LA MIA IDEA DI SOCIALISMO 2.0

di Dario Allamano

Nel lontano 1982 a Rimini il PSI, da pochi anni diretto da una giovane leva di dirigenti, organizzava una Conferenza Programmatica il cui titolo era “Governare il cambiamento”, era un messaggio chiaro, quel partito era consapevole che quella era un momento di transizione tra un modello produttivo basato sull’industria fordista delle catene di montaggio e del lavoro parcellizzato, dell’ “operaio massa” come veniva definito, ad un nuovo modello che avrebbe cambiato fabbrica e società.

Solo un paio di anni prima a Torino alla FIAT era avvenuto un cambiamento epocale, i sindacati, che per una dozzina di anni avevano avuto l’egemonia in fabbrica, venivano sconfitti dalla marcia dei 40mila, un’epoca si chiudeva, e si chiudeva non solo perché la FIAT di Romiti aveva scelto lo scontro, vincendolo, ma anche perché il sindacato torinese, diretto da una maggioranza comunista-massimalista, non aveva compreso i cambiamenti portati alla produzione negli anni precedenti dai primi robot. L’organizzazione della produzione era cambiata, lavori pesanti e nocivi (si pensi alla verniciatura) in cui erano occupati molti operai venivano sostituiti da strutture automatizzate.

La scelta di quel sindacato di andare allo scontro frontale su posizioni ideologiche, senza alcuna vera analisi della situazione produttiva che si stava consolidando, fu tragica, il blocco dei cancelli iniziò con una richiesta, trattabile, della FIAT di 14 mila esuberi e si concluse dopo 35 giorni con 23 mila licenziamenti.

Per il sindacato poteva e doveva aprirsi un periodo di riflessione obiettiva sulla sconfitta, che invece fu derubricata a “La FIAT è cattiva”. Dopo la grande sconfitta della CGIL nel 1956 bena altra fu la riflessione, e fu una riflessione che la cambiò a fondo.

Ma gli anni a cavallo degli ottante furono anche gli anni dell’inflazione a due cifre, portata dalla crisi del petrolio, ma anche da scelte sbagliate del Governo Andreotti o della non sfiducia.

L’inflazione è una tassa occulta sui redditi dei poveri, che ogni anno vedono svanire una buona parte dei loro salari e stipendi. La risposta sindacale fu il punto unico di contingenza, che aveva però un difetto, rincorreva l’inflazione, non la controllava. Riduceva invece, e di molto, la possibilità per il sindacato di fare contrattazione, sia nazionale che aziendale.

Gli anni ottanta furono davvero un passaggio epocale tra un prima (le grandi industrie manifatturiere) ed un dopo la loro progressiva scomparsa causata dall’automazione.

Ma furono anche gli anni in cui l’Italia perse la battaglia sull’informatica e sui personal computer, dopo essere stata avanguardia con gli M20 e gli M24 dell’Olivetti si ritirò in buon ordine lasciando lo spazio agli americani.

Rimini cercò di dare delle risposte a questi cambiamenti epocali, l’intervento di Claudio Martelli sull’ “Alleanza tra meriti e bisogni” indicava una possibile strada di uscita.

Nonostante tutti gli errori della FIOM e del sindacato torinese, i sindacati Confederali erano ancora  potenti. La battaglia del referendum contro il cosiddetto “decreto di San Valentino”, che tagliava quattro punti di contingenza, segnò, come ancora di recente disse Carniti, la fine del periodo aureo del sindacato, l’ottusa opposizione di Berlinguer obbligò, obtorto collo, Lama e la componente comunista a schierarsi contro il Governo Craxi, e fu l’inizio della fine del sindacato unitario.

Purtroppo il PSI, e proprio nel momento di massimo fulgore, non comprese che le parole d’ordine di Rimini potevano essere la solida base su cui costruire un grande partito, si adagiò sulla gestione del potere derivante dalla Presidenza del Consiglio di Craxi, e come ha scritto di recente Rino Formica, nella sua lettera di saluto all’Assemblea di Rimini, “negli anni 80 iniziò il lento declino del gruppo dirigente del PSI”. Lento declino che può essere ricompreso tra due frasi fulminanti di Formica stesso, quella detta nel 1983 da commissario della Federazione di Torino: “il Convento è povero ma i frati sono ricchi” e quella di fine anni 80 “Questo è ormai un partito di nani e ballerine”.

La fragilità del PSI era già evidente, soprattutto a coloro che guardavano con obiettività allo stato del Partito, molto prima del 1992, la grande fuga dei nani e delle ballerine che avvenne dopo il 1993 ebbe i suoi prodromi nella seconda metà degli anni ’80. A difendere le posizioni rimasero tanti compagni e compagne di base, ma i generali furono pochi, i più si nascosero o fuggirono, con la fellonia tipica dei comandanti italiani.

Se oggi si vuole davvero ricostruire una idea di Socialismo per il XXI secolo occorre ripartire da questa constatazione: superare una volta per sempre l’idea che il socialismo può rinascere se qualche vecchio generale torna a comandare le truppe, Livorno ha dimostrato che ormai siamo in grado di fare da soli, senza capi ed anche bene.

La seconda riflessione che mi sento di fare è che occorre ripartire dal metodo che portò a Rimini 1982: “Analizzare e capire la realtà per Governare il cambiamento”, ma, da buoni socialisti, nell’ “interesse di coloro che fanno del lavoro la loro ragione di vita”.

Nel momento in cui si insedia un Governo peronista si può riaprire uno spazio ampio per chi avrà la forza ed il coraggio di ricostruire una Idea di Socialismo valida per il XXI secolo, non un generico Fronte (o Alleanza) Repubblicano, ma proprio un partito con una chiara ed autonoma INDENTITA’ socialista.

Sempre Avanti verso Rimini 2018!