliare Integrata che possa prendere in carico almeno l’8% dei pazienti dimessi dall’Ospedale, a partire da quelli fragili, garantendo seriamente le dimissioni “protette”. Le strutture intermedie (Ospedali di comunità, Unità territoriali Riabilitative) per chi ha esisti di ictus, fratture femore o non ha patologie acute, che stanno nascendo o dalla riconversione di ex piccoli ospedali dismessi o all’interno delle Residenze protette, sono strutture essenziali per ridare all’Ospedale il ruolo di presidio destinato all’acuzie.
Proposta: Raccolta firme per un DDL d’iniziativa popolare per la sostituzione dell’attuale struttura Aziendale Ospedaliera in Enti a configurazione Provinciale e Regionale; riassetto della strutture in senso territoriale e riconfigurazione degli Istituti di Ricerca a carattere Scientifico (IRCCS).
Controllo e monitoraggio della Spesa Sanitaria Regionale che rappresenta dal 78 all’86% del PIL regionale. Il riassetto del Titolo V della Costituzione e la devoluzione delle competenze sanitarie agli Enti Locali ha determinato un mancato controllo centrale sulla spesa regionale. Così, se il PIL di ogni Regione viene devoluto alla Sanità in misura irregolare (da un min di 73% ad un max dell’85%), sperequazioni sulle contribuzioni obbligatorie (ticket) obbligano molti pazienti ad un pendolarismo sanitario che poi concorre alla distribuzione incontrollata delle Aziende delle principali città. Va riqualificato il ruolo delle Regioni a statuto speciale che, escluse dai piani di rientro, sono quelle in cui il disavanzo cresce inesorabilmente, fino a sfiorare i 231€/pro capite della Sardegna.
Quel che maggiormente preoccupa è la distribuzione regionale della compartecipazione, con una spesa pro capite a gravi difformità regionali quasi sempre a gradiente latitudinali. Ci si cura meglio e si spende meno nelle Province autonome di Bolzano e Trento e Valle d’Aosta, dove la spesa sanitaria pro capite è la più alta (rispettivamente 2.232, 2.160 e 2.082€) con un disavanzo che va dai 300 ai 400 €/pro capite.
In Campania, Sicilia e Puglia, ove è più alta l’incidenza del ticket pro capite (11.9, 10.8, 10.5% rispettivamente) e più bassa la spesa sanitaria pro capite (Campania 1.662), il livello della prestazione viene giudicato con un basso indice di gradimento da parte dell’utenza, generalmente insoddisfatta.
Proposta: elaborare un documento che possa, attraverso la Conferenza Stato-Regioni, obbligare le Regioni a Statuto Speciale ad un indirizzo univoco e portare l’ambito regionale ad un’offerta di salute, paritetica nella qualità e quantità.
Monitoraggio della corruzione emergente in sede Ospedaliera che coinvolge un’azienda sanitaria ogni tre con la documentazione di episodi di corruttela negli ultimi 5 anni e che depaupera di circa 6 mld/anno il budget complessivo. Il fenomeno appare a macchia di leopardo, presenta aree di normale e trasparente amministrazione accanto ad aree critiche come Mezzogiorno e Lombardia. È la pubblica opinione che comunque ha un percepito negativo. All’atto delle visite specialistiche private, che sono l’ultimo stadio della fase diagnostica mancata, 10 milioni di cittadini paganti out of pocket non hanno ricevuto regolare fattura. Medesima doglianza riguarda la cura odontoiatrica, alla luce di 7 milioni di pazienti che hanno pagato parcelle in black. Senza trascurare che anche per queste motivazioni, 4 milioni di malati hanno dovuto esimersi dalle cure perché esose.
Malgrado i decreti Balduzzi sugli appalti, è in questo settore che si configurono le maggiori aree di opacità amministrativa. Dovremo intervenire sui seguenti settori:
- Le convenzioni con privati (ambulatori, laboratori), che alla necessaria sussidiarietà, si concretizzano con un mercimonio di favori;
- i conflitti d’interesse tra pubblico e privato. Un esempio è dato dal facile “spostamento” da una lunga lista d’attesa in struttura pubblica ad una più rapida nel privato.
- Il comparto farmaceutico offre particolari tentazioni quali rimborsi fasulli, viaggi gratuiti in cambio di ricette, prescrizioni inutili;
- Il comparto delle forniture di derrate, materiale sanitario non inventariabile etc.
- Il comparto delle grandi attrezzature risente ovviamente di tutte le storture degli acquisti in commessa diretta, licitazione privata, appalti truccati e regalie surrettizie.
- Documentata manipolazione dei DRG.
Il ricorso sempre più frequente alla sussidiarietà assicurativa obbliga il paziente a contrarre polizze a favore delle maggiori compagnie. Questa forma surrettizia di privatizzazione va stigmatizzata e sostituita con una proposta di Welfare più adeguata alle necessità sociali e al dettato costituzionale. In luogo del Reddito di Cittadinanza o di Inclusione, proponiamo la Contribuzione da TFR, quando detta retribuzione di fine carriera superi i 300 mila€ con prelievo del 10% da riversare su un Fondo Nazionale di Solidarietà. Una sorta di soccorso per le fasce di anziani più poveri e disagiati che, data la fascia anagrafica, vanno incontro a svariate patologie. L’età media è in continua ascesa: l’ISTAT ci fornisce il novero di 13.219.074 ultrasessantenni al 2015, 86% dei quali in fase di pensionamento o prepensionamento.
Malgrado i continui progressi, ben il 74% degli ultrasessantenni presenta uno stato di malattia e quindi la necessità di ricorso alla spesa ospedaliera o farmaceutica. Se gran parte dei pensionati capitalizzasse il TFR per ottenere un plus agevolativo ed aggiuntivo ai fini sanitari o farmaceutici, si potrebbe modificare il plafond di spesa per redistribuzione individuale diretta, e quindi con un miglioramento del deficit dello Stato. Tale agevolazione sanitaria si riverserebbe sui pensionati nel loro complesso, assicurando un maggior benefit per i pensionati al minimo pensionistico. In pratica, attraverso una destinazione già prefissata, non si farebbe altro che investire in assistenza senza mortificare i diritti e le necessità del cittadino. Questo verrebbe addirittura sollevato da ogni problematica relativa all’investimento del TFR, evitando così il trasferimento di questi fondi ad Enti Privati (Banche, Assicurazioni) ai quali si rivolgerebbe per investire il suo TFR.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.